Mi piacerebbe poter dire che le settimane durante le quali non ho scritto assolutamente niente siano state una specie di settimane sabbatiche, fatte di viaggi, tempo libero e completo relax. Mi piacerebbe, ma non lo posso dire: sarebbe solo una delle tante bugie dette di continuo, e significherebbe assai poco (anche le bugie bisogna centellinarle, altrimenti perdono gran parte del loro valore. In fondo da piccoli la figurina di più valore era la più rara, non quella che trovavi di continuo). La verità, come sempre, è assai più semplice: non avevo voglia di scrivere, ne sapevo cosa avrei potuto scrivere. Non è un vero e proprio blocco dello scrittore (visto che per prima cosa io non sono uno scrittore) bensì un piccolo momento di pausa durante il quale fermarsi un po’ a pensare.
Durante questo periodo di black-out ho avuto modo di guardare dall’esterno questa sottospecie di blog e di farmi un po’ di domande. Domande stupide, domande cretine, domande che se non fossi stato fermo mi sarei vergognato di pormi, e domande che in qualsiasi caso era giusto fare e farsi.
Per prima cosa ho fatto qualche passo in dietro, un anno e poco più, per cercare di capire come questo blog sia nato e soprattutto per quale motivo. Sul come è stato piuttosto facile: non è certo un bambino, o un infante che ho portato in grembo per nove mesi, c’è stata solo una congiunzione astrale che ha portato la mia voglia di creare qualcosa a farsi viva quando gli strumenti per farlo si rendevano abbastanza pubblici. Non sono uno dei precursori dei blog, quelli che vedi nati anni e anni fa, o che hanno cambiato più volte piattaforma e hanno la possibilità di mettere tra i propri links anche una voce di storico che punta ad un altro sito.
Trovare invece il motivo per cui il blog è nato è stato assai più difficile. Ho cercato di essere il più onesto possibile con me stesso, anche se questo avrebbe potuto portarmi a vergognarmi non poco, nel tentativo di trovare la vera causa di tutto questo.
Spogliarsi di qualcosa di più dei semplici vestiti: ecco una frase che mi è sempre piaciuta e che ho coniato in una delle tante mattine durante il viaggio che da casa mi porta in ufficio. Ho sempre desiderato utilizzarla da qualche parte, perché in fondo mi sembra esprima una poesia profonda , sia nel significato che nel senso figurato delle parole. Il momento opportuno, il punto giusto dove mettere questa frase, penso sia arrivato. Per cercare di capire cosa mi ha portato a “requisire”, o se meglio vogliamo dire ad occupare, lo spazio mygreendarling.blogspot.com nel web ho dovuto spogliarmi di tutte le storie o le finzioni o i diversivi (che sono diversi, ovviamente, dai detersivi) che mi ero costruito attorno e con i quali riuscivo a scrivere senza sentirmi un completo cretino, o uno sciocco, o forse uno scemo. Una volta nudo in questo modo ho avuto la possibilità di guardarmi attorno ed osservare ciò che mi circondava: quello che era rimasto era riconducibile alle motivazioni della nascita del blog. Prendi una cosa, qualsiasi essa sia, eliminane tutte le parti superflue, e quello che rimane è l’essenza dell’oggetto di partenza. Questo ho cercato di fare per il blog. Il risultato è stato che alla fine mi sono ritrovato con tutto attorno uno spazio completamente bianco. Cosa c’era di sbagliato? E soprattutto: c’era qualcosa di sbagliato?
A forza di togliere cose superflue mi sono trovato a non avere più niente tra le mani. Questo significa che il sito (non un vero e proprio sito, più una parola usata come sinonimo di blog) è un concentrato di superfluo, ovvero un qualcosa di non necessario, in qualche modo inutile.
All’inizio non avevo certo intenzione di cambiare il mondo: credo che ormai nessuno, nell’attuale realtà, ne sia più capace, non come singolo per lo meno. L’idea di poter anche solo modificare una virgola con quello che scrivevo è un sogno da bambino che onestamente non mi ero neppure sognato di sognare (scusate il gioco di parole penoso, ma era più forte di me).
Girovagando un po’ per la rete però ho avuto modo di leggere qualche cosa qua e là. Ho preso in esame blog di persone più o meno conosciute, di personaggi più o meno famosi, e ho letto pagine lette da più o meno altre persone. Scartata tutta una serie di siti su cui ragazzine viziate buttavano giù una lagnosa lista di desideri su abiti/scarpe/uscite-in-discoteca/ragazzi che non ti lasciava niente se non parole ripetute fino alla noia (non denigro, anche se può sembrare il contrario, la nascita di tali blog: in fondo un tempo c’era il diario segreto, mentre ora c’è la corsa a rendere il proprio privato il più pubblico possibile; sto solo dicendo che forse, forse, è sbagliato il posto o la modalità con cui queste cose vengono scritte.); tagliati via tutti quei siti di ragazzetti “boni” e palestrati che utilizzano internet solo per rimorchiare; mi sono trovato alla fine a leggere cose interessanti e divertenti, fresche, genuine. Non parlo soltanto di autori dai quali mi potevo aspettare una cosa del genere (se leggo Giap so già in partenza che leggerò qualcosa di non banale); ma anche persone che presumibilmente sono come me, o come te che stai leggendo, gente che ha trovato in internet uno strumento con il quale “uscire fuori” (anche se in realtà poi succede l’esatto opposto), di esprimersi in modo libero e di far capire/leggere agli altri tutto il loro talento.
Di fronte a queste letture ho avuto due diverse reazioni, se così si possono definire. La prima è stata quella di mettermi buono, zitto in un angolo, e farmi un piccolo esame di coscienza: quello che scrivevo/scrivo io era ed è anche solo lontanamente paragonabile a quello che avevo letto ed apprezzato? Se voglio in effetti continuare a scrivere e ad alimentare questo blog per quale motivo lo voglio fare? O scrivo qualcosa di interessante, oppure scrivo qualcosa di divertente; in entrambi i casi devo scrivere qualcosa che cambi chi legge, che alla fine della lettura non si senta tale e quale a prima, che in qualche modo lo abbia “arricchito”, se non in termini di cultura almeno di divertimento. Nei vari post che ho pubblicato ci sono cose che mi piacciono, e altre che mi piacciono meno; alcune cose invece fanno proprio schifo e altre ancora non hanno proprio senso di starsene lì. Devo partire dai post che mi piacciono e usare quelli come fondamenta di quello che voglio costruire in futuro, utilizzando i post che non mi piacciono come errori dai quali imparare e da non commettere più. Questo lungo discorso che sto scrivendo ora è il primo passo in un cammino la cui meta non è ben precisa, né credo ce l’abbia veramente. L’importate, d’altronde, è andare. Camminando, o viaggiando più in generale, si osserverà il paesaggio, si incontreranno persone diverse: si crescerà.
La seconda reazione, quella venuta dopo aver pensato quanto sopra, è stata di stupore. Se partiamo dalla supposizione che queste persone sono come me, devo presumere anche che abbiano un lavoro, una minima vita sociale, e che debbano in qualche modo pur dormire e magiare. E allora mi domando: ma il tempo per scrivere, anche post lunghi e complessi, dove diavolo lo trovano? Per caso loro hanno a disposizione un giorno di trentasei ore? Oppure sotto sotto sono tutti una specie di collettivo e alimentano il blog un po’ per uno, a turni più o meno regolari?
No, molto probabilmente è solo una questione di organizzazione e di voglia. L’organizzazione risiede nella capacità di ritagliarsi un po’ di tempo per mettere giù un po’ di parole, di legarle insieme e tirarne fuori qualcosa di sensato e di “giusto”. La voglia invece sta dentro, ed è quella piccola spinta che ti porta ad accendere il pc, o a prendere un foglio di carta con la penna, e metterti a scrivere anziché fare qualche altra cosa, come magari metterti a guardare le peggio stronzate alla tv, o farcirti un panino con le peggio stronzate che trovi in cucina (di solito in certe situazioni le peggio stronzate sono sempre una costante). Possiamo dire che la prima segue a rimorchio la seconda, e proprio in quest’ultima io devo un po’ migliorare.
Dovrei mettermi nella testa di dover scrivere un po’, anche solo qualche parola, ogni giorno, magari la sera/notte prima di spegnere le luci e di andare a fare visita a qualche mio amico nel modo dei sogni. Stephen King, in un suo libro non horror, diceva che esiste una dea della scrittura che per qualche motivo va a far visita agli scrittori e dà loro quella speciale magia che permette loro di scrivere le loro storie. Il caro vecchio Stephen diceva anche che bisognava aiutarla questa dea, e cercare di scrivere ogni giorno più o meno alla stessa ora e nello stesso luogo, in modo da farle sapere dove trovarci e quando trovarci; così, quando l’autore decide di fare una pausa, di smettere per quel giorno di scrivere, può salutare in senso figurato questa mitologica dea e darle appuntamento al giorno dopo. Stesso posto, stessa ora.
Non so se mai riuscirò a fare una cosa del genere, ma almeno dovrei cercare di farle sapere che se davvero mi vuole ogni giorno io sono disponibile. Se anche riuscissi a scrivere una sola decente frase al giorno, o a descrivere un particolare stato d’animo, dovrei sentirmi fortunato e in pace con me stesso: avrei fatto il mio dovere e ne dovrei essere fiero. Anche solo una singola frase, pur che sia valida, degna di essere letta.
E spero che ora vada avanti da se, senza bisogno di doversi guardare di continuo allo specchio e distogliere lo sguardo.
Molto probabilmente la risposta coincide.
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