"Giusto, " dice sua madre, così sottovoce che quasi non la si sentiva. "Bella cosa da insegnargli. Oh, bellissima."
Era passata alla sua voce sottile. Quando vi ricorreva, sembrava si rivolgesse a qualcuno che stava dentro di lei, un amico invisibile e altrettanto convinto che il mondo fosse lungo e largo, ma alla lunga troppo spossante perché qualcuno potesse viverci.
I ginocchi di suo padre davano un'idea della loro nodosa complessità attraverso i sottili calzoni grigi.
C'erano i suoi utensili appesi in ordine perfetto, a un pannello bianco. C'erano la sua falciatrice, la sua morsa, e le sue viti e i suoi chiodi in vasetti con le loro etichette.
C'era stata una lite. Poté sentirne il peso entrando dalla porta laterale.
Portava sfortuna volere troppo.
"[...] secondo me divertirsi è sempre una gran bella cosa, non trovi?"
"Non mi sembra che qui attorno ci sia qualcuno che si diverte," disse Susan. "Penso piuttosto che abbiamo imparato a fare un mucchio di rumore e a chiamarlo divertimento."
Un'anima rara e antica," disse l'uomo in tono meditativo. "Ho dovuto fermarmi per dirtelo. Non dovresti bere caffè, eccita il corpo ma uccide lo spirito. Il caffè ha una luce arancione che ti scoppietta addosso dappertutto."
Billy annuì. Sapeva che l'uomo era ridicolo, forse anche pericoloso, ma per ora non voleva che se ne andasse. Lo stava guardando con una così palese riverenza.
"A me piace l'arancione," disse Billy sorseggiando il suo caffè.
"Già, la giovinezza," disse l'uomo. "Bruciala e durerà per sempre. Ero così anch'io. Mi chiamo Cody."
"E' una tua abitudine rivolgere la parola agli estranei?"
"Non a tutti. Vedo in te qualcosa che riconosco, come vedo la luce che stai spegnendo. Arancione, ma con uno strato esterno del blu più bello e più puro. Come il colore della fiamma su una stufa a gas."
"Io vengo da Marte, bambino," disse Cody. I suoi occhi erano screziati di verde.
"Io voglio essere vecchio," disse. "E non vedo che cosa ci sia di male nell'essere furbi."
"Veleno," disse Cody. "Arguzia e furbizia ti fanno più male che trenta tazze di caffè. E' come circondarsi di elettricità statica."
Sentì una goccia d'umidità sul labbro inferiore.
Viveva in una lenta e massiccia confusione al centro di un suo caos personale di sbagli e di speranze.
La sorpendeva la sua capacità di correre di nascosto a Norwalk per vedere Joel pur continuando ad amare Todd. Aveva immaginato che le possibilità d'affetto fossero limitate. Aveva creduto che, se si fossero concentrate delle energie affettive su un'altra persona, se ne sarebbe dovuta sottrarre una quantità equivalente a quella che già si amava. Ma il suo amore per Todd rimaneva costante; a volte sembrava perfino cresciuto.
"Levon," disse, e fu contenta che lui non rispondesse. Cosa voleva dirgli? Che lo amava al punto che avrebbe voluto smontarlo, organo dopo organo, e conservare ogni parte con riverenza mentre sorgeva il sole sopra i caseggiati.
Voleva ciò che lui non poteva darle. La sua infanzia, le sue paure. Le sue spiegazioni. Non che fosse sgarbato, ma viveva in un suo mondo. E lei poteva impararne le regole solo violandole. Nel mondo di Levon i complimenti erano insulti e le storie bugie.
C'erano onde intricate d'amore e di odio, un sordo e complesso ronzio.
Zoe aveva la febbre quando arrivarono a casa. Per un po' le era passata, ed era stata una donna in una stanza che beveva una camomilla, guardava cadere la neve oltre la finestra, aspettava il ritorno del figlio. Poi la febbre tornò a divampare, e lei vi era dentro, era soltanto caldo e nausea e strani sfigolanti pensieri che volevano tramutarsi in sogni. La nausea era come una droga, ma con bordi più affilati, con una cattiveria particolare, e Zoe si batteva per mantenere l'ordine, un andamento normale in una stanza nella neve. Era New York ed era gennaio.
Quando Magda entrò, Ben vide sua madre spostare lo sguardo dal pomodoro a lei e capì che tutto era la causa di ogni altra cosa, attraverso linee invisibili di colpa ed effetto. Magda era in un certo senso la colpa del pomodoro.
"Se ti dessi il mio numero di telefono, lo ricorderesti?"
"Certo."
"No che non lo ricorderai. Andiamo subito da me."
"Ti sembra una buona idea?"
"No. Ma andiamoci lo stesso."
Non avevano niente d'insolito da dirsi. C'era il senso di un'occasione fatta dei materiali più semplici, e i secondi che passavano erano altrettante aperture.
Disse: "Non ho avuto il coraggio di fare il musicista." Le pareti del ristorante erano decorate da vecchi manifesti di transatlantici ch enon navigavano più da trent'anni.
Will disse: "Ci vuole coraggio anche per fare il medico."
"Non proprio. Non dello stesso genere. Una volta che hai cominciato, vai avanti per forza d'inerzia, sullo slancio. Ci vuol molto più coraggio a smettere che a continuare."
Una volta sulla Second Avenue, vedendo una cieca che camminava verso di lei disse a se stessa: "Se mi supera a sinistra, starò meglio. Se mi supera a destra starò peggio." Quando la donna voltò per entrare in un negozio, Zoe si sentì prima benedetta e poi maledetta. Anche ammesso che auspici e presagi esistessero, si rese conto di non saperli interpretare.
Quando cominciavano ad ammalarsi, gli occhi conservavano ancora le loro liquide profondità
Ci fu solo un brutto momento con Zoe quando, un pomeriggio di settembre, lei staccò un pomodoro maturo da un viticcio.
"Bello, no?" Accovacciata nella plvere, lo tenne a coppa nel palmo, stringendoselo al seno come un uccellino.
"Una volta odiavi i pomodori," disse Constantine.
"Sono cresciuta."
"Già. Ne stanno maturando di belli qui." S'inginocchiò accanto alla figlia. Lei indossava un paio di jeans troppo larghi e una vecchia T-shirt a strisce cui aveva tagliato le maniche in modo approssimativo, proprio quel genere d'indumenti che lui non sopportava di vederle addosso, ma in quel momento era bellissima, come se ogni secondo della sua vita, ogni occasione in cui gli era mai capitato di vederla, avessero condotto a questo, a Zoe inginocchiata pallida e serena in questo orto a settembre, con l'Atlantico che sciabordava poco distante e un pomodoro maturo in mano.
Jamal viveva in lui. Ben pensò ai suoi occhi e alle sue labbra, al crepitio dei suoi capelli. Ogni volta che pensava a Jamal provava una sensazione abbietta, opprimente, che non assomigliava a nulla che avesse mai conosciuto, un apalla umida e rovente di sentimenti, impenetrabile, che sprigionava paura e speranza e vergogna pur non contenendo in sé nulla di tutto questo. Ruotava spessa nel suo ventre. Lo spaventava. Non era amore, non quello che aveva immaginato fosse l'amore.
Era una giornata mortalmente calma, soffocante come un respiro trattenuto
Zoe capì di aver raggiunto un equilibrio. Era qui, proprio in questo momento: il cuore dell'estate. Da mesi, le forze della maturazione e del deterioramento si erano mosse insieme in questa direzione: una quiete sconfinata, una sonnecchiante profondità azzurra e oro ch enon comportava né cambiamenti né contraddizioni.
Cassandra disse: "Non voglio dirti quante ore passo a vestirmi da donna. Tra l'andare a far spese e, be', gli altri modi di procurarmi il necessario, e truccarmi e sistemarmi i capelli, e mettere insieme tutto quanto. Me ne sto seduta nel mio appartamento per ore, e poi, finalmente, ta-ta, eccomi pronta. Non mi hai mai vista al meglio, posso essere splendida. O potevo esserlo, nei miei anni migliori. Una volta avvolsi una parrucca intorno a una gabbia d'uccelli e andai fuori con un canarino vivo sulla testa, era un omaggio a Madame de Pompadour. E, sai, c'è sempre un momento, quando ho finito di sistemarmi e sono andata anche oltre le mie aspettative, e mi trovo sola nel mio appartamento, be', c'è sempre un momento in cui mi sento incredibilmente bella. E naturalmente ho una voglia pazza di uscire di lì e di mettermi in mostra, perché è proprio questo il punto, immagina come sarebbe deprimente mettersi addosso tutta quella roba, stasene davanti allo specchio e poi togliersi tutto e andare a letto.
E' questo che fanno i vivi, dice a se stesso. Noi sbrighiamo le piccole commissioni e visitiamo le lapidi.
Michael Cunningham