potremmo parlare di come in america considerino le sei del pomeriggio un orario tardi per preparare da mangiare. in america o nei libri che leggiamo. potremmo discutere all'infinito mentre i nostri amici ci chiamano al cellulare per sfogarsi o per lasciare sfogare noi. perché diamine continuiamo a credere di essere capaci solo noi di farsi vivi nel momento del bisogno, quando invece magari siamo noi ad aver più bisogno e gli altri ci chiamano e si palesano quando più ne abbiamo bisogno e noi prendiamo tutto questo come qualcosa di normale, quando invece una volta fermi per un istante a riflettere ti rendi conto che così normale non è. bisogna sapersi estraniare dalla situazione, dal film che ci siamo costruiti dentro, montato fotografato, prodotto noi, dove noi siamo i soli protagonisti, mentre invece la realtà è una produzione corale estesa fino all'inverosimile. non trovi?
potremmo parlare e parlare, capendo davvero quando annoiamo l'altro oppure quando scocciamo, o quando le pause di silenzio sono attimi in cui pensiamo a cosa dire, oppure riflettiamo su ciò che ci è stato appena detto. potrebbe davvero essere tutto così tranquillo, reale, così vero da far quasi impallidire il concetto di realtà. altro che verosimiglianza, il saper descrivere con le parole i fatti, dipingere un quadro che assomigli il più possibile a ciò che abbiamo vissuto: sarebbe nei termini più assoluti possibili il vero vissuto, sarebbe la realtà, sarebbe quanto di più reale potrebbe esistere in questa cazzo di faccia della terra. potremmo spingerci al di là di qualsiasi fantasia possibile, potremmo afferrare questo cubo di.. di ... di.. cazzo! non mi viene la parola, ma scommetto che tu, cazzo! hai capito.
e tu rideresti, rideresti davvero tanto perché ti ha sempre fatto sorridere quando inizio a parlare con le parolacce, anche se questo termine mi fa sembrare di nuovo all'asilo ad essere sgridato da una suora quando mi coglie in fragrante a sussurrare merda! oppure puttana eva! ti ha fatto sempre ridere e spero ti faccia ridere sempre, anche quando avrai capito che non sono quello stinco di santo che i miei discorsi possono far credere; quando avrai denaturato tutte le frasi della loro facciata e la avrai distillate via di tutte le apparenze, quando avrai messo da parte il come si comporta e come si agisce.
ricordi la prima volta? la prima volta che ho detto: stronza! quello ero io, io che affioravo dalle acque della mie molteplici personalità.
sono malato, vero? ma chi non lo è? dimmi, davvero: chi non lo è, in un modo o nell'altro?
potremmo parlare in salotto, seduti sul divano con il tavolino da caffè dove da adolescente ho inciso i testi delle canzoni che mi più mi sembravano adatte al momento, o magari dove ho inciso semplicemente delle cose perché in fondo pensavo fosse giusto in un momento come l'adolescenza incidere qualcosa da qualche parte, in modo da farlo rimanere impresso nel tempo.
potremmo parlare di tutto, di tutto tranne il tempo, ti prego. mentre appoggiato sul tavolino ci potrebbe essere una bottiglia di vino e due bicchieri, un posacenere sul quale appoggiare le tue sigarette consumate e i mozziconi; mentre nel lettore dvd collegato al dolby passano i belle and sebastian, e io mi maledirei di non aver avuto il tempo o la prontezza di spirito di fare in modo da poter proiettare sulla tv il video di get me away from here, i'm dying. solo perché mi hai detto di esserne felice.
questo, tutto qui.
potremmo parlare quando parlare sarebbe il più prezioso oro di questo mondo, terreste e del paradiso tutto. parlare e parlare e parlare. e parlare.
la magnificenza...
3 commenti:
mi sa che hai trovato la parola giusta. mi sa. poi non so bene cosa dire perché a volte mi piace anche stare in silenzio, e in questo momento secondo me ci starei bene, in silenzio, a ripassare col dito gli intagli canticchiando in gola.
ascolterei anche i silenzi
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