martedì 4 marzo 2014

Uomo Del Monte

Uno era vestito da Uomo Del Monte, con camicia bianca e pantaloni bianchi, panama anch’esso bianco a coprire dei capelli molto probabilmente bianchi pure quelli. Un residuo di cultura pubblicitaria degli anni ’80, quando ancora l’uomo in questione si intravedeva stagliato contro il sole al tramonto mentre controllava il raccolto e il lavoro dei suoi operai (magari sfruttati per intere settimane con un salario da fame e con il terrore viscerale di essere uccisi dal proprietario padrone nel caso avessero trovato il coraggio di piegarsi alla fame prendendo un frutto qualsiasi destinato alla produzione di succo e di mangiarlo anziché infilarlo nei cesti di raccolta), poco prima di trasformarsi in una figura mitologica priva di qualsiasi contorno, complice anche la crisi di vendite e di fama della marca di succhi di frutta che rappresentava. I ragazzi, le ragazze, gli altri invitati truccati e vestiti, quelli più giovani tra loro, gli passavano accanto e lo guardavano con un’espressione annebbiata in volto che pareva suggerire una certa intensità di sforzo, un impegno sovrumano nel tuffarsi all’indietro in ricordi televisivi sempre più lontani, non ancora offuscati dal bianco e nero ma già colorati in un technicolor privo di alta definizione, agitati quanto solo un mare di pubblicità e programmi e cartoni animati e telefilm e pupazzi animati con una mano infilata dentro il didietro come, e con la stessa naturalezza con al quale, si potrebbe indossare un guanto impellicciato a una prima alla Scala; oppure, ancora, ricordi dispersi in prime serate che iniziavano alle otto e mezzo, abbandonato carosello con il quale si andava a dormire non appena finita la sigla, e annunciatrici che i maschi ricordavano con una malizia tutta particolare preadolescenziale per i loro scolli generosi e le femmine per il desiderio di apparire tali e quali a loro, prototipi di veline con parola, e capelli tanto cotonati e voluminosi, con riccioli tondi da riempire tutti i 4:3 degli schermi a tubo catodico. La gente guardava questo Uomo Del Monte e cercava di ricordarsi l’originale per congratularsi o meno con il finto Uomo Del Monte, o chiamarlo Uomo Del Monte, con le maiuscole, quasi fosse un attestato di stima nel riconoscerlo veritiero, fedele al modello e non semplice impostore colorato di bianco. Nessuno però pareva essere abbastanza vecchio o possedere una memoria sufficientemente profonda da poter affermare in sicura tranquillità che l’Uomo Del Monte che vedevano tutti quanti sorseggiare un cocktail trasparente dentro un normalissimo bicchiere di plastica rigato con la stessa benevolenza con la quale avrebbe potuto in passato bere un succo di pera appena spremuto dai propri frutteti fosse il vero Uomo Del Monte, quello che in passato sembrava fare Uomo di nome e Del Monte di cognome. L’Uomo in questione si posizionava in una zona temporale intermedia nella quale il fenomeno di digitalizzazione e condivisione non si era ancora introdotto riportando in rete filmati d’archivio, e al contempo non era abbastanza vecchio da renderlo tanto affascinante e seducente da convincere le persone a recuperarlo affibbiandogli l’etichetta vintage. Una difficoltà traducibile con l’impossibilità di cercare su internet la sigla o lo slogan della pubblicità con la speranza di vedere tra i risultati proposti dai motori di ricerca una chiara immagine dell’Uomo Del Monte della pubblicità stessa.

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