A vent’anni, poi, ti guardi i piedi e li vedi così piccoli che non credi mai sul serio di poter fare molta strada. Le scarpe sfatte. Rotte sulla punta, ed il tallone che ha un gran bel buco proprio sopra la suola. Pensi a Kerouac*, a quanta strada ha percorso lui. Fai un piccolo confronto e non ci vuole un genio per scoprire di non esserne all’altezza.
* Chi lo conosce a vent’anni ci pensa spesso. Lo guarda come si guarda un mito vero.
Chi invece non lo conosce, a vent’anni, oltre a perdersi, o al non perdersi, (per) un’America fatta di parole suonate, a volte ancor migliore di quella originale, rimane a girarsi i pollici e a guardarsi tra le gambe in modo interrogativo.
?
Gioca a vedersi, tra lo specchio e le proprie mutande. Si masturba su miti, che miti, i miti che non sono, o che forse potranno essere tra qualche anno.
Ma a vent’anni: perdersi tra i propri vestiti, cercando un paio di pantaloni che non siano jeans sfatti, e un pollice mai alzato alla ricerca di un passaggio, o di un qualsiasi mezzo per spostarsi. Troppa grazia: a dormire si può andare dopo.
Io ho fatto tutto questo:
Ho conosciuto Jack. L’ho sentito parlare con qual suo tono molto sporco: con l’inchiostro che gli colava dalla bocca: come bava, sulla maglia.
Ho cercato un passaggio per un posto che neppure io conoscevo dove si trovasse. Non l’ho trovato e mi sono inventato una strada per arrivarci.
Sono morto e rinato. Mi sono infilato un palo in culo e me lo sono tirato fuori. Sanguinante dalla disperazione e dal dolore.
Ma a vent’anni. Chi non conosce, Kerouac, mi faccia il piacere: vada a letto.
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