dici: costruiamo qualcosa insieme, qualcosa di grande, tipo una città o una metropoli. a me vengono subito in mente i tralicci dell'altra tensione. mi domando dove potremmo posizionare la centrale elettrica, le linee telefoniche di emergenza. mi immagino il colore giallo acceso dei cartelli di pericolo, quelli con disegnato dentro un fulmine nero, il punto preciso dove appenderli, le recinzioni, il rumore dell'elettricità che sfrigola dentro i meccanismi con lo stesso suono di uno sciame composto da milioni di api. vedo già tutti gli impianti di sicurezza, e le procedure da eseguire qualora qualche balordo cercasse di attirare l'attenzione facendo un attentato per immergere la nostra città nell'ombra.
tu sorridi e pensi a come disegnare le strade, a quale direzione fargli prendere. ai supermercati e gli uffici postali. crei uno a uno tutti quanti i nostri cittadini, li fai muovere, spostandoli da un posto all'altro, da casa a fuori, li fai viaggiare, prendere l'autobus - a allora dobbiamo decidere in quale punto della città costruire la centrale degli autobus e quale tariffa applicare agli anziani e ai bambini. e se ci sono dei bambini devono esserci degli asili, e delle scuole elementari, medie, le superiori, poi l'università, le biblioteche dove andare a studiare e fare sbocciare i primi amori - gli fai preparare le valige la sera prima di andare a dormire perché il giorno dopo devono fare un viaggio lungo in aereo - e allora c'è bisogno almeno di un aeroporto, di un posto abbastanza grande da poterci costruire una pista d'atterraggio, una torre di controllo, una sala d'attesa dove i parenti possono aspettare il ritorno dei propri cari, e i mariti attendere le mogli di ritorno dal loro viaggio.
e dove andrebbero, ti chiedo, se la città l'abbiamo costruita noi e oltre a questa non c'è niente, altrimenti l'avremmo già conquistato questo niente riempiendolo con qualcosa. ma tu mi guardi come se mi fossi bloccato davanti a una specie di banalità, mi fossi perso in un bicchiere d'acqua e non riuscissi più a venirne fuori, scivolando sulle pareti mentre cerco di arrampicarmi fino al bordo. mi dici: in altre città costruite da qualcun'altro, ecco dove vanno.
in questa nostra avventura da ingegneri immaginari, sindaci di una città invisibile quanto la nostra fantasia, stanno tutte le differenze che ci separano. possono sembrare banali, particolari da niente, ma per quanto piccole e insignificanti mettono centimetri tra noi due, andando ad alimentare quello spazio dentro il quale non ci capiamo, anche se passiamo il tempo a cercare di capirci. io mi preoccupo della sicurezza, forse per la paura di farmi male, di cadere da un punto alto o da una zona pericolosa. tu invece ti apri al mondo e pensi alle altre persone, a costruire tutto quanto senza dare troppa importanza alle cose marginali, ti impegni in ciò che credi essenziale. fai viaggiare i tuoi cittadini, mentre io non farei altro che dargli energia.
sono necessarie entrambe le cose, tanto è vero che nelle città reali ci sono sia le centrali elettriche che gli aeroporti e le stazioni. non si può fare senza gli ospedali o i trasporti con i quali recarcisi, magari per lavorare o per farsi curare. sono due aspetti che devono intrecciarsi con equilibrio. le differenze non significano per forza lontananza o non affinità. è tutto nelle nostre mani, in quanto saremo bravi a saperle legare assieme, scioglierle negli interessi dell'altro. le differenze a volte possono anche unire, basta riuscirle a trasformare in colla.
Nessun commento:
Posta un commento