Non posso credere a tutti i fantasmi. Si aggirano inconsistenti attorno - a me, a te, a chiunque altro - muovendo l'aria, producendo profumi inebrianti. A volte mi sfiorano, quel tanto che basta per cadere nell’inconscio. Senza più palpebre sugli occhi, vedo nero lo stesso, come se qualcuno avesse spento la luce. Allora disegno strane contorte figure con dei pastelli immaginari, traccio linee e curve, sorrisi e sguardi. Li appiccico su quelle che penso potrebbero essere facce distinte. A tratti le riconosco. Dico: ci sono, ci siamo. Ma poi mi accorgo di esserne ancora lontano, anni luce, nel buio, dove la luce non riesce ad arrivare. Polvere di stelle, sarebbe necessaria, illuminare la stanza con fuochi colorati, piccoli cerchi non nel grano ma proiettati sulle pareti, nell'aria attonita ferma a guardarci. Il soffitto, per esempio, viene trasformato in una specie di scacchiera psichedelica, con celle verdi gialle rosse blu. Per muovercisi dentro bisogna imparare a memoria tutte le mosse dei possibili pezzi. C'è il pedone, c'è la regina. Un cavallo. Un cavallo! Il mio regno per un cavallo.
E le possibili strade a diramarsi da ogni giorno, su ogni strana casella ridimensionata in base alla culla del pensiero: mi ci perdo la testa, gli occhi e il cuore. Un dedalo di circonvallazioni con le quali mi trovo a giocare a nascondino, tappandomi le orecchie per non sentire mia madre chiamarmi per cena, stanarmi involontariamente dal pertugio nel quale mi sono calato per non farmi vedere. Cresci sano e bello, ripete a casa quando mi passa il piatto colmo di pasta, o il secondo a base di carne, il contorno: insalata. Più mangio e più divento grande, non nell'età ma nel fisico. Le spalle si raddoppiano, la distanza tra ginocchia e caviglie pare aumentare ogni giorno di più, il ventre un può mi duole, tengo stretta la sua mano. Vorrei sfiorarle il capo e pensare: è vero.
Domani ci troveremo a dovere fare i conti con questo ballo in silenzio, rimettendo al loro posto tutte le cose che abbiamo tirato fuori dai cassetti, e i libri sparsi per terra, aperti e letti in fretta, le pellicole scure sbobinate e lasciate ad appiccicarsi le une alle altre, quasi nel tentativo di fare un nostro personale montaggio delle varie vicende, avventure in mondi impossibili, tempo tagliato a fette: sospiri, respiri, pulsioni e passioni.
Mentre l'orchestra ticchetta una nuova canzone, è lui a sfiorarmi il capo, scostare i capelli degli occhi. Mi dice: guardami. Ha gli occhi grigi, un sorriso che non è né beffardo né consolatorio. È trasparente, lui, tutto. Appoggio la mano sul suo fianco. È fumo. Cerco il punto preciso in cui inserirmi nel tempo, la melodia, tra una nota e l'altra - un due tre quattro, un due tre quattro - piede sinistro avanti, busto proteso. È questo il momento. Iniziamo a ballare.
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