Stupri. Violenza ai bordi delle strade. Uomini che braccano donne, ragazze, bambini. Saltano dal buio e afferrano alla luce di lampioni opachi. Tappano la bocca, trascinando persone che non sono più persone, in altre oscurità ben più buie. Usano il sesso per dominare chi credono più debole. Usano spranghe, bastoni, spazzatura, per violare case che non hanno serratura. I muri che non si vedono sono più facili da abbattere, da smantellare, da distruggere, senza preoccuparsi se sono portanti o no. Longarine fatte di biscotti cementati uno sopra l'altro. Ed un leone che diventa il nuovo capobranco. Anatre che annegano in acque gelate, stanazzando impaurite e cacciate.
Il resto del mondo è una muta consenzienza. Annienta la parola e svuota il concetto. La definizione perde di significato e gioca con il vento. Ovvero nulla. Niente è più quello che si crede, spostandolo da un luogo all'altro: dalla savana alle città sovrappopolate e malate. Chi presta il favore non ha più sfavore, non ha un coltello ma solo il manico, e se non decide di suicidarsi la platea non applaudirà che la vittima.
E allora perché gli animali non stuprano? Perché non lottano per evitarlo? O perché parte del loro cervello non riesce a costruire il significato del gesto. Dei neuroni attraversano la corteccia celebrale, partendo dagli occhi e passando sinapsi ravvicinate; ma non confluiscono in una parola. Non hanno parola, è questo? La mancanza di violenza sta nella mancanza di emotività? Le fusa.
Costruire una società partendo dal tetto e non dalle fondamenta. I relitti andranno a galleggiare nelle fogne, non viaggeranno certo nei cieli su Zeppelin rivestiti d'oro. I pazzi, gli assassini. Gli scarichi di bar gestiti da mafiosi e malavitosi.
Lo sperma appiccicoso che non esce e non si attacca alle dita. La sessualità intesa come brutalità e dipendenza. Non gioco. Non gioia. Non felicità. Non perversione. Diverso. Quando non c'è fisicità non si può parlare di brutalità? Mi sembra di giocare ad un gioco in cui tutti vincono e in cui tutti perdono. Stiamo pulendo e ripulendo un oggetto quando non c'è bisogno di farlo. Sporco è, sporco sarà, e sporco è giusto che sia.
Alla fine rimane un corpo buttato nei canali vicino ai fiumi. Quei piccoli fossati di acqua gialla e melmosa che accompagnano i corsi lungo i loro percorsi. Finisce così, tra erba cresciuta in modo selvatico e fango raggruppato sotto le unghie; e lo smalto consumato a forza, il sangue rappreso sotto i polpastrelli, il volto livido e gonfio. Capelli strappati e sporchi. Non ci sono fiori. Non ci sono cornici. Non ci sono carezze. E regali di Natale, e compleanni, e onomastici. C'è un cazzo duro che pulsa per le urla, le lacrime, i gemiti di insoddisfazione, un corpo fatto vuoto sbattuto contro un muro.
In un'astrazione temporale potrei domandarmi se lo stupro è retroattivo. Se con il passare dei giorni, delle notti, degli amori, e degli umori, si possa maturare o mutare un sentimento. Se si possa essere violentati con i pensieri, con i ricordi, e con la nostra cocciuta ostinazione nel trovare delle risposte.
Per esserci delle risposte, ci devono essere delle domande.
Violini.
"Non voglio guardarti."
"Cosa c'è?"
Ci sono nuvole. Grigie ora. E la pioggia battente, che forma pozzanghere sui marciapeidi e sull'asfalto piegato dal peso dei tir; ci bagna i vestiti, assottiglia i nostri capelli. Umidi, ci rende più belli. E noi non abbiamo un ombrello.
"So che sei te. Ti sento. So che..."
"Guardami."
"Non voglio avere come unica possibilità quella di stuprare altre persone. Non lo accetto. Non lo voglio."
"Guardami."
"Non voglio guardarti."