mercoledì 17 marzo 2010

Alice in Wonderland


Non sempre è un male entrare in sala con aspettative molto molto molto basse. E' più facile in questo modo uscirne poi con una buona impressione. E' il gap, la differenza tra quello che ti aspetti e quello che poi vedi, che varia in modo notevole. Se ad esempio entri con aspettative 0, e ciò che vedi ha un valore 5, non è ancora arrivato alla sufficienza ma per lo meno hai un più cinque rispetto a quello che credevi. Se invece, sempre ad esempio, entri con aspettative pari a 6 e caso mai quel che vedi è un sei e mezzo, forse è più facile che tu rimanga un po' deluso, giusto un poco.
E' il caso di questo Alice in Wonderland, ultima prova dello scapigliato Tim Burton, che è una specie di sequel del cartone animato disneyano. Abbiamo una Alice ormai ventenne, che è già stata nel paese delle meraviglie una prima volta da bambina, una visione più reale ed adulta rispetto a quella dei disegni, personaggi che a più riprese ricordano l'Alice che fu. Ma questo porta poco se non nulla al risultato finale. Come era già successo con un progetto analogo quale Il pianeta delle scimmie, il tentativo di Burton di riallaccarsi ad un grande classico è evanescente un po' quanto l'immagine dello Stregatto. Il film si salva per qualche gag qua e là che strappano dei sorrisi, e che fanno capire che il protagonista vero indiscusso di tutta la pellicola non è un'Alice dai riccioli biondi interpretata da Mia Wasikowska, o il cappellaio matto ma non troppo di Johnny Depp, né la regina dalla testa grossa di Helena Bonham Carter, o l'irritante regina bianca tutte mosse fluide e impostate di Anne Hathaway; il vero protagonista è lui: Leprotto Bisestile (cucchiaio!).
Il resto, soprattutto nella prima parte, sembra essere una corsa serrata a far apparire quanti più personaggi riconoscibili nel minor tempo possibile. Altro discorso avremmo fatto se caso mai la stessa storia fosse stata sviluppata da un Tim Burton di qualche anno fa, se non di qualche decennio fa. Allora si che la pellicola sarebbe stata dark, spettrale, con tite cupe; tutt'altra cosa rispetto a questa esplosione di colori pop che da qualche film a questa parte sembra perseguitare il regista di Edward mani di forbice. Il cappellaio matto dai capelli sparati e tinti di questo Alice in Wonderland è finto, esile, e plasticoso quanto il suo cugino Willy Wonka de La fabbrica di cioccolato.
Putroppo è vero: anche i fiori più belli e profumato alla fine appassiscono. Il miglior Burton, pare, lo abbiamo già visto.

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