Si guarda a destra e a sinistra, pronto a vederla apparire dal nulla, un fantasma a sfumare nell’aria, la sua figura, di lei, prima chiara e poi sempre più solida. È a quel punto, in quel preciso momento, tra il voltare la testa da una parte all’altra, che nota sul tavolo di cucina un piccolo rettangolo giallo chiaro, un riquadro di carta apparentemente intento a fargli la linguaccia.
Il tempo, qui, rallenta, di colpo, tutto insieme, da una velocità da crociera a un rallenty interminabile. Per muoversi e prendere il post-it sembrano passare secoli. I secondi si dilatano all’inverosimile, distanziandosi gli uni dagli altri così tanto da permettere di incastrare tra di loro lo spazio di un giorno intero. Un turbine di pensieri mulinella dentro la testa dell’uomo mentre vede la sua mano entrare con lentezza nel campo visivo, afferrare il quadratino giallo accartocciandolo un poco ai bordi – e pensa cose che non dovrebbe pensare perché ancora non sa cosa potrebbe o dovrebbe pensare – staccarlo dal piano di vetro del tavolo, un leggero quasi insonorizzato stic, portandoselo poi davanti agli occhi.
È lo sfregamento di un cerino contro una parete ruvida. Piccole scintille impazzite danzano tutto attorno alla capocchia, in un vortice furioso della durata di solo pochi secondi, dopo i quali tutte le faville in turbine si raggruppano insieme, più dense, a formare quello che prima non c’era per niente: il fuoco. Se non c’è un fiammifero, dentro la casa, dentro l’uomo, c’è lo stesso un combustibile facilmente infiammabile. Basta un nulla, un piccolo scostamento dagli standard di manutenzione sicura, l’aria ribolle, o la temperatura aumenta di soli pochi decimi di grado, e la sostanza mascherata da combustibile inizia a smuoversi, gorgogliare in ampie vesciche rigonfie che esplodono e poi rinascono, si riformano, gonfiano, sempre più vicine le une dalle altre, più veloci, rapide nella loro vita, scoppiano, lanciando a chilometri e chilometri di distanza ferite e bruciature appiccicose, galle piene di pus infetto, le stesse visibili su una pelle ustionata a contatto diretto con una fonte di calore inverosimile, quasi il sole stesso. Ecco: l’uomo viene gettato dal vuoto dello spazio del suo essere impaziente, nel vagare per le stanze della casa alla ricerca/speranza di lei, sempre più in avvicinamento a quello che sarebbe poi successo, dritto diretto contro il sole, dove l’atmosfera rarefatta lo accoglie rigandogli i bordi del corpo di un tenue colore turchese, quello tipico delle fiamme vicine al loro centro, per poi di colpo bruciare con violenza, partendo dal ventre fino ad arrivare al pugno della sua mano che si chiude con forza, anche eccessiva, accartocciando il post-it fino al midollo, senza strapparlo – cosa che avrebbe donato un senso diverso al tutto – quanto piuttosto riducendolo a un contorto lenzuolo sfatto di pieghe e linee, tutte le une sopra le altre, senza ordine, con il desiderio inconscio di nasconderlo al suo sguardo piuttosto che distruggerlo dalla faccia della terra, o dell’esistenza, mentre invece, ironia della sorte, quando sente affondare le sue unghie, seppure appena tagliate da un giorno, con gli angoli non smussati dentro la carne viva del palmo della mano, sempre suo, così tanto da farsi quasi sanguinare, da un piccolo spazio aperto tra un dito e l’altro, in quella spirale opaca formatasi dall’opposizione del pollice contro l’indice e il medio stretti chiusi con forza, ancora la calligrafia attorcigliata impressa sul foglio si intravede, anche se appena, non tutta la frase, ma il senso, almeno, con una sola singola parola, quasi potesse trattenere dentro di sé tutto quanto il senso o il significato, si capisce. Puttana.
3 commenti:
Bello. È parte di un testo più lungo?
ciao Giulia.
Si, fa parte di un lavoro più lungo.. un bel po' più lungo..
spero un giorno sarà leggibile
grazie per il complimento :)
Lo spero anche io e aspetto di leggerlo! :)
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