“Allora tua madre come sta? Se la cava?”
“Mi pare di si” ho risposto. “È solo un po’ esaurita. E triste.”
“Senti, se tua madre ha una virtù è che la tristezza le passa in fretta.”
Detesto quando papà fa osservazioni di questo genere sulla mamma, e viceversa. Se uno divorzia, secondo me perde il diritto a fare commenti sui comportamenti o sul carattere dell’altro.
Non sono uno psicopatico (anche se non credo che gli psicopatici si definiscano tali), è solo che non mi diverto a stare con gli altri. Le persone, almeno per quel che ho visto fino adesso, non si dicono granché di interessante. Parlano delle loro vite, e le loro vite non sono interessanti. Quindi mi secco. Secondo me bisognerebbe parlare solo se si ha da dire qualcosa di interessante o di necessario. Non mi ero mai reso conto di quanto questo stato d’animo mi avesse complicato la vita fino all’esperienza che mi è capitata la primavera scorsa.
Un’esperienza orribile.
Se non fosse una tragedia, mi verrebbe da ridere a pensare che la religione è considerata una forza positiva, che rende le persone buone e caritatevoli. La maggior parte dei conflitti passati e presenti sono dovuti all’intolleranza religiosa. È un argomento su cui potrei andare avanti all’infinito perché mi disturba moltissimo, soprattutto dopo fatti come l’11 settembre, ma la smetterò qui.
Tu parli di cultura, di libri, di film: quelli è facile farseli piacere. Ma l’importante è che ci piaccia la vita, non l’arte. Sono capaci tutti di ammirare la Cappella Sistina.
Sono rimasto zitto. Aveva ragione e lo sapevo, anche se questo non cambiava nulla. La gente pensa che se riesce a dimostrare di aver ragione l’altro cambierà idea, ma non è così.
“No,” le ho risposto “hai ragione. È vero.”
“È vero cosa?” ha chiesto.
“Che sono disturbato.” Pensavo al significato di questa parola, a che cosa volesse dire veramente, come quando si disturba la quiete o la televisione è disturbata. O quando ci si sente disturbati da un libro o da un film o dalla foresta vergine che brucia o dalle calotte polari che si ritirano. O dalla guerra in Iraq. Era uno di quei momenti in cui ti sembra di non aver mai sentito una certa parola e non riesci a credere che abbia proprio quel significato, e cominci a riflettere su come ci si è arrivati. È come il rintocco di una campana, cristallino e puro, disturbato disturbato disturbato, sentivo il suono vero della parola, così ho detto, come se me ne fossi appena accorto: “Sono disturbato.”
Riflettevo sui concetti di pensiero e di linguaggio, a quanto sarebbe stato difficile esprimerli – o quantomeno spossante, come se pensarli fosse già abbastanza e dirli fosse pleonastico o riduttivo, perché lo sanno tutti che la traduzione svilisce un testo, è sempre meglio leggere il libro nella lingua originale (A la recherche du temps perdu). Le traduzioni sono solo delle approssimazioni soggettive e questo è esattamente quello che provo quando parlo: quello che dico non è quello che penso ma solo quello che più gli si avvicina, con tutti i limiti e le imperfezioni del linguaggio.
Quasi tutti pensano che le cose non siano vere finché non sono state dette, che sia la comunicazione, non il pensiero a dargli legittimità. È per questo che la gente vuole sempre gli si dica “Ti amo, ti voglio bene”. Per me è il contrario: i pensieri sono più veri quando vengono pensati, esprimerli li distorce o li diluisce, la cosa migliore è che restino nell’hangar buio della mente, nel suo clima controllato, perché l’aria e la luce possono alterarli come una pellicola esposta accidentalmente.
Mi sento sempre in difetto di fronte alle persone che parlano più di una lingua. Le invidio. Disponendo di due (o più) lessici, non solo possono dire molte più cose e parlare a molte più persone, ma anche pensare di più. Spesso mi sembra di inseguire un pensiero, ma di non riuscire a trovare una lingua per dargli forma e il pensiero rimane solo una sensazione. A volte è come se pensassi in svedese senza sapere lo svedese.
A volte le brutte esperienze aiutano, servono a chiarire che cosa dobbiamo fare davvero. Forse ti sembro troppo ottimista, ma io penso che le persone che fanno solo belle esperienze non sono molto interessanti. Possono essere appagate, e magari a modo loro anche felici, ma non sono molto profonde. Ora la tua ti può sembrare una sciagura che ti complica la vita, ma sai… godersi i momenti felici è facile. Non che la felicità sia necessariamente semplice. Io non credo, però, che la tua vita sarà così, e sono convinta che proprio per questo tu sarai una persona migliore. Il difficile è non lasciarsi abbattere dai momenti brutti. Devi considerarli un dono – un dono crudele, ma pur sempre un dono.
Peter Cameron
Nessun commento:
Posta un commento