C’è un’affinità tra questo Le idi di Marzo e Inception: nel film fantascientifico di Christopher Nolan c’è la trottola che gira, gira, gira e il film finisce; qui invece c’è Ryan Gosling che guarda dritto in camera poco prima dell’inizio dei titoli di coda. Clooney lascia gli spettatori in sospeso, chiedendo agli stessi di rispondere a questa domanda non detta, lasciando come dire un finale aperto: decidano loro.
Prima di arrivare a questo punto la pellicola si dipana nell’arco di una campagna elettorale per le primarie dei democratici statunitensi. Durante questo periodo facciamo la conoscenza di personaggi interpretati da grandi attori, quali per esempio il capo della campagna del candidato George Clooney (il quale si ritaglia a livello attoriale un ruolo marginale) dal volto di Philip Seymour Hoffman, una Marisa Tomei giornalista, un avversario magari appena accennato ma capace di risultare forte non appena viene dato un po’ di spazio a Paul Gimatti, e una giovane e debole (ma allo stesso tempo incantevole) Even Rechel Wood. Tutti questi personaggi ruotano attorno al protagonista Ryan Gosling, attraverso cui noi spettatori vediamo tutte le vicende e con cui condividiamo la perdita dell’innocenza iniziale.
Il film, oltre a sottolineare la natura della politica, senza nulla aggiungere a quanto già detto magari da altre pellicole, sempre più lontana dalle esigenze degli elettori e sempre più vicina ai giochi di potere fatti di sedie e posizioni, parte da una situazione iniziale con Gosling convinto a parlare di fronte a un microfono, fino ad arrivare alla fine per ritrovare sempre Gosling, sempre davanti a un microfono, ma profondamente cambiato.
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