Portare al cinema il baseball è sempre stato un problema. Portare poi i film basati sul baseball in territorio italiano diventa ancora più difficile. Gli unici esempi un po’ di rilievo sono L’uomo dei sogni e Bull Durham. Può essere solo una coincidenza o il fatto che in entrambi ci sia Kevin Costner significa qualcosa?
Al di là di questo, L’arte di vincere affronta il baseball aggirandolo e non prendendolo prepotentemente di petto. Non scende in campo con i giocatori, anzi: con i giocatori cerca di averci meno a che fare, proprio come il personaggio di Brad Pitt. Vede il gioco guardandolo da fuori, quando lo guarda o lo sente, e cerca di mischiare due scienze quali il gioco e la ferrea statistica. Tratta lo sport con i numeri, tentando di decifrarne il significato per arrivare infine alla vittoria.
È un percorso giusto? Può darsi di si, può darsi di no. Molto probabilmente la strada giusta sta nel mezzo, e laddove il metodo tirato fuori dal cilindro dal general manager degli Oakland Athletics (il tutto è tratto da una storia vera) per ovviare allo scarso budget va a infrangersi con il fallimento, lo stesso metodo usato per abbassare i costi può portare invece alla vittoria. Può sembrare la stessa cosa ma è leggermente diverso.
Così come è diverso parlare di baseball e farlo vedere. Diverso è fare un film sul baseball e ambientare un film sul baseball. L’arte di vincere parla del baseball e ambienta sul baseball, e il risultato magari non è da urlo, o capelli strappati, ma è comunque assai godibile.
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