Non avendo letto il libro né visto il film svedese, non posso divertirmi a fare quell’opera di collage che mi permetterebbe di creare un nuovo “prodotto” a tutto tondo, più che tridimensionale, multimediale. Mi devo accontentare di questo film targato David Fincher, il quale qui pare limitarsi a svolgere il suo compito senza troppo trasporto, dirigendo un granitico Daniel Craig (novello 007 a cui viene reso omaggio con i titoli di testa molto jamesbondiani) e una punkettara Rooney Mara, irriconoscibile se si pensa che nel film precedente di Fincher era l’amore eterno di Mark Zuckerberg.
Sono passati i tempi di Fight club o Seven, e non bisogna cogliere una vena dispiaciuta in questa affermazione, è solo una considerazione di quanto il regista americano abbia voltato pagina. Se prima sentiva la necessità di stupire lo spettatore, ora magari desidera riempire gli occhi e la testa di chi vede i suoi lavori con film pieni e quadrati. The social network e per certi versi Il curioso caso di Benjamin Button lo erano: dimostrazioni di una scelta di stile che ha portato risultati in crescendo, a partire dalla prima pellicola di questa svolta, ovvero Zodiac.
Sotto questo aspetto Millennium: uomini che odiano le donne è un piccolo passo indietro. Il film si guarda molto bene, se si tralascia il leggero senso di spaesamento nel doversi orientare nei mille dedali dei gradi di parentela dell’ampia famiglia Vanger, ma una volta finito si ha la sensazione di notare dei piccoli fori sulla superficie altrimenti liscia e perfetta di un buon tessuto. Alcuni dubbi ti arrivano a visione ormai conclusa (sintomo di quanto il film riesca a immergerti nella propria atmosfera, ma è quando ne esci che in qualche modo il film stesso perde potere) e ti trovi pure a vedere il finale come a una parte priva di ritmo giustificato, quasi fosse girato per essere messo a metà film, o a tra quarti, o… verrà spiegato in un possibile (se prodotto, in quanto a livello letterario e svedese esiste eccome) sequel? Chissà.
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