E' tempo di tornare su Medium. E' tempo di allargarsi un po' e provare a raccontare qualcosa di più grande. Ma allo stesso tempo di più piccolo, intimista.
Dal grande al piccolo. Il racconto trova il suo luogo in Florida, ma non in una grande città, bensì in piccolo paese.
Ed è lì che tutto avviene. O non avviene niente. Oppure tutto e niente.
Per scoprirlo basta andare qui:
Guardare animali e tramonti fino a domani su Medium
mercoledì 28 gennaio 2015
lunedì 26 gennaio 2015
Oscar e la dama in rosa
Scrivere è solo una bugia che abbellisce la realtà. Una cosa da adulti.
“Ti sentiresti meno solo.”
“Meno solo con qualcuno che non esiste?”
“Fallo esistere.”
I pensieri che non dici sono pensieri che pensano, che si incrostano, che ti opprimono, che ti immobilizzano, che prendono il posto delle idee nuove e che ti infettano. Diventerai una discarica di vecchi pensieri che puzzano, se non parli.
Se mi interesso a quello che pensano i cretini, non avrò più tempo per quello che pensano le persone intelligenti.
Bisogna distinguere due pene, Oscar, la sofferenza fisica e la sofferenza morale. La sofferenza fisica la si subisce. La sofferenza morale la si sceglie.
Vedi, è morta lo stesso, come tutti, ma l’idea di morire le ha rovinato la vita.
Le domande più interessanti rimangono domande. Avvolgono un mistero. A ogni risposta, si deve associare un “forse”. Sono solo le domande senza interesse ad avere una risposta definitiva.
Eric-Emmanuel Schmitt
“Ti sentiresti meno solo.”
“Meno solo con qualcuno che non esiste?”
“Fallo esistere.”
I pensieri che non dici sono pensieri che pensano, che si incrostano, che ti opprimono, che ti immobilizzano, che prendono il posto delle idee nuove e che ti infettano. Diventerai una discarica di vecchi pensieri che puzzano, se non parli.
Se mi interesso a quello che pensano i cretini, non avrò più tempo per quello che pensano le persone intelligenti.
Bisogna distinguere due pene, Oscar, la sofferenza fisica e la sofferenza morale. La sofferenza fisica la si subisce. La sofferenza morale la si sceglie.
Vedi, è morta lo stesso, come tutti, ma l’idea di morire le ha rovinato la vita.
Le domande più interessanti rimangono domande. Avvolgono un mistero. A ogni risposta, si deve associare un “forse”. Sono solo le domande senza interesse ad avere una risposta definitiva.
Eric-Emmanuel Schmitt
mercoledì 21 gennaio 2015
Squali vs Ippopotami
È necessario fare fin dall'inizio una precisazione. Gli squali sono pericolosi, ma solo cinque uomini all'anno muoiono a causa di un attacco di questi animali. Il motivo principale è che per gli squali la carne umana non è molto appetitosa. Gli uomini vengono attaccati solo perché, dalla prospettiva del predatore, la figura che si intravede dall'acqua dal basso verso l'alto somiglia molto a quella della sua preda preferita, ovvero il leone marino. I surfisti sono i soggetti attaccati con più frequenza dagli squali, ma non vengono mai mangiati per intero. Gli squali infatti per prima cosa assaggiano sempre la propria preda, e il primo boccone, nel caso dei surfisti, suggerisce loro che quello che loro pensavano fosse un leone marino non è in realtà un leone marino. Appurato questo smettono di attaccare la prede e nuotano via. Purtroppo per i surfisti ricevere un morso da uno squalo non è come riceverlo da un gatto.
A livello statistico, nell'arco di un anno, sono molto di più le morti causate dagli ippopotami. Questi animali hanno la fama di essere una delle specie più violente attualmente in circolazione sulla terra, ma anche in questo caso è necessario fare una precisazione. È vero: le morti causate dagli ippopotami sono assai numerose, ma nessuna delle vittime viene uccisa direttamente dall'ippopotamo. Le morti in questione sono infatti causate dall'ippopotamo, ma non sono mai eseguite dallo stesso. Il motivo di questa discordanza è abbastanza semplice da spiegare. Gli ippopotami sono in effetti una specie assai cattiva, ma non come si intende solitamente. Le loro armi non sono la ferocia, i denti aguzzi e la rapidità nei movimenti (quale rapidità? direte voi). Le armi degli ippopotami sono molto più subdole e altrettanto letali.
La vittima degli ippopotami non è mai esente da colpe. Tutto il processo che lo porterà a perire a causa di un ippopotamo ha inizio sempre a causa sua. È lui infatti che comincia deridendo pesantemente un animale altrimenti abbastanza tranquillo come l'ippopotamo. Lo indica scherzando dal finestrino della macchina, prendendolo in giro per il suo aspetto o per l'aria leggermente assonnata che lo contraddistinguono, per poi andarsene senza neppure sentirsi minimamente in colpa. L'ippopotamo è però un animale molto sensibile e allo stesso tempo assai vendicativo. In un primo tempo rimane profondamente scosso per le derisioni subite, ma poi decide in modo alquanto rapido di passare al contrattacco. Comincia così una costante azione di disturbo ai danni di colui che inizialmente lo aveva preso in giro. Lo segue ovunque (luogo di lavoro, campi di calcetto, docce degli spogliatoi dei campi di calcetto), infliggendo al malcapitato una lenta agonia ossessiva. È un tormento difficile da capire per chi non lo ha subito, ma essere perseguitato da un ippopotamo e vederlo ovunque capendo di essere pedinato giorno e notte da questo animale è una delle più atroci torture psicologiche che la natura abbia mai messo in scena. Alla fine, il soggetto oggetto del tallonamento da parte dell'ippopotamo, non ce la fa più e, stremato dai nervi logori, decide di togliersi la vita pur di porre fine a un supplizio altrimenti apparentemente eterno.
Ecco quindi la morte. È causata dall'ippopotamo, ma lui non si è macchiato le mani, o le zampe, per uccidere nessuno.
A livello statistico, nell'arco di un anno, sono molto di più le morti causate dagli ippopotami. Questi animali hanno la fama di essere una delle specie più violente attualmente in circolazione sulla terra, ma anche in questo caso è necessario fare una precisazione. È vero: le morti causate dagli ippopotami sono assai numerose, ma nessuna delle vittime viene uccisa direttamente dall'ippopotamo. Le morti in questione sono infatti causate dall'ippopotamo, ma non sono mai eseguite dallo stesso. Il motivo di questa discordanza è abbastanza semplice da spiegare. Gli ippopotami sono in effetti una specie assai cattiva, ma non come si intende solitamente. Le loro armi non sono la ferocia, i denti aguzzi e la rapidità nei movimenti (quale rapidità? direte voi). Le armi degli ippopotami sono molto più subdole e altrettanto letali.
La vittima degli ippopotami non è mai esente da colpe. Tutto il processo che lo porterà a perire a causa di un ippopotamo ha inizio sempre a causa sua. È lui infatti che comincia deridendo pesantemente un animale altrimenti abbastanza tranquillo come l'ippopotamo. Lo indica scherzando dal finestrino della macchina, prendendolo in giro per il suo aspetto o per l'aria leggermente assonnata che lo contraddistinguono, per poi andarsene senza neppure sentirsi minimamente in colpa. L'ippopotamo è però un animale molto sensibile e allo stesso tempo assai vendicativo. In un primo tempo rimane profondamente scosso per le derisioni subite, ma poi decide in modo alquanto rapido di passare al contrattacco. Comincia così una costante azione di disturbo ai danni di colui che inizialmente lo aveva preso in giro. Lo segue ovunque (luogo di lavoro, campi di calcetto, docce degli spogliatoi dei campi di calcetto), infliggendo al malcapitato una lenta agonia ossessiva. È un tormento difficile da capire per chi non lo ha subito, ma essere perseguitato da un ippopotamo e vederlo ovunque capendo di essere pedinato giorno e notte da questo animale è una delle più atroci torture psicologiche che la natura abbia mai messo in scena. Alla fine, il soggetto oggetto del tallonamento da parte dell'ippopotamo, non ce la fa più e, stremato dai nervi logori, decide di togliersi la vita pur di porre fine a un supplizio altrimenti apparentemente eterno.
Ecco quindi la morte. È causata dall'ippopotamo, ma lui non si è macchiato le mani, o le zampe, per uccidere nessuno.
lunedì 19 gennaio 2015
M.
Di tanto in tanto, durante quelle contemplazioni, Jakob sentiva di essere vicino alla soluzione, ma proprio quando vedeva la chiave sotto i suoi occhi, quando gli sarebbe stato sufficiente trascriverla per farla definitivamente propria, lo prendeva un’eccitazione tale che sprovava un senso di vertigine, le mani gli tremavano e la vista si annebbiava. Spesso quello stato di Ebrezza durava soltanto un attimo, ma la conseguenza era sempre la stessa: che quando riassumeva il controllo non c’era più niente davanti a lui.
Col tempo aveva imparato a prepararsi al peggio, ovvero che il mondo funzionasse in base a leggi d’improvvisazione per le quali non era affatto portato.
La natura umana – quella occidentale naturale, perlomeno – è afflitta dalla deleteria inclinazione di pensare al tempo come a una bella linea retta dove le cose possano tranquillamente sistemarsi secondo la sequenza mai-prima-ora-dopo-mai. Grazie a questa retta, si è instaurata la convinzione che a un atto-o-evento dalle conseguenze negative sia possibile posporre un nuovo atto-o-evento che prevenga o ripari i danni del precedente. Come se la risposta a una macchia sul vestito non sia il detersivo, ma il vestito pulito. Ci può essere un’idea più malsana del pensare di porre rimedio a un danno soltanto con la pretesa che, dopo il danno, le cose torneranno come prima?
Tutti sanno quanto impossibile sia non innamorarsi quando ci si lascia un po’ andare. Anche soltanto un po’.
Si dice che l’uomo stabilisca di custodire un’anima nel momento in cui si rende conto di essere in un corpo.
De Kaard, come tutti gli essere soventemente noti come Noi, passerà dal bambinesco vivere all’adulto esistere tutto d’un colpo, senza transitori paradisi generazionali.
Non basta evitare di essere paranoici per non avere nemici.
Perché alla lontananza delle anime non c’è rimedio e il fare l’amore spesso fa solo le anime più lontane tra loro, tanto lontane che arrivano ad aver paura di guardarsi l’un l’altra, tanto lontane da studiarsi di sottecchi, tanto lontane da odiarsi quando capita loro di avvicinarsi.
Passò il tempo di quel silenzio a contare gli anelli della colonna vertebrale di lei per vedere se li aveva tutti, ma riuscì a individuare solo una quindicina di sporgenze tonde su quella schiena bianca quasi come le pareti del mondo.
Tommaso Pincio
Col tempo aveva imparato a prepararsi al peggio, ovvero che il mondo funzionasse in base a leggi d’improvvisazione per le quali non era affatto portato.
La natura umana – quella occidentale naturale, perlomeno – è afflitta dalla deleteria inclinazione di pensare al tempo come a una bella linea retta dove le cose possano tranquillamente sistemarsi secondo la sequenza mai-prima-ora-dopo-mai. Grazie a questa retta, si è instaurata la convinzione che a un atto-o-evento dalle conseguenze negative sia possibile posporre un nuovo atto-o-evento che prevenga o ripari i danni del precedente. Come se la risposta a una macchia sul vestito non sia il detersivo, ma il vestito pulito. Ci può essere un’idea più malsana del pensare di porre rimedio a un danno soltanto con la pretesa che, dopo il danno, le cose torneranno come prima?
Tutti sanno quanto impossibile sia non innamorarsi quando ci si lascia un po’ andare. Anche soltanto un po’.
Si dice che l’uomo stabilisca di custodire un’anima nel momento in cui si rende conto di essere in un corpo.
De Kaard, come tutti gli essere soventemente noti come Noi, passerà dal bambinesco vivere all’adulto esistere tutto d’un colpo, senza transitori paradisi generazionali.
Non basta evitare di essere paranoici per non avere nemici.
Perché alla lontananza delle anime non c’è rimedio e il fare l’amore spesso fa solo le anime più lontane tra loro, tanto lontane che arrivano ad aver paura di guardarsi l’un l’altra, tanto lontane da studiarsi di sottecchi, tanto lontane da odiarsi quando capita loro di avvicinarsi.
Passò il tempo di quel silenzio a contare gli anelli della colonna vertebrale di lei per vedere se li aveva tutti, ma riuscì a individuare solo una quindicina di sporgenze tonde su quella schiena bianca quasi come le pareti del mondo.
Tommaso Pincio
mercoledì 14 gennaio 2015
La cosa più importante quando saremo morti
Quando moriremo ci faremo seppellire al nord per farci intitolare delle strade vicine. Andremo a mangiare pizza in un locale molto accogliente e con ampio parcheggio, presentandoci vestiti di stracci, ricoperti di terra come zombi. Imposteremo il navigatore satellitare per non perderci e ritrovare la via di casa dopo avere digerito. Attraverseremo un campo sperduto senza preoccuparci dell'asfalto assente. Ci meraviglieremo di quanto sia diversa la vita, su al nord, ma anche la vita quando noi saremo morti, quando vivremo solo di notte e andremo a giro per le piccole città di provincia dal tramonto del sole fino all'alba. Poi passeremo il giorno chiusi dentro casa a marcire, perdere pezzi della pelle e abbandonare quello che ci definisce vivi. Saremo morti, non avremo bisogno del tempo. Passeremo le notti cercando di calcolare quanto sia facile abbordare una ragazza in riva a un lago, durante il tramonto, con un paesaggio da sogno. Poi ci vanteremo di poter frequentare le terme più costose di tutto il continente, come se queste fossero un club esclusivo nel quale non andremmo mai se accettassero davvero noi come soci. Noi non sappiamo giocare a golf, ma sappiamo passare il tempo inventando milioni di vite diverse. Un'abilità assai importante quando si è morti: riuscire a inventare la vita. È una qualità talmente fondamentale che cerchiamo di sviluppare tutti i giorni, fin da ora, guardandoci allo specchio e trascorrendo il nostro tempo. Viviamo inventandoci la vita. Non solo la nostra, ma quella di tutti.
martedì 13 gennaio 2015
La differenza della neve
Abbiamo iniziato l'anno cercando le differenze tra la neve italiana e quella romena. Il tipo di freddo, quello secco, quello asciutto, quello con umidità, con vento e senza vento. Siamo andati a cercare i boschi senza sapere se saremmo mai arrivati. Non sapevamo che i boschi ce li avremmo portati sempre dentro, e che è inutile cercare qui quei boschi, perché i boschi si riempiono di neve in modo diverso. Dipende da dove si trovano, e da quanto sono soli. Basta pensare al rumore che fa la neve quando cade dai rami ormai troppo carichi. Era un leggero fruscio, si confondeva con il rumore delle taglialegna che arrivavano da lontano. Qui invece gli alberi sembrano tutti dei culturisti, tengono neve senza sentirne il peso. Non si stancano mai, non si abbandonano al riposo. Tengono duro fino a quando tutto attorno a loro non c'è più nessuno, solo allora, forse, lasciano cadere la neve che hanno addosso. Si scuotono come i cani, ripulendosi di tutto il bianco che non li invecchia ma li infreddolisce fino a congelare la clorofilla.
E tu mi dici: fermati, accosta. Vorrei tanto farlo, anche solo per capire dove siamo, se ci siamo persi o se basterebbe solo fare inversione, di marcia di pensieri di nuova versione, per ritrovare di nuovo la nostra meta. Il problema è che qui se ci fermiamo c'è il rischio di non ripartire più. Dobbiamo solo rassegnarci al fatto che siamo qui, e non più là. Almeno fino ad ora, per un po'.
E tu mi dici: fermati, accosta. Vorrei tanto farlo, anche solo per capire dove siamo, se ci siamo persi o se basterebbe solo fare inversione, di marcia di pensieri di nuova versione, per ritrovare di nuovo la nostra meta. Il problema è che qui se ci fermiamo c'è il rischio di non ripartire più. Dobbiamo solo rassegnarci al fatto che siamo qui, e non più là. Almeno fino ad ora, per un po'.
lunedì 12 gennaio 2015
Dicembre 2014
"Fintanto che ti preoccupi di quello che gli altri pensano di te, appartieni a loro."
Neale Donald Walsch
Neale Donald Walsch
venerdì 2 gennaio 2015
(I Can't Get No) Satisfaction
I'm driving in my car
And a man come on the radio
He's tellin' me more and more
'Bout some useless information
Tryin' to mess my 'magination
When I'm watchin' my TV
And a man come on to tell me
How white my shirts can be
But he can't be a man
'Cause he doesn't smoke the same cigarettes as me
When I'm riding around the globe
And I'm doin' this and I'm signin' that
And I'm tryin' to make some boy
Baby, baby, baby, come back
Can't y'see
I'm on a losing streak
When I'm riding around the globe
And I'm doin' this and I'm signin' that
And I'm tryin'
And I'm tryin'
Performed by Cat Power
And a man come on the radio
He's tellin' me more and more
'Bout some useless information
Tryin' to mess my 'magination
When I'm watchin' my TV
And a man come on to tell me
How white my shirts can be
But he can't be a man
'Cause he doesn't smoke the same cigarettes as me
When I'm riding around the globe
And I'm doin' this and I'm signin' that
And I'm tryin' to make some boy
Baby, baby, baby, come back
Can't y'see
I'm on a losing streak
When I'm riding around the globe
And I'm doin' this and I'm signin' that
And I'm tryin'
And I'm tryin'
Performed by Cat Power
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