Abbiamo iniziato l'anno cercando le differenze tra la neve italiana e quella romena. Il tipo di freddo, quello secco, quello asciutto, quello con umidità, con vento e senza vento. Siamo andati a cercare i boschi senza sapere se saremmo mai arrivati. Non sapevamo che i boschi ce li avremmo portati sempre dentro, e che è inutile cercare qui quei boschi, perché i boschi si riempiono di neve in modo diverso. Dipende da dove si trovano, e da quanto sono soli. Basta pensare al rumore che fa la neve quando cade dai rami ormai troppo carichi. Era un leggero fruscio, si confondeva con il rumore delle taglialegna che arrivavano da lontano. Qui invece gli alberi sembrano tutti dei culturisti, tengono neve senza sentirne il peso. Non si stancano mai, non si abbandonano al riposo. Tengono duro fino a quando tutto attorno a loro non c'è più nessuno, solo allora, forse, lasciano cadere la neve che hanno addosso. Si scuotono come i cani, ripulendosi di tutto il bianco che non li invecchia ma li infreddolisce fino a congelare la clorofilla.
E tu mi dici: fermati, accosta. Vorrei tanto farlo, anche solo per capire dove siamo, se ci siamo persi o se basterebbe solo fare inversione, di marcia di pensieri di nuova versione, per ritrovare di nuovo la nostra meta. Il problema è che qui se ci fermiamo c'è il rischio di non ripartire più. Dobbiamo solo rassegnarci al fatto che siamo qui, e non più là. Almeno fino ad ora, per un po'.
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