A volte mi piace pensare di non essere solo quello stupido bimboccio che si lascia affascinare da uomini mascherati da pipistrelli o da clown malvagi pronti a far scoppiare il caos. Sono ugualmente sempre convinto che nonostante tutto anche due personaggi del genere, se calati in situazioni giuste, e con gli intenti corretti, siano capaci di "dire" qualcosa. In fondo una storia, che sia di fantasia pura, di fantascienza, o di realtà spicciola, con protagonisti assurdi o del tutto reali, è pur sempre e solo il mezzo, mai il fine. Non serve a niente affogare le parole, o meglio: non serve a niente usare le parole per creare un mare di realismo se poi alla fine non rimangono altro che singole parole messe una accanto all'altra. C'è bisogno sempre di legarle le une alle altre, di dargli un senso, di fare in modo che alla fine tutto quanto acquisti un significato, che abbia un senso, e non si limiti a rimanere in piedi solo perchè lo abbiamo costruito.
Per questo a volte mi guardo intorno e poi guardo me, e non riesco a non reprimere la voglia di poter diventare, o almeno giocare a fare uno di quegli alchimisti di fino o inizio ottocento (non mi ricordo); quelli che si mettevano lì e cercavano di dare delle spiegazioni a cose a cui fino ad allora non si riusciva a dare un senso.
E allora vorrei mettere un corpo umano di fronte ad una luce abbagliante e riuscire a vederci attraverso. Vorrei capire cos'è che spinge le persone a fare determinate cose e a non farne altre. Vorrei scoprire quel poco che ancora rimane da scoprire di noi.
Fino ad ora ci siamo affannati per capire come funzioni un muscolo, quali potrebbero essere i suoi malanni, come fare a guarirlo; abbiamo studiato le vene, le ossa, il battito del cuore e le varie malattie per poi scoprire come fare a curarle. Ci rimane ancora da capire come combattere il cancro, o l'aids, forse perchè in entrambi i casi non abbiamo capito a fondo ciò che queste malattie sono. Ma sempre ci siamo fermati a controllare il lato meccanico di tutta la faccenda, forse perchè decisamente risulta essere quello più facile da studiare. Ma questo non è altro che una singola parte, una minima parte, di ciò che siamo, o che pensiamo o vogliamo essere. Io lo so; voi lo sapete; tutti lo sappiamo.
Se fosse così, se tutto si potesse riassumere ad un semplice meccanismo che attraverso un impulsto nervoso fa contrarre un muscolo muovendo una o più ossa, saremmo delle semplice macchine, e tutti si comporterebbero più o meno allo stesso modo. Non ci sarebbero criminali (oppure tutti saremmo criminali); non ci sarebbero persone che di punto in bianco mollano tutto e si mettono a fare quello che fino a pochi giorni prima odiavano; non ci sarebbero persone a cui piace più la pizza rispetto agli spaghetti. Invece ognuno di noi, come piccole ed indipendenti particelle impazzite ci troviamo di minuto in minuto a fare qualcosa di completamente diverso da quello che fa un altro individuo. Una persona va a destra, un'altra a sinitra, mentre due tornano indietro e una si mette a guardare un'altra ancora che prosegue dritto. Allora ci deve essere qualcosa, qualcosa che magari scivola lungo tutte le parti meccaniche e fa in modo di diversificare un meccanismo che bene o male è pur sempre costruito in serie, o che per lo meno ha un progetto comune.
Mi rendo conto che tutti questi discorsi sembrano così banali, magari triti e ritriti, già discussi da persone che ne sapevano o ne sanno assai più di me. E non mi piace neppure parlarne un gran che, perchè lette così sembra quasi che stia parlando dell'anima o di che so io, quando invece l'anima non esiste o se esiste è qualcosa di completamente diverso da quello che intendiamo noi. Perchè altrimenti, se l'anima fosse quell'olio che cola tra le ossa, attraverso i muscoli e si insinua in tutti gli spazi vuoti e colmabili delle nostre viscere; se davvero l'anima fosse quel qualcosa in più, allora avremmo già capito tutto, non ci sarebbe più bisogno di cercare, di scavare, di sudare per comprendere ciò che in fondo agoniamo. Invece una persona ci guarda, e di fronte a noi si apre un ventaglio infinito di significati da assegnare a quello sguardo.
Ecco: ogni tanto desidererei essere capace di tradurre i gesti delle persone in qualcosa di comprensibile a tutti, o almeno a me stesso. Di riuscire ad assegnare un significato oggettivo ad un qualcosa che nonostante tutti gli sforzi di immaginazione possibili ed immaginabili rimane per forza soggettivo. Perchè in fondo, fino a quando non scopriamo quel qualcosa in più, fino a quando non riusciamo a tirarlo fuori e studiarlo e analizzarlo e sezionarlo, per capire di cosa si tratti in realtà e per farci insegnare quello che ancora ignoriamo; fino ad allora ogni singola persona rimane sempre un linguaggio unico e diverso da qualsiasi altro che non abbiamo ancora imparato a parlare.
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