mercoledì 19 novembre 2008

Grand River


Siamo noi italiani che applaudiamo quando l’aereo atterra, increduli, compiaciuti per la nostra buona sorte, in culo a chi precipita.

Stabilisco che l’autobus sarà il mezzo preferenziale di spostamento: è il più economico, e garantisce l’attraversamento fisico del territorio, un servizio di cinema dal vivo che nessun altro assicura.

Mi fa ridere la grande insegna luminosa di un fast food italiano: Sgt. Pepperoni.

Punta Molly Brant sul Rideau, seduto sotto un albero, guardo le anatre indolenti, respiro con i polmoni del mondo, osservo quello che chiamiamo natura, e invece è tutt’altro.
È storia passata e presente.

In questa fase della vita, mi chiedo se la superficie esaurisca la profondità, se chi sa cogliere ciò che appare in maniera evidente sia anche colui ce comprende il senso intimo delle cose.

Il viaggio, lo sento, sta mutando segno. Se nelle tappe precedenti l’attitudine era quella dell’osservatore, e le interazioni rade e formali, ora questo si sta trasformando in quello che chiamo un viaggio di uomini (e donne). Un’esperienza dove i luoghi che attraversi assumono prospettiva e significato grazie alle persone che incontri.

Del resto, un uomo non è una macchina fotografica. Neanche una macchina fotografica, una volta puntata, è obbiettiva. L’angolo di visuale, la prospettiva, non sono mai neutre.

Di recente, con la donna che amo, abbiamo scherzato che quando rischi di commuoverti durante uno spot commerciale, allora davvero qualcosa non funziona.

Wu Ming

Nessun commento: