c'è chi questa estate non ha ancora capito quando diavolo sia iniziata, o se per caso sia già finita. c'è chi parte e sbaglia a fare le valige, chi percorre chilometri e chilometri per trovarsi solo sempre dietro ai temporali; chi viaggia e trova prima pioggia, poi sole all'improvviso all'uscita dell'ennesima galleria, asfalto drenante e non drenante.
c'è chi parla e mentre lo si ascolta attentamente si ha l'impressione di stare a parlare con una pizza quattro stagioni: estate autunno inverno e primavera. pensa che per aver bel tempo basti girare un poco il piatto per vedere le foglie verdi ancora appese ai rami, oppure gialle cadute sulle strade.
poi c'è chi si sfascia i piedi non tanto per diletto quanto invece per caso. non si tratta di calciatori, che magari puntano il piede dentro il terreno e obbligano le articolazioni a movimenti innaturali, tanto innaturali da non poterne più, e: crack. non son neppure dei cestisti, che sotto canestro saltano per ricadere poi caso mai male su ginocchia che non reggono, o se reggono reggan peggio, piegandosi nel verso sbagliato o di lato, così tanto e d'improvviso che senza neppure accorgersene: crack. non sono sportivi in generali. sono persone che quando qualcuno dice loro: scaldati, entri nel secondo tempo; non possono far altro che replicare: sono infortunata, non gioco. persone che camminano tranquille, senza guardare con attenzione dove mettono i piedi, perché in certi casi è giusto far così, bisogna pur sempre dare per scontato qualche cosa, tipo che le gambe non ti cedano all'improvviso, lasciandoti andare giù verso il terreno o il marciapiede, che magari una buca non ti faccia un agguato mentre sei perso per i fatti tuoi, pensando a quanto sia bella una città rispetto ad un'altra, e: crack.
certe cose succedono sempre quando meno te lo aspetti, perché altrimenti se si potesse saperlo, se si fosse consci del momento in cui ci facciamo male, potremmo dirci poi: saremmo stati più attenti; avrei indossato una protezione, avrei camminato per benino un passo dietro l'altro, avrei annodato più stretti in modo che non si sciogliessero tutti quanti i legamenti che dentro ho. ma in questo modo sarebbe un po' come barare, sapere già prima di alzare il mazzo quali carte avremo per le mani. e poi potremmo farci del male nell'altro modo, in senso opposto: potremmo fare nodi e doppi nodi ai tendini per esser certi che non si slaccino alla prima difficoltà, ma rischieremmo di legarci troppo stretti, di accumulare fiocchi e controfiocchi laddove non dovrebbero esserci che stringhe ben tirate, mentre noi non facciamo altro che appesantirle di pensieri, di pressioni, di premure, cure, e: crack.
quando si fa crack ci si rompe ed il tempo si dilata, quasi quanto la ferita che non squarta la pelle ma si allarga al suo interno. più si gonfia, dice, e più impiegherà a tornare delle dimensioni normali, perché anche se fuori non si vede sanguinare si sanguina pur dentro, e se ci fosse un taglio, un buco, una fessura, almeno tutto questo sangue saprebbe dove andare, sgorgando fuori per fuggire via; l'unica preoccupazione sarebbe quella di non finirlo, il sangue, morendo appunto dissanguati. ma è assai difficile. mentre invece quando ci si fa male senza tagliarci si sanguina lo stesso, solo che tutto il sangue non ha alcun modo di scappare e rimane intrappolato dentro, prendendo spazio che non dovrebbe prendere perché in fondo non è suo. i muscoli che dicono: hey, qui ci dovrei stare io! poi i nervi, le vene secondarie, e chissà quanto altro abbiamo nascosto sottopelle e non ci rendiamo neppure conto di possedere. si innesca una reazione a catena che porta a traslocare da un punto ad un altro un sacco di cose che si smuovono non certo senza dolore, mentre il sangue gonfia gonfia, quasi stesse riempiendo una diga o un bacino naturale.
in certi casi non bisogna far altro che aspettare. attendere che il nostro corpo riprenda un po' in mano la questione, che dica a tutti di rimettersi al proprio posto, di fare in modo che dei globuli - chissà se rossi bianchi o rosa - attivino le pompe per far sgorgare il sangue via, o più verosimilmente: aspettare che l'ematoma si assorbi.
in qualsiasi caso il tempo si trasforma tutto ad un tratto in tempo libero. si sta ore e ore sdraiati sul divano o sul letto, tanto che all'ospedale ti danno queste fiale di liquido trasparente, se non ricordo male, che ti devi iniettare sulla pancia appena sotto pelle. la prima volta che lo fai, che prepari la siringa ed affondi l'ago di traverso sul tuo ventre - non "nel" tuo ventre, perché mi raccomando, ti dicono, non deve andare in profondità - vedi una bolla che è poi la medicina gonfiarsi come una mongolfiera, ed un po' ti preoccupi perché la prima volta hai sempre paura di aver esagerato nell'aver fatto la puntura troppo di traverso e che prima o poi scoppi. ma poi si sgonfia, piano piano, e le volte successive non ci fai neppure caso.
ci sono persone che durante tutto questo tempo libero fanno mille e mille cose: si fanno la pedicure; si mettono lo smalto alle dita dei piedi anche se prima di allora non lo hanno mai fatto ed invece giurano spergiurano di averlo fatto sempre; si iscrivono via internet a lezioni di burlesque plantare, oppure a lezioni di inglese che gli insegnino una buona volta a non scrivere burlesque così come pensano che si pronunci: barlasque; oppure si divertono ad imitare con i propri alluci i personaggi famosi del presente e del passato. ci sono invece persone che tutto questo tempo libero lo riempiono invece con il lavoro, perché in fondo non riescono a fermarsi neppure un minuto, un secondo, una mamma una sorella o un cugino di secondo.
a queste persone, e a tutte quante, vanno i più sentiti in bocca al lupo per una buona guarigione, sperando poi che il lupo crepi, inciampando in tutti questi maledetti legamenti.
1 commento:
crepi, crepi. tu invece grazie tantissimo, tantissimo.
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