martedì 15 giugno 2010

Parlare

cosa potremmo dirci se alla fine parlassimo anche quando non dovremmo parlare? so che dovremmo sfogarci liberarci conoscerci, sgolarci a forza di chiacchiere a perdifiato fino appunto a stancarci esausti sfiniti; ma non riesco a non pensarci come a dei silos di conversazione, dove accumulare argomenti discorsi e quanto altro ancora: dobbiamo riempirci prima di poterci svuotare. per questo passiamo tutto questo tempo senza rivolgerci alcuna parola, per cercare di collezionarne il più possibile, di discorsi, di più belli, di più affascinanti, per poi magari un giorno lanciarceli addosso bagnati, un po' come dei gavettoni in una torrida giornata di sole.
ci sono argomenti che non trattiamo, di cui non parliamo per paura del male che potremmo farci. argomenti infagottati nel filo spinato nel quale ogni volta rischiamo di rimanere aggrappati. correndo con la bocca la lingua, giù per ripide discese scoscese di frasi intrecciate, finiamo di tanto in tanto con i vestiti che rimangono impigliati in sporgenze acuminate di cui non ci eravamo accorti. si sfilano i maglioni, tirando la lana lontano dalla trama con cui abbiamo intrecciato i nostri pensieri, si rovinano le camicie, si strappano i pantaloni. ma non credere che non pensi a ciò cui magari puoi pensare te, a quello che non ci diciamo per scaramanzia o per scarsa fiducia nell'altro - in situazioni come la nostra si ha sempre la sensazione di essere in vantaggio, che nessuno possa essere bravo quanto noi stessi, se non invece di più. anche io penso spesso ai nostri fantasmi, che sono più frenetici e agitati di noi. è solo che quando mi trovo a trasformare i pensieri in parole, mi sembra di essere così cretina sciocca infantile che cerco subito dopo di rimangiarmi tutto quanto abbia detto, riavvolgere il nastro, fare finta che non sia successo niente di niente.
non voglio trovarmi a parlare del tempo, di quanto bella o piovosa possa essere una giornata di fine aprile; non con te. lascio questi stereotipi ad altri di cui mi interesso di meno, persone di cui non mi importa davvero sul serio cosa pensino, di me o in generale. dico loro: il sole, le nuvole, fa freddo fa caldo; non esistono più, le mezze stagioni. a loro do quel tanto che basta, e non mi aspetto certo di ricevere qualcosa in cambio, che poi oltretutto non vorrei minimamente. non mi accendo neppure, non mi metto in modalità recettiva: non mi apro, non faccio in modo che qualcosa possa davvero entrarmi dentro per poterci restare.
ma con te è bello parlare anche attraverso i silenzi: quei brevi momenti inzuppati di leggero imbarazzo durante i quali restiamo muti ma facciamo vagare gli sguardi, quando magari mi volto da un'altra parte ma sento i tuoi occhi scivolarmi sulla nuca, lisciarmi i capelli, accarezzarmi il collo. a volte desidero con tutta me stessa che tu lo faccia davvero, sul serio, un giorno od un altro, di accarezzarmi magari il collo sfiorandolo con il dorso della mano. potrei appoggiare la testa sulle tue gambe mentre tu stai seduto su una panchina, ed io sdraiarmi con le ginocchia piegate verso l'alto per riuscirci ad entrare tutta senza cadere giù di sotto con i piedi o rimanerne fuori con i polpacci. chiuderei gli occhi e allargherei un sorriso per quanto mi possa essere più possibile. assaporerei la serenità che riesci ad accendere con una leggera fiamma riscaldandomi il giusto, né troppo né poco.
qualche sera mi sdraio nel letto e spengo la luce. faccio finta di averti sdraiato al mio fianco e comincio a parlare sottovoce, ripetendomi come nei ripassi preesame tutto quanto ti voglio raccontare la prossima volta. poco importa se poi, quando ti incontro davvero, tutti i miei piani saltano d'un colpo, esplodendo come d'incanto sotto il tuo sguardo, comincio a sudare, mi tremano le mani quando dico: lo tocco, non lo tocco, lo sfioro, appoggio giusto qualche istante le dita qua sopra la sua gamba. al buio, di sera, di notte, un attimo prima di addormentarmi, fantastico e ti racconto invisibile la mia intera giornata: cosa è successo, cosa ho fatto, cosa speravo o sognavo. metto da parte ciò che voglio raccontarti.
hai presente quando cammini e ti scrocchiano le gambe, le caviglie le ginocchia? un amico mi ha detto è dovuto al fatto che si formano delle piccole bolle d'aria tra le cartilagini e le articolazioni, e quando scoppiano fanno questo rumore improvviso. non so quanto sia vero, neppure lui lo sapeva tanto. credevo mi stesse prendendo in giro mentre lo raccontava; ma anche se fosse falso, se fosse stato solo un semplice scherzo per strapparmi una manciata di risate, penso che in fondo noi siamo un po' così: accumuliamo accumuliamo, e poi quando ci incontriamo scrocchiamo come le gambe, come le dita, come i nostri discorsi.

Nessun commento: