non voglio essere romantico. i romantici muoiono di diabete, ripetevamo sempre. ti ricordi quando mi dicesti: niente canzoni d'amore. pioveva, anche se era piena estate. eravamo fuori, in mezzo a un prato, e la prima cosa che ci venne in mente fu quella di ripararsi sotto un albero. i fulmini avrebbero potuto colpire il mio braccio, riflettemmo dopo, oppure prenderci in bocca per colpa delle otturazioni, scherzammo una volta finito il temporale. non eravamo molto diversi da ora, anche se qualcosa è sicuramente cambiato. l'atteggiamento, per esempio, lo stato d'animo. allora eravamo arrabbiati, sempre, per qualsiasi cosa. pensavamo fosse il modo giusto di affrontare il mondo, o una semplice giornata: incazzati. oggi invece riusciamo a gestire la nostra rabbia, a sfruttarla quando è possibile, a conservarla per momenti più neri o grigi - comunque scuri - e non sciupare giorni altrimenti felici.
quando sei triste, ora, dici di essere un po' infastidita da questo nostro atteggiamento. non credo sia giusto vivere a compartimenti stagni, come facciamo noi, mormori poco prima di dormire, inscatolare le giornate storte tutte quante in una singola porzione di noi stessi e tenerle separate da tutto il resto. noi, se siamo noi, siamo più liquidi di così. ci mescoliamo in continuazione, andando ad annacquare i nostri malumori, o macchiando in modo irrimediabile le giornate piene di sole.
quando sei così vorrei aprire il braccio sinistro come un ala, passartelo attorno alle spalle, da sotto la testa, e accudirti fino a quando non ti passa. è una chimica complicata da capire, il tuo umore.
e non venirmi a dire che tutto questo esercizio di separazione della felicità dalla tristezza, si chiama diventare grandi, o adulti.
metti il broncio, brontoli, non mi lasci controbattere.
mi pare di essere una massaia degli anni cinquanta, intenta a riporre la spesa ordinata dentro la credenza. la cioccolata in alto a sinistra, insieme alle risate; la pasta con gli scazzi vari; la verdura in frigorifero accanto ai momenti da congelare, quelli che ancora non so come prendere. non ti pare sia tutto troppo schematico? mi domandi. non ti prende lo sconforto quando ti rendi conto di esserti costruito attorno delle regole alle quali non riesci in nessun modo ad obbedire?
in certe occasioni, qualsiasi cosa rispondessi, sbaglierei, sempre. non c'è una risposta giusta o sbagliata, neppure tu lo sai mentre me lo domandi. forse vuoi soltanto trovare una diversità tra me e te, qualcosa che ci separi, che ci renda diversi. un pretesto per continuare a spiegarti.
una volta, forse proprio durante quel pomeriggio piovoso in mezzo al prato, mentre eravamo sotto l'albero ad aspettare smettesse di piovere, ti dissi che noi tendiamo sempre a cercare di spiegarci, agli altri ma anche a noi stessi. non è un caso, secondo me, l'uso di questo termine: spiegarsi. perché siamo un po' come dei panni appallottolati in un angolo, o almeno lo sono certi nostri pensieri. cerchiamo di spiegarci non solo nel senso di farci intendere, ma anche nel senso di toglierci le pieghe, stirare via le grinze che abbiamo dentro.
e cosa succederà quando ci saremo stirati tutti? mi domandasti con un mezzo sorriso, guardando in alto verso il cielo. ci aspetterà l'illuminazione?
non credo riusciremo mai a spiegarci tutti. siamo talmente vasti, pieni di insenature, parti che neppure conosciamo ma che ci sono lo stesso, tipo quegli alberi che cadono in un bosco anche se non c'è nessuno che ne ascolta il rumore. per spiegarci tutti, soprattutto a noi stessi, ci metteremmo un'eternità.
le regole sono fatte per essere infrante, ti rispondo. non so ancora se ci credo oppure no, a questa mia affermazione, ma voglio aiutarti. voglio che tu continui a diventare liscia, a distendere la tua personalità, se non tutta almeno il più possibile. farti capire a te stessa. farti capire quei lati che ancora non hai esplorato in modo conscio.
no, non è vero. almeno non per tutte. le regole sono regole, sono dei contorni obbligatori. sbaveremmo fuori se non ne rispettassimo almeno alcune.
quando eravamo sempre arrabbiati ci guardavamo spesso dritti negli occhi. giocavamo al gioco del silenzio. chi rideva per primo o parlava perdeva. io resistevo al massimo per una manciata di minuti. alla fine ti dicevo: mi sono perso negli occhi, e mi sono perso per sempre. non eravamo romantici allora. ci definivamo fuorilegge. se qualcuno ci imponeva una regola, noi ci divertivamo a disobbedirla, a maltrattarla, fare finta non ci fosse, questa regola.
ecco in cos’altro siamo cambiati da quando mi dicesti: niente canzoni d'amore.
pensi che finiremo come i rocker? - mi domandi. - che nascono piromani e muoiono pompieri?
non lo so. rispondo io. credo che di spiegarci non finiremo mai. soprattutto perché più che panni appallottolati o lenzuola disfatte, coperte sulle quali dormiamo ogni notte, siamo piuttosto fili attorcigliati. prima di iniziare ogni volta dobbiamo trovarci il capo. ma penso anche che mi fai stare bene, e che mentre cerchiamo insieme di districare tutti i nostri fili mi piace quando le mie dita si annodano alle tue senza rendermene conto.
1 commento:
sempre una certezza... :)
Posta un commento