mi sono sempre chiesto come facesse a non piacerti vasco brondi, illuminato dalle sue luci della centrale elettrica, tra la musica, i suoi testi. dicevi di non sopportarne il modo di cantare, così urlato. no, ripetevi quando lo sentivi iniziare alla radio, di nuovo uno che urla. ma io non ti credevo. a me piaceva talmente tanto. pensavo bastassi solo io a farcelo piacere a entrambi. ti avrei prestato volentieri un po' del mio gradimento, tu in cambio mi avresti dato la sensazione che ti donavano alcuni gruppi strani di cui io non avevo mai sentito parlare. ragionavo così: il piacere o non piacere lo misuravo a livello di persone, con un numero. a me piace tizio, a me piace caio. il livello di piacere, così lo chiamavo nella mia testa, aumentava di una unità ogni volta che qualcuno, in modo conscio o inconscio, ripeteva dentro di se: mi piace tizio, mi piace caio. se qualcuno invece diceva: mi piace tizio, ma non mi piace caio, allora tizio si staccava, guadagnava punti, mentre caio rimaneva fermo al palo. tre a due per tizio, la corsa può riprendere. e così via.
in questo mio strano gioco non contavano i decimali, i numeri a destra della virgola, oppure le opinioni espresse sempre dopo la virgola. così se qualcuno diceva: mi piace tizio, ma mica poi tanto tanto, a referto andava soltanto il mi piace tizio, un punto, senza contare quello detto dopo la virgola, il ma mica poi tanto tanto, quelli erano i decimali. in questo gioco, ti dicevo, il punteggio è un numero intero, non c'è spazio per le frazioni. a tenere conto di certi giudizi si rischierebbe di complicare i calcoli, andando a lavorare con i tre quarti, i quattro quinti, dieci sedicesimi. bisognava velocizzare, essere concisi.
per questo era inutile che io mi dicessi: a me piace vasco brondi, ma talmente tanto tanto. per quanto potessi sforzarmi, o aggiungere parole numeri dopo la virgola nel tentativo di avvicinarmi il più possibile all'unità successiva, al due, io avrei contato solo per uno. avevo un solo voto e non potevo farlo valere il doppio. così pensavo bastasse tu dicessi a te stessa: a me non piace vasco brondi, anche se c'è gente molto peggio in giro. in termini di numeri questo giudizio non sarebbe stato poi tanto negativo, forse si poteva tradurre in uno zero virgola tre, virgola quattro. da solo, ignorando la parte dopo la virgola, il tuo voto sarebbe stato solo zero, nullo, ma se ti avessi prestato il mio virgola nove nove nove nove nove nove all'infinito, ovvero il resto del mio giudizio sottratto dall'unità che avevo già dato, insieme saremmo arrivati ad un abbondante uno, e a questo punto al diavolo quel che restava a destra della virgola.
poi l'altra sera, primi di addormentarmi, mi sono reso conto di come avrei potuto donarti tutto quanto il mio gradimento per vasco brondi senza però spostare di un millimetro la tua opinione su di lui. non si tratta di piacere o non piacere, di darti una mano a fartelo piacere, o di aiutarti nel cercare di farlo. a te molto probabilmente non piacerà mai vasco brondi, neppure se te lo dessi da mangiare imboccandoti, seduta al tavolo, con il bavaglino.
si dice spesso di un artista, di una persona: non ci sono vie di mezzo, o lo si ama o lo si odia. in questo caso io lo amo mentre tu invece lo odi, e sinceramente penso sia molto più facile per l'amore trasformarsi in odio, che non piuttosto il contrario, l'odio in amore. per questo mi sono messo a pensare al motivo per cui io lo amo, cercando di riflesso il motivo per cui tu lo odiassi. è come un continente, la reputazione che si ha di una persona, l'africa per esempio. alla fine ci sono arrivato. ci siamo entrambi su questo continente, sia tu che io, solo che io sono affacciato sulle coste che danno sull'oceano del piacere, mentre tu sei dall'altra parte, dalla parte opposta, sulle coste bagnate dall'oceano del non piacere. io in mauritania e tu in somalia, o viceversa. il motivo per cui io lo amo è lo stesso per cui tu lo odi: l'africa, ovvero i testi. vasco nelle sue canzoni racconta di vite proprio come quelle che vorrei vivere io, quelle sognate. quando lo ascolto sento il racconto dei giorni possibili peggiori migliori, disegnati con le parole che io non riesco a trovare. quando lo ascolti te invece senti il ripetersi di giorni che a differenza mia tu hai già vissuto. le sue canzoni parlano di amori stesi sui pavimenti, di case in affitto in cui sdraiarsi abbracciati, di letti condivisi, di sigarette su sigarette (e invidiamo le ciminiere perché hanno sempre da fumare), di tramonti a cui avete dato fuoco, di futuri inverosimili, di trip rincorsi su motorini elaborati, di carta stagnola, dei garage a milano nord. io guardo quei giorni con le lenti rosa, tu con le lenti normali.
forse c'è un codice di comportamento tra le persone come te e vasco, ovvero quello di non raccontare mai come sono i giorni che vivete, per non fare ubriacare gli altri, come me, di vite che non ci appartengono, di situazioni dentro le quali non possiamo entrare perché non ne abbiamo il passaporto. ci farebbero male, voi lo sapete, andremmo subito in overdose, forzando il fisico a raggiungere livelli per noi improponibili. forse è questo il motivo per cui odi vasco brondi, il motivo per cui non ti piace: perché lo vedi come un criminale, colpevole di aver infranto una delle poche regole che avete.
e lo so di essermi spiegato a cazzo, come sempre, ma avevo questa cosa qui e mi premeva di dirti quello che ho capito, anche se non me lo hai detto ci sono arrivato da solo, dopo tanto. mi sembra di essere stato così bravo, quando invece per te era tutto così semplice.
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