quando disegna lui disegna sempre dei quadrati. li fa precisi, con bordi netti, spigoli acuminati. come alcuni giorni, dice con un sorriso amaro. non importa dove si trovi, se a casa seduto in cucina, o più spesso al ristorante dopo avere mangiato: lui prende una penna e inizia a tracciare tratti decisi, privi di esitazioni. non ci sono vie di mezzo, o lo fai o non lo fai. se sbagli, pace, hai sbagliato. non c'è modo di tornare indietro. odia i lapis proprio per questo. se per caso vai un po' storto puoi sempre prendere una gomma e cancellare tutto quanto, ripartire da zero sullo stesso identico foglio, fare finta non sia successo nulla; ma la verità è che niente è così facile. quando compi un gesto ti porti dietro tutta una serie di effetti, conseguenze. ti costruisci appresso un reticolo fitto di azioni secondarie che non sarebbero mai esistite se tu non avessi fatto quel gesto - magari un saluto, una semplice mano alzata. il tuo gesto non sarà mai singolo, solo tuo, ma si interfaccerà con altri gesti di altre persone, i quali si relazioneranno con altri gesti ancora, di altre persone ancora, e ancora e ancora, pressoché all'infinito. cancellare puoi cancellare, è vero, ma solo i tuoi gesti. quelli degli altri rimarranno, su di loro non hai alcun potere. fare finta di non avere sbagliato, a questo punto, conta poco. sarai un po' come un buco nero: il tuo errore non si vedrà, magari, ma tutte le conseguenze che ha generato saranno ancora lì, a orbitare attorno a esso, anche se esso in realtà non ci sarà più. puoi fregare gli sciocchi, chi non vede non crede, ma gli astronomi sapranno bene che lì in mezzo, nel centro preciso attorno al quale gravitano tutti i gesti secondari, dove ora c'è solo uno spazio vuoto, prima c'era il tuo errore. sbagliare è naturale. cercare di cancellare i propri sbagli non è neppure diabolico: è da cretini.
"quindi disegnare è una specie di esercizio?"
domande del genere secondo lui non avevano senso. tutto quanto era un esercizio. disegnare, respirare, cercare di spiegarsi. qualsiasi cosa. inoltre, quando affrontava questo argomento, tutti perdevano di vista la questione centrale, ovvero non il disegno, inteso come azione, quanto piuttosto cosa disegnava. solo una volta una persona gli fece la domanda che più di ogni altra si aspettava: perché disegni sempre e solo quadrati?
si trovavano in una trattoria, alla fine di una cena. erano con un gruppo di amici, una quindicina circa. tutti si conoscevano, chi più chi meno, ma dopo il caffè si formarono inevitabili alcuni gruppetti di discussione. c'era chi parlava di calcio, chi di cosa aveva comprato durante gli ultimi saldi, altri invece discutevano delle nuove uscite cinematografiche. lui era in disparte, da solo. aveva preso a disegnare i suoi quadrati sulla tovaglietta di cartone sulla quale aveva mangiato. la luce era calda, sembrava abbracciarlo. atmosfera intima, come piaceva a lui, con il frastuono delle voci altrui in sottofondo. all'inizio non si accorse neppure di lei, seduta in silenzio alla sua sinistra. lo guardava sorseggiando del vino, rosso della casa, portandosi alle labbra un bicchiere sporco, opaco. pareva incuriosita, attratta da quello che stava facendo, ma non così tanto da interromperlo per chiedergli spiegazioni. fu lui a rivolgerle la parola per primo.
"vuoi imparare?" lo chiese senza distogliere lo sguardo dal tavolo.
"a disegnare quadrati? no, grazie. penso di saperlo già fare."
"non si impara mai abbastanza a fare una cosa."
si voltò. lei bevve un po'.
"allora perché mi guardi?"
"sono curiosa."
"perché me ne sto qui da solo a disegnare anziché mettermi a parlare con qualcuno?"
"no. - fece lei - perché disegni solo dei quadrati."
colpito. la sua espressione si congelò per alcuni brevi attimi. lei se ne accorse.
"vedi?" disse indicando la tovaglietta, quasi stesse a lei fargli notare cosa aveva disegnato fino ad allora. un quadrato piccolo in alto a sinistra, un quadrato più grande nell'angolo in basso a destra, uno minuscolo al centro, e accanto a quest'ultimo un quadrato capace di contenere al suo interno la base di un bicchiere.
"perché soltanto quadrati?" chiese di nuovo lei, avvicinandosi un po' e aspettando attenta una sua risposta.
lui posò la penna. fece un respiro. poi un altro.
"disegno quadrati per metterci dentro le cose serie." era la prima volta che lo diceva, che lo diceva ad alta voce.
"le cose serie?"
"si. tutte le cose di cui, proprio perché sono serie, finiamo per non parlare mai."
"scusa ma credo di non capire."
"lo so. è normale. sono abbastanza complicato." rise lui.
"forse è anche per questo che disegni dei quadrati. - lei non si scompose. - sostanzialmente sono figure geometriche piuttosto semplici. disegnandoli cerchi di rendere semplice pure te stesso."
"può essere. non l'avevo mai guardata sotto quest'ottica."
un cameriere iniziò a sparecchiare il tavolo, portando via alcuni piatti ma lasciando una caraffa dentro la quale rimaneva ancora un po' di vino.
"in effetti però - non voleva che la discussione si perdesse nel nulla. - non è importante il portagioie, quanto piuttosto le gioie che ci metti dentro."
lui capì cosa intendeva. gli piacque il modo con cui aveva riportato il discorso sui suoi binari, ammiccando senza usare gli occhi, o la bocca, bensì le parole.
"cosa è per te una cosa seria?" gli chiese ancora lei.
"una cosa seria può essere qualsiasi cosa. prendi la cosa più stupida che ti possa venire in mente - lei pensò: ritagliare articoli di giornale che parlano di gossip; collezionare schegge di bicchieri rotti; bruciare foto di viaggi andati male; vendere a mercati dell'usato i souvenir di una vita - se la affronti seriamente, se ne parli in modo attento, senza permetterti la minima ironia, pure quella cosa diventa seria. tutto sta nel modo in cui affronti l'argomento."
"quindi potremmo parlare di merda, magari di un calcolo statistico sul numero di persone necessarie per spalare via tanta cacca da ricoprire un intero campo di calcio, e potremmo dire di parlare di una cosa seria?"
"in teoria si." versò del vino nel suo bicchiere e ne bevve un sorso.
"allora, sempre in teoria, potremmo parlare sempre di cose serie, anche quando parliamo di minchiate."
"è questo il problema: le persone non vogliono essere sempre serie, anzi. se affronti sempre le cose in modo serio rischi di diventare noioso. devi riuscire a intervallare i tuoi discorsi con delle battute, degli scherzi."
"mi pare normale: non essere solo e soltanto serio, ma neppure sempre e soltanto cretino."
"a te pare normale." con lo sguardo indicò un gruppo degli amici poco distanti da loro. una serie di risate sguaiate ininterrotte uscivano dal capannello mentre uno di loro raccontava orgoglioso le sue avventure sessuali.
"chi non riesce a trovare il giusto equilibrio rischia di non parlare mai seriamente, di naufragare sul lato sbagliato, quello più semplice. è facile non prendersi sul serio, dire solo frasi stupide. queste non devono avere una profondità, non devi lavorarci per tirarle fuori: basta dare fiato. altra cosa è farsi un'opinione, ragionare sulle cose, cercare di capirle, scavarsi dentro."
"e i quadrati cosa c'entrano?"
"i quadrati sono dei contenitori. ci metto dentro tutte quelle cose di cui non posso parlare perché altrimenti mi emarginerei. quando sono in compagnia in genere scherzo tranquillamente con gli altri, sono il primo a dire puttanate, a fare il cretino; ma non voglio diventare davvero cretino, non del tutto. per questo mentre parlo disegni i quadrati, e tra una sciocchezza e l'altra ci butto dentro quello che avanza, ovvero le cose serie." mentre diceva strappò un pezzo della tovaglietta e ci disegnò dentro un quadrato, dopodiché lo porse a lei.
"da quanto tempo ci conosciamo?"
"ormai sarà qualche anno." rispose lei.
"e fino a oggi quante volte avremmo parlato? - silenzio. - e di cosa abbiamo parlato? forse del tempo, di sciocchezze varie, ma mai di qualcosa di più sensato. non voglio tu pensi io sia solo risate e stronzate. questo - disse riferendosi al quadrato che le stava dando - è la conversazione di oggi."
"non dovresti preoccuparti troppo dell'opinione degli altri." disse lei prendendo il pezzo di tovaglietta di cartone.
"non mi sto preoccupando dell'opinione degli altri, mi sto preoccupando della tua di opinione."
quel giorno lei lo conobbe di più. da quel giorno lui continuò a disegnare quadrati, ma sul foglio lei cominciò a vedere dei cubi.
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