"è buffo."
"cosa?"
"le stelle. le immaginiamo come un qualcosa di ben preciso, un'entità definita, a se stante, mentre invece non sono altro che soli lontanissimi da noi, o pianeti sui quali la luce si riflette."
era buio. l'aria era fredda, ma lui non aveva mai sofferto di brividi o di abbassamento della temperatura. se ne rimaneva un po' piegato in avanti, con gli avambracci appoggiati sul ferro battuto della ringhiera. in mano una bottiglia di birra, quasi vuota. la festa in casa sembrava procedere su binari standard, con la musica a uscire dalle finestre aperte, il brusio sommesso di chiacchiere vaghe, il fumo a salire alto fino al soffitto. lui era uscito in terrazza solo per avere un po' di calma, e per respirare. c'era troppa gente in uno spazio troppo ristretto, l'afa stava diventando insostenibile e lui non la sopportava. lei lo aveva raggiunto qualche minuto dopo. si era messa addosso un giubbotto, uno qualsiasi preso dal divano sul quale tutti gli invitati avevano gettato il proprio, ed era uscita con il pretesto di fumare. appena fuori aveva rabbrividito, chiudendosi in un abbraccio dentro il cappotto, un po' per attirare l'attenzione ma soprattutto perché lei non era proprio uguale a lui. lei il freddo lo soffriva.
una volta una sua amica le aveva chiesto:
"cosa ci trovi in lui?" lei non aveva saputo cosa dirle. è così complicato dare una risposta a una domanda così semplice, aveva pensato lei in quella circostanza. la chimica che si scatena nel cervello di una persona, quando si trova accanto a un'altra persona, dovrebbe rimanere confinata dentro lo spazio del cervello, invece molto spesso entra in circolo e finisce col sedimentarsi in fondo al cuore. ma era una motivazione troppo complicata da dare alla sua amica, molto probabilmente non l'avrebbe capita.
"siete così diversi." aggiunse poi questa sua amica, quasi a rispondersi da sola.
lei lo sapeva. c'erano un miliardo di cose che non li accomunavano, trova le differenze, ma pensava che non fosse in fondo un male. forse era proprio questo che l'attraeva di lui, gli spazi e gli interessi che non trovavano corrispondenza in nessuno spazio e in nessuno interesse di lei. se fossimo attratti da delle semplici copie di noi stesse, si disse, tutti quanti avrebbero una relazione con lo specchio del proprio bagno.
lui si era voltato. si era portato la bottiglia alla bocca, bevendo un sorso di birra, e poi aveva detto:
"ciao."
"ciao." aveva risposto lei avvicinandosi alla ringhiera fino ad arrivare vicino a lui, alla sua destra.
"ti stai divertendo?"
l'inizio di una conversazione è sempre la parte peggiore. tutti si affannano per incastrare al meglio le parole, per mettere a proprio agio le altre persone, così si finisce sempre per dire delle banalità. iniziare a parlare, soprattutto quando si tratta di parlare in due, da soli, somiglia a una specie di battaglia, magari tra due gladiatori nell'antica roma. lo scontro vero e proprio è sempre preceduto da una fase di studio, durante la quale i due combattenti si camminano attorno, si guardano, cercano di capire le debolezze del proprio avversario, quando si tratta di una lotta vera e propria, o gli interessi dell'altro quando invece si tratta di una conversazione.
lei aveva imparato a non dare troppo peso a ciò che si dice durante i primi dieci minuti di una chiacchierata. sono solo sciocchezze, servono per rompere il ghiaccio, instaurare un rapporto di fiducia, una specie di riscaldamento pre gara. ciò che contava, ai suoi occhi e alle sue orecchie, era quello che sarebbe stato detto dopo, quando entrambi si sarebbero ormai lasciati alle spalle i saluti, i come stai, e tutti gli altri vari rituali di buona educazione.
come per esempio era accaduto in quella occasione. erano finiti a parlare delle stelle. nessuno dei due forse era conscio di come ci fossero capitati, quale linea di dialogo avessero seguito per partire da quel suo ti stai divertendo fino ad arrivare ai corpi celesti sopra le loro teste. ma questo non li preoccupava. quella stessa chimica che fuoriesce dal cervello e si deposita nel cuore ha il potere di fare perdere la memoria a breve termine, lei lo sapeva.
"sembrano così piccole, tanti piccoli puntini luminosi appuntati sopra il cielo." disse lei.
"invece sono gigantesche, e in continuo movimento. ruotano tutte quante, una specie di danza."
"a volte sembra quasi impossibile che pure noi, nel nostro piccolo, con questo pianeta microscopico, facciamo parte di questo ballo. a viverci dentro sembra che il mondo sia fermo, stabile, immobile come un roccia."
"oh, no. - disse lui. - per me non è affatto così. per me il mondo gira in continuazione, si rivoluziona perennemente, e lo si può percepire in qualsiasi momento, altrimenti non si spiegherebbe come mai a volte le cose vadano alla perfezione e poi un attimo dopo, senza che nessuno faccia nulla, sia tutto quanto andato a rotoli. se il mondo non si muovesse, una volta trovata la stabilità questa dovrebbe rimanere. invece la stabilità è una specie di castello di carte, basta una minima vibrazione e il castello crolla. per questo si capisce che il mondo gira, e girando fa crollare i nostri castelli."
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