Perdere, o il tempo a sciogliersi in bocca in granelli tenui di zucchero caramellato. Tra la sfiga e un treno ad alta velocità che corre troppo forte, i binari arrugginiti sui quali stendersi per dormire, il ferro come cuscino, il legno degli inframmezzi steso sotto la schiena per rilassare la colonna vertebrale. Moriremo tutti in schianti di ossa stropicciate da una presa acuminata, le falangi delle mani a penetrare la carne debole, la faccia in una sofferenza sopita appena sotto gli occhi si risveglierà nelle pupille in un palpito luminoso di speranza, l'ultima. Chissà quanto tempo dovremo aspettare prima di sbocciare di nuovo, di liquefarci in plastica di scarsa qualità.
Respiriamo ancora cenere, quella stessa cenere sottomessa ai nostri pensieri addormentati, sepolti sotto quintali di materia fatta di sogni speranze sollievi. La notte ci renderà magici quanto le stelle o la luna. Il pensare male o il fraintendere in soppresse volontà illecite non è la sola cosa che mi riesce meglio. I miei pochi pregi vengono spesso nascosti dai miei innumerevoli difetti, ma quando c'è da perdersi, non sai quanto mi piaccia ubriacarmi nel sangue versato troppo presto troppo in fretta troppo su troppo su liquidi macchiati di vernice rossa e poi di zampilli di rugiada fatta coscienza. Aspettavo sempre l'aurora del mattino prima di schiaffeggiarmi contro i muri, per punirmi di tutte le parole spese male; ma già alla sera speravo di nuovo in un contrario avvenire. Incrociavo le dita per far avverare tutto quanto non poteva avverarsi. I sogni sono fatti di mattoncini lego slegati gli uni dagli altri, persi.
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