Guidavano lo stesso modello di auto. Solo il colore cambiava: una era nera, l'altra era bianca. Lui l'aveva notato subito, sin da quando, in coda in autostrada, si erano trasformati da semplici sconosciuti a sconosciuti che si guardano. Già fantasticava, lui, di parlare con lei e ridere e scherzare proprio di questa futile casualità, magari seduti a un tavolino di un bar mentre sorseggiavano qualcosa per evitare l'imbarazzo iniziale, oppure in piedi, una di fronte all'altro, guardandosi non più con distacco ma con soffice curiosità: lo sguardo di lei che cercava di capire gli aspetti più nascosti e reconditi di lui; gli occhi di lui che andavano a scavare tra la pelle di lei per vedere quanto fosse sincera la sua felicità.
Aveva i capelli di un nero profondo, lunghi e lisci. In auto se li pettinava di continuo, passando le dita aperte dall'alto verso il basso, ridisegnandosi sempre la stessa divisa, rigida, piegata da una parte, da sinistra a destra. La pelle non proprio olivastra ma ben abbronzata, anche se non di un'abbronzatura naturale. Non sembrava averla presa sotto il sole, magari in spiaggia, spendendo lunghi pomeriggi afosi sdraiata su un telo da mare, ogni cinque minuti a bagnarsi le braccia, le gambe, la pancia che lui immaginava piatta per non stonare con il volto magro. Non la vedeva spalmarsi la crema sugli avambracci, partendo dalla spalla, e massaggiandosi il braccio fino ad assorbimento completato. Credeva fosse più tipo da salone di bellezza: una donna da appuntamento, prenotazione di un lettino solare. Nella sua testa la vedeva davanti a questa grande macchina ancora aperta, mezza bara e mezza fotocopiatrice, con le lampade lunghe tipo neon che riempivano la stanza nella quale si trovava da sola di una tenue luce azzurra. Si spogliava, prima dei pantaloni, poi della camicia, e infine anche del reggiseno, nero per intonarsi ai capelli, restando in questo modo solo con un tanga, il più piccolo e sottile e meno coprente che avesse in casa, per poi sdraiarsi a occhi chiusi, coperti da una buffa minuscola mascherina, dentro quella specie di sarcofago. Questa era la sua abbronzatura.
Aveva un naso regolare, dritto, sottile, che si apriva in fondo in due narici più grandi del setto, un poco sporgenti ai lati, per accumulare quanta più aria possibile da spingere poi nello stretto percorso sopra di esse. Mentre lo guardava lui non riusciva a non definirlo geometrico, rettangolare. Gli ricordava uno di quei dipinti di Picasso durante il suo periodo cubista: perfetto, regolare. Il resto dei lineamenti del volto però erano rotondeggianti, un po' in disaccordo tra di loro. Erano allungati verso il basso, come a proseguire la corsa del naso, ma avevano le curve di una lama di un coltello da cucina. Le guancie finivano in un mento leggermente a punta, non sporgente, per niente ingombrante.
Le labbra erano due linee socchiuse una sopra l'altra. Denti perfetti, dritti, bianchi. Un trucco non eccessivo, nascosto, che non si faceva notare ma andava solo ad aggiustare alcune imprecisioni qualsiasi, normali, laddove l'abbronzatura non poteva arrivare. Nessun tipo di abbronzatura. Giusto sulle palpebre, un velo scuro per marcare quanto più possibile la luce dello sguardo.
Quando la fila cominciò a sciogliersi, permettendo al traffico di riprendere il suo normale scorrere, lui non si accorse di essere ormai precipitato in un vortice di fantasie pressoché infinito, di essersi allontanato così tanto dalla realtà da non riuscire più a distinguere cosa fosse vero da cosa invece non lo fosse. La donna al volante del suo stesso modello d'auto, solo di colore opposto, era una persona diversa da quella che stava guardando delineando dentro la sua testa. I tratti somatici gli erano sfuggiti di mano e stavano con furia ridisegnando una figura solo simile a quella di partenza. Non poteva più dire con sicurezza se il naso costruito dalla sua fantasia corrispondesse al naso della donna che guidava a fianco a lui. O gli occhi, o il collo. Le labbra. La voce sarebbe stata certamente diversa, con un tono più reale e soprattutto più arbitrario. Lo schiudersi della bocca in lenti movimenti ingranditi davanti ai suoi occhi, l'immagine di solo le sue labbra giganti a comporre la visuale di ciò che lui vedeva, e il contorno di pelle ad allargarsi in un sorriso malizioso. Solo una di queste due donne distinte, staccate, si era sdraiata quasi del tutto nuda dentro un lettino abbronzante, più per fare godere a lui dell'immagine dei suoi seni e di quella parte di corpo che scivola giù dal petto fino ad arrivare al ventre che non per dorarsi di una pelle scura e abbronzata.
Non si era accorto, lui, di quanto lontano dalla realtà lo avesse portato la sua fantasia, di quanto fosse pericoloso, non solo per lui ma anche per gli altri, questo suo naufragare alla deriva. E lo sguardo di lei, la donna vera, che dopo averlo superato lo cercava nello specchietto retrovisore, non era intriso di sensuale interesse, quanto piuttosto di paura o timore.
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