mercoledì 16 novembre 2011

A Dangerous Method


Quanto ci si può spingere nel cercare di guarire una persona prima di trovarsi inevitabilmente a essere malati noi stessi? Magari non allo stesso modo, ma di una malattia solo di poco diversa. Fare il giro del mondo, o della mente, trovandosi infine non più a guardare in faccia il problema, bensì ad averlo alle spalle, il problema, ed esserne una perfetta preda.
Non è dato sapere quanto di A Dangerous Method, firmato da un terzo diciamo Cronenberg, dopo il primo Mosca, e il secondo History of Violence, sia vero in quanto più vero non si può, affondando le proprie radici nella realtà storica, e quanto invece sia stato scritto apposta per la sceneggiatura stessa. Questo solo uno studioso di psicoanalisi, con esami e discussioni alle spalle, può saperlo. Normale è che riducendo la vita di una persona per metterla dentro un film, alcuni se non molti aspetti debbano essere per forza tagliati, fatti fuori, quel tanto per fare in modo al personaggio stesso di riuscire a entrare nel film. Succede più ai personaggi secondari, qui Freud, magari a tratti Sabina Spielrein, sicuramente la moglie di Jung, ma è lo stesso Jung, personaggio diciamo principale, o protagonista della storia, a farne le spese forse maggiori, in quanto su di lui ci si aspetta un'accuratezza maggiore. Nel suo caso invece i tagli paiono essere stati fatti con l'accetta, andando a decapitare alcuni aspetti non proprio secondari. Non è il come è stato fatto, magari anche in modo abile e perfetto, come la ricostruzione scenica e di vestiti, abbigliamento di inizio novecento, quanto piuttosto il pensiero alla persona vera di Jung: un senso di sconsolata pena nel caso tutto Jung fosse quel Jung visto in questa pellicola.
Il film è un film parlato, dove la migliore parte sono i dialoghi, magari non molto accessibili ma capaci ugualmente di far riflettere. Lo so, si tratta in qualsiasi caso di una specie di psicoanalisi for dummies, ma ognuno prende quel che la mente riesce a mangiare. Per questo i personaggi forse sono visti come secondari, semplici pedine a cui dare la parola e fare palare. Sotto questo aspetto viene fortemente penalizzato il personaggio di Vincent Cassel, una meteora nell'arco narrativo ma di una potenza devastante se si pensa che i suoi ragionamenti vengono usati come cardine per invertire la rotta mentale di Jung, ma ci può stare, in un film parlato. Ciò che non ci può stare è il fatto di avere sorvolato, passandoci sopra in modo piuttosto superficiale, giusto una citazione, senza però approfondirne il concetto o spiegarlo ai più, sul transfert e il controtransfert, vera "malattia" di cui prima viene infettata Sabina Spielrein e poi Jung.
Sarebbe stato un altro film se magari non fossero stati messi in primo piano i dialoghi, andando a scoprire con una lanternina i recessi di alcuni pensieri, o le spinte non tanto all'adulterio quanto piuttosto a non rompere con la moglie, ma non per questo può essere visto come un'occasione mancata. Un film, come lo è questo, può prendere varie direzioni, magari svoltare a destra o svoltare a sinistra, magari una più bella e una più brutta, ma prende la propria direzione e la percorre con sicurezza, e molto bene.
Alla fine c'è solo da incrociare le dita, ma per un altro aspetto: insieme a compagni classici di viaggio dell'ultimo Cronenberg, Viggo Mortensen e Vincent Cassel, si aggregano al regista canadese i nuovi Michael Fassbender e Kiera Knightley. Se il primo riesce in qualche modo a uscirne bene, la seconda, soprattutto nella primissima parte nella quale sembra giocare a marcare eccessivamente le proprie smorfie, risulta non proprio all'altezza della pellicola, anche se alla fine, anche grazie a una normalizzazione del proprio personaggio, riesce a riprendersi. La speranza è che, con il prossimo Cosmopolis il vampiro Robert Pattinson non risulti una scelta non del tutto azzeccata come qui la Knightley.

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