lunedì 14 novembre 2011
Tutto troppo
È che avevo bevuto troppo, tra vino birra, altro vino, altra birra, non avevo mangiato niente, tutto quanto a stomaco vuoto, neppure un caffè, e poi mi sembrava di essere in ritardo, facevo tutto di corsa, tra la corsa vera e propria per venirti a prendere, e la corsa di testa a non pensare a niente, e la corsa in macchina a zigzagare tra altre macchine per correre veloce nel traffico senza fare incidenti, stare attento agli stop, anche quelli nascosti, appena messi, e i doppi sensi, i divieti d'accesso invertiti, perché questa città quando si tratta di traffico sembra essere una metropoli e cambia in continuazione, ti svegli una mattina e non sai più dove andare, quale strada prendere per andare dove non sai più dove andare. Avevo bevuto troppo ed ero stanco, le gambe mi si afflosciavano su se stesse, stavo per cadere quasi in ginocchio: non ero più abituato a correre così tanto, sentivo i muscoli irrigidirsi in un modo strano, duri ma vuoti, quasi fossero una parete di cartongesso alla quale tiri un cazzotto convinto di farti del male e invece ti ritrovi con il pugno immerso fino al polso dentro un buco del finto muro sgretolato. E così avevo bevuto ed ero pure stanco, non me ne puoi fare una colpa, avevo caldo, sudavo dentro la mia camicia troppo larga, troppo sporca, troppo leggera se fuori fosse stato freddo e avessi voluto prestartela per coprirti, togliermela sbottonando i bottoni uno a uno, appoggiartela sulle spalle mentre avrei tentato di fare un poco il gentiluomo - che poi una delle due: o fuori sarebbe stato freddo, e allora come avrei potuto sudare, forse sudore freddo, oppure sudavo perché fuori sarebbe stato caldo, e allora te non avresti potuto avere freddo, a meno che non tu fossi malata, la febbre fa strani scherzi - le dita mi scivolavano da quanto sudavo, e cercavo di fare veloce, di non perdere altro tempo, mentre ti aiutavo ad arricciarti le maniche della tua di camicia e ti ho sfiorato distrattamente senza volerlo per un breve attimo il seno. Non me ne ero neppure accorto, tanto ero impegnato a piegare perfettamente, senza troppe grinze di troppo, la manica della tua camicia, e perché, lo sai, sono impacciato, alcune cose non le faccio di proposito, le faccio ma non le faccio, nel senso che non me ne rendo conto, e ormai sono così tanto abituato, ho una specie di callo sulla mia maldestrezza, che faccio e non mi rimane niente, perché in fondo non lo voglio fare e non sono pronto a prendere i risultati del mio fare non voluto, ho capito di averlo fatto solo quando me lo hai detto tu, sorridendo, senza esserne affatto infastidita, forse perché in fondo ormai lo sai che sono disadatto e non è che me ne voglia approfittare di alcune certe situazioni. Me lo hai detto a titolo informativo, non per rimproverarmi o cosa, sorridendo, appunto, senza rabbia, e anche allora non ho battuto ciglio, non mi sono sentito in imbarazzo, o a disagio, o un qualsiasi altro stato in cui si dovrebbe sentire un ragazzo quando tocca il seno a una ragazza e quest'ultima non è nuda, non è sopra di lui, non sta insieme a lui in un letto, non si offre con i suoi baci, non si dà per lui in tutto e per tutto, anima corpo e seno, bocca, labbra, orecchie, occhi, mente, solo sua, le gambe affusolate attorno ai suoi fianchi, e la pelle ruvida di brividi, l'eccitazione a livello epidurale. Io non ti sentivo, non pensavo al tuo seno, pensavo a tutt'altro, pensavo: speriamo che non piova, di stare bene, di non sudare troppo, e soprattutto, di non fare troppe cazzate. Appunto.
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