La nascita travagliata e romanzata dell’organizzazione statunitense più famosa del mondo (FBI), vista appunto con gli occhi del suo fondatore J. Edgar Hoover. Gli inizia sembrano essere normali, ma poi lungo la narrazione si evince quanto sia stato proprio il giovane Hoover (interpretato qui da Leonardo Di Caprio e da vecchio da Leonardo Di Caprio truccato da Jack Nicholson che interpreta Hoover) a volere la fondazione del bureau con un’insistenza maniacale. Pronto a fare qualsiasi cosa affinché la sua creatura godesse di una vita propria, di una libertà mai avuta prima da nessun’altra organizzazione federale, dedica anima e corpo al lavoro, impiegando a volte anche mezzi non del tutto “leale”, e ignorando quasi del tutto il resto della propria esistenza, o per lo meno escludendolo: la morte della madre, l’amore strano con il proprio collega.
Difficile dire quanta parte del raccontato sia verità e quanta invece interpretazione di Eastwood. L’informazione è potere, come sapeva bene lo stesso Hoover, e per essere potente non solo è necessario avere informazioni (su altri) ma anche limitare al minimo quelle su se stessi. Si deve quindi giudicare, come forse è più giusto che sia, in base al film stesso, senza lasciarsi inquinare da altri aspetti quali per esempio la biograficità della pellicola. Quindi si può dire che il film ha la monolitica quadratura di qualsiasi altro film del vecchio Clint, e allo stesso tempo è anche una bella lezione di storia (più o meno moderna, dipenda da come si definisca la storia appunto moderna). Ma ci sono ugualmente delle pecche, almeno a mio avviso visibili, o invisibili, come la fotografia, talmente scura che a volte si ha difficoltà a notare i personaggi in luoghi bui; oppure il trucco da vecchio di Armie Hammer, chiamato a interpretare un anziano Clyde Tolson che risulta però troppo plastificato.
Un film che si lascia vedere, soprattutto se si è un po’ curiosi per natura, ma Clint Eastwood ha fatto di meglio. Leggasi: Gran Torino.
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