La dipendenza dal sesso raccontata con freddo distacco tramite
un protagonista che danza un triste ballo sull’esile linea di confine del farsi
scoprire e vivere una vita normale. Tutto pare procedere all’infinito partendo
da un non ben noto inizio radicato nel profondo passato, fino a quando a
disturbare l’armonia costruita con rituali giornalieri da un profondo Fassbender
arrivano due variabili non calcolate: la fragile sorella interpretata da Carey
Mulligan (protagonista di interessanti scelte di ruolo), e la compagna di
ufficio Marianne. La prima sarà la pedina del rimorso, ma anche colei che per
prima solleverà il velo di invisibilità sotto il quale Brandon, il personaggio
di Fassbender, nasconderà le sue ossessioni, portandolo in questo modo allo
scoperto e in condizioni di dover guardarsi per la prima volta, davvero, in
faccia. La seconda invece gli farà capire quanto la sua vita gli impedisca di
avvicinare sul serio le persone alle quali tiene. Il risultato sarà l’apertura
e la chiusura del film, punti cardine della pellicola che come due parentesi
racchiudono tutta la storia narrata nei cento minuti di pellicola.
Toccante, sensibile, nonostante la spirale di sesso nella
quale Brandon precipita anche con qualche dolore fisico. Da vedere.
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