giovedì 30 aprile 2009
Sputnik
Forse sarebbe stato meglio usare delle scimmie. Ammaestrarle. Registrare tutto, e non viverlo. Guardarlo su tv ad alta definizione. E studiare un metodo più indolore. Ci saremmo evitati queste forze appese alle guance. Le braccia che pesano il quintuplo. Le mani che sudano di continuo. E questa sensazione da casa di riposo. Mi sento come un reduce di guerra. Reduce di patria. Le infermiere. L'infermiera che cura un vecchio, e malato. E' la compassione la mia cura? Accondiscendenza sterilizzata. In camere iperbariche. In camere separate. Mi sento già male. E quando parlo la mia voce è di rame.
Sarebbe stato davvero meglio inviarci delle scimmie. O dei leoni. Tigri. Elefanti. Coccielle. Oppure sbarcare su delle nuvole di legno. Non ci saremmo sbucciati il viso. Bruciati il naso. Ecchimosi sul mento. Io e tutti i miei compagni di viaggio. Anche se ora sono rimasto solo io. E forse lo sono sempre stato. Solo io.
mercoledì 29 aprile 2009
Hard Candy
Un film di primi piani, senza via di mezzo nelle sequenze, dove la macchina da presa aspetta i personaggi, essenziali, nell'inquadratura in una casa presto prigione dai colori pastello. Il leone si diverte con l'agnello; il leone compra, offre, fa sorridere; ma l'agnello ha artigli e denti affilati lunghi, rugginosi da sanguinare rame.
Può esser visto come una liberazione, come un manifesto contro, ma la Page lontana anni luce dalla Juno di Diablo Cody è odiosa da far paura, da far quasi irritare, con i capelli tagliati male e un po' così: distrattamente non pettinati a regola d'arte. L'aria lentigginosa, gli occhi strabordanti distaccamento ricercato, misurato. L'arroganza, sapienza, ostentata, buttata.
Alla fine, in superficie, tutto si risolve, portando i nodi, nodi, nodi, a sciogliersi su polsi lisi e lacerati dalle escoriazioni. Ma tutti i pezzi non combaciano, rimanendo con braccia allargate in attesa di risposta, di una spiegazione. E l'ombra, se a questo si voleva arrivare, di Matthew Poncelet pesa così tanto nella sua lunghezza da non riuscire a non vedere un colpo mancato lungo i titoli di coda.
E pensare che al mattino eri uscito convinto di scopare.
Giudizio: Tv
- Cinema ==> Da vedere assolutamente, correre al cinema
- Dvd ==> Da vedere, ma si può aspettare il noleggio
- Tv ==> Niente di esaltante, se proprio si deve vedere aspettare il passaggio in tv
- Passeggiata ==> Perdibilissimo. Andate pure a fare una passeggiata.. anche sotto la pioggia
martedì 28 aprile 2009
Circa Prescrizioni Mediche [Extended Edition]
Dicono sia questa la malattia più grande dell'amore univoco, quello che non fa dormire la notte e cerchia gli occhi di rosso con capillari scoppiati all'interno; ma si sbagliano: non è l'amore. E' lo scrivere che dà questi problemi, controindicazioni o effetti collaterali, deformazioni professionali. Non è la bramosia del contatto, dello stringersi forte e perdersi in altre persone, ma è il desiderio di possedere la pagina, di riempire il bianco non seme con un nero spermatozoico. E' questo che non fa mangiare, che non fa ingoiare altro se non respiri e parole, frasi, avverbi, scenari tipici e scenari atipici, movimenti, periodi, soggetti, aggettivi, virgole e punti e due punti, punto e virgola, a capo; la punteggiatura nella sua più completa totalità. Arrivo a casa e non ho il tempo materiale di prepararmi la cena, un uovo in padella, due spaghetti due di numero, della carne congelata da ciucciare come un ghiacciolo. Ho in bocca, incastrate tra i denti come carie filiformi, parole sempre più complesse, sempre più difficili da memorizzare, sempre di più. Non riesco a posare che la borsa, le chiavi, prima di afferrare il primo pezzo di carta sparso.
Non posso mangiare, perché nel masticare perderei il filo dei discorsi che si sono creati in testa. Dicono che l'amore, quello sofferto a spasmi. Mentre riscaldo un pugno di spinaci che poi so già metterò in frigo, così come ho fatto ieri, e l'altro ieri, e ieri l'altro ancora, muovo la bocca proprio come se stessi realmente, fisicamente, masticando, mentre invece sto parlando, sottovoce, ripetendo le mie stesse parole per non perderle o farle smarrire prima di riuscire a trasferirle da qualche parte. Dicono che l'amore, quello sofferto a spasmi sul petto. Lascio tutto sui fornelli, lascio che bruci, che il puzzo di bruciato si espanda nella cucina, in salotto. Le dita si muovono a disegnare parole nel vuoto, ancora senza penna, ancora senza carta, mentre la cerco rovistando tra i cd, masterizzati e non, i libri sugli scaffali. Dio, mi maledico!, per quale stronzo motivo non tengo un quaderno da una qualche parte ben precisa, magari in un cassetto dove potrei sapere di trovare ogni volta ciò che sto cercando. Lo trovo sotto un mucchio di riviste, stese a ventaglio sul pavimento di quello che doveva essere lo studio ed invece è ancora un enorme ripostiglio di tutto. Cerco allora una penna: la prima che trovo non funziona. Le mani nel frattempo continuano a muoversi; la mia voce nella testa non ha smesso un secondo di parlare. Dicono che l'amore, quello sofferto a spasmi sul petto e dal martellare sulle tempie. La seconda getta inchiostro a sprazzi e per riuscire a leggere quello che sto scrivendo devo ripassare ogni lettera tre, quattro, volte. E' troppo lenta nello scrivere, mi serve qualcosa di più rapido, come un treno, su dei binari, che non ferma in nessuna stazione. Devo essere libero di scivolare via insieme ai miei pensieri, non fermarmi a ricalcarli, marcarare di nuovo i loro contorni con la china: rischierei di perderli, di perderne la scia. Dicono che l'amore, quello sofferto a spasmi sul petto e dal martellare sulle tempie. E' già un miracolo che sia arrivato fin qui e non abbia dimenticato neppure una parola. Trovo un lapis! Grazie al cielo. Mi siedo sulla poltrona in mezzo alla stanza, appoggio il foglio su un ginocchio e prendo a scrivere. Dicono che l'amore, quello sofferto a spasmi sul petto e dal martellare sulle tempie. Buco il foglio con la punta: cristo santo! Mi sdraio per terra, sento il pavimento freddo sotto la maglia, i pantaloni, i gomiti baciano insistenti le piastrelle dure. Dicono che l'amore, quello sofferto a spasmi sul petto e dal martellare sulle tempie. E' una liberazione, finalmente posso lasciare andare tutto quanto, togliere il piede dal freno, smettere di trattenermi. Libero. Non quello sano degli involucri dei preservativi strappati con i denti e abbandonati su pavimenti sporchi dalle polveri staccatesi dai copri nel loro continuo sfregarsi a consumare passione e pelle. Nel frattempo la cena, o quella che doveva essere, brucia sul fuoco, sfrigolando prima e annerendo dopo. Dicono che l'amore, o chi per lui - dipende da quale animale si sia deciso di addomesticare, dall'età, dalla concezione di quanto si ha attorno, e soprattutto a quanto si abbia la volontà di credere - dicono che faccia dimagrire.
Lo pensa anche il medico da cui decido di andare, un giorno, preso dallo sfiancamento totale delle ultime ore.
"Lei è innamorato? - mi chiede distaccato da dietro la sua scrivania, disordine impilato qua e là in fogli, blocchetti di ricette, campioni di nuovi farmaci lasciati da giovani rappresentanti. Mi guarda con gli occhialini rettangolari e stretti calati sul naso, in bilico sulla punta. - Innamorato non corrisposto?"
Ha guardato le mie analisi del sangue, le analisi delle urine, l'elettrocardiogramma, i test allergici, le radiografie alle braccia, gambe, petto, torace, le risonanze magnetiche, ha letto tutto, e non ha capito un cazzo.
"No! - mi chino in avanti. - Lei non capisce, non è questo. E' la scrittura, cristo santo! Mentre venivo qua, in macchina, ho rischiato di fare un incidente ad ogni curva, di volare fuori di strada ogni cinque minuti. Vedevo un signore sul marciapiede che passeggiava con il cane e mi veniva voglia di descriverlo. Così prendevo il cellulare e iniziavo a scriverlo come un messaggio, giusto degli appunti. Chinavo la testa sul telefono, poi la rialzavo di scatto per vedere la strada, la riabbassavo per controllare se avevo scritto tutto bene, e quando la rialzavo di nuovo ero ad un millimetro da un pedone, un ciclista, o dal guardrail, ad un soffio nel finire giù da un fosso. Non è l'amore, è la scrittura. Anche ora, in questo preciso istante, lei mi parla, io le parlo, e non riesco a trattenermi dal vedere ogni cosa non con gli occhi ma con parole. Guardo questa scrivania - appoggio una mano su un mucchio di fogli - e penso: disordine impilato qua e là in fogli, blocchetti di ricette, campioni di nuovi farmaci lasciati da giovani rappresentanti. Capisce?"
Lui abbassa lo sguardo. Sembra assorto, concentrato.
"C'è un po' di inchiostro nel sangue, una piccola percentuale; ma è normale, come il catrame nelle sigarette."
Torno seduto composto, appoggiandomi allo schienale della sedia. Non c'è niente da fare: sono normalmente sano, a quanto pare.
E mentre salgo in macchina, metto in moto, esco dal parcheggio, mi immetto nel traffico, penso: non è l'amore. E' lo scrivere che dà questi problemi.
lunedì 27 aprile 2009
Guarderemo film in Egitto, o a Londra [Spagna]
Al mio ritorno invece vengo a sapere che tu sei stato in Spagna, o a Londra; oppure hai trapiantato Londra in Spagna, cambiando tutti i segnali stradali della city e traducendoli in catalano. Hai insegnato alle persone spaesate a parlare la lingua di Cervantes, annodando la loro lingua con la tua, con la sua, quella di Cervantes. A chi ti chiedeva dove erano i mulini a vento? tu hai indicato un labirinto complicato un vasto insieme di vene e canali, avvitati assieme da brugole sempre più piccole e sottili, fino ad arrivare ai capillari e ad annodarsi nei capelli. Hai passeggiato tra le strade delle corride sotto una pioggia ad intermittenza, si no, sole nubi, guardando di tanto in tanto la crepa che si apriva sotto i tuoi piedi, mentre i tori ti rincorrevano a Pamplona, cavalcati dallo spirito di Hemingway; oppure l'ombra dei Pirenei, le tempeste di cavallete trasportate dall'Africa fino a Tenerife. Le cavallette! Un'invasione di cavallette!
Avrai mille amanti e mille altre ti guarderanno con ardore. Bacerai le giovani labbra sulle spiaggie mediterranee, mentre il desiderio ti bagnerà i piedi, con occhi famelici di altra gente a te vicina. Ascolterai lo scorrere del giorno, lo stridere grigio perla della luna sul cielo notturno, e ti dimenticherai di me, ad ammuffire tra i canali misteriosi delle grandi piramidi d'Egitto. Io e la mia guida, saldati in un amplesso senza tempo. Ci verrai a liberare solo ai tuoi diciotto anni, dando un senso a tutto questo viaggio, liberando la realtà e sciogliendo i nodi di poco senso. I viaggi intorno al mondo, quelli si, ma non dirmi i viaggi contro il tempo, ti prego: non esistano e non esisteranno mai, altrimenti l'universo collasserebbe su se stesso. Mi diresti.
Saremmo stati degli sciocchi, se non avessimo approfittato di tutto questo.
Mi diresti.
Saremmo stati degli sciocchi, se non avessimo approfittato di tutto.
Mi diresti.
Tu e il tuo tesoro inestimabile a tuo fianco.
venerdì 24 aprile 2009
Curami Deus
leccami petto ginocchia e dita
Con un intervallo arancione
che mi renda una creatura migliore
Dove sei, e se ci sei, fatti vedere
Credo di avere il diritto di poterti toccare
Vorrei scavarmi la buca
Prima che faccia fatica
A riconoscerti mentre ti confonderai in mezzo alle fiamme
Dove sei, e se ci sei, fatti vedere
Credo di avere il diritto di poterti toccare
Dove sei e se ci sei, parlami ancora
Parlami ancora fino ad annoiarti la gola
Curami Deus con quell’amore
che fino a ieri mi imponevi di dare
Rivelami poi quelle parole difficili per me…
Difficili per me…
Metti che un giorno ti dica
leccami petto ginocchia e dita
Con un intervallo arancione
che mi renda una creatura migliore
che mi renda una creatura migliore
che mi renda una creatura migliore
che mi renda una creatura migliore
Migliore, migliore…
giovedì 23 aprile 2009
Il passaggio per Narnia
mercoledì 22 aprile 2009
martedì 21 aprile 2009
Lasciami entrare
Meglio un po' di merda in un angolo che dappertutto.
"Oskar. Ti piaccio?"
"Si. Tantissimo."
"Se non fossi una ragazza... ti piacerei ugualmente?"
"Come?"
"Solo questo. Ti piacerei anche se non fossi una ragazza?"
"Si, certamente."
"Sicuro?"
L'unico rumore che si udiva era il cigolio delle ruote di gomma che scorrevano sui pavimenti di linoleum.
Sentì che qualcuno gli accarezzava la guancia in un mondo lontano. Non riuscì a formulare il pensiero che, come sentiva, doveva essere suo. Ma da qualche parte, su un pianeta lontano, qualcuno gli stava accarezzando la guancia.
Ed era bello.
Poi rimasero soltanto le stelle.
e si erano raccontati i rispettivi mondi, cercando di farli combaciare, con un discreto risultato.
Poi il dolore. Una barra incandescente viene infilata nel suo inguine, scivola su nel suo stomaco, un tubo di fuoco gli attraversa tutto il corpo, e lui inizia a urlare, e mentre urla i suoi occhi si riempiono di lacrime e il suo corpo brucia.
Le parole diventano piccole, superflue.
"Vorresti essere... come me?"
"... no. Vorrei essere con te, ma..."
John Ajvide Lindqvist
lunedì 20 aprile 2009
C come Amore
Chi adatta la propria capacità sentimentale ai propri e altrui (e ambientali) mutamenti, avendo cura di considerare il linguaggio flessibile, mutevole (ha usato anche l’aggettivo ambiguo in senso positivo, creativo) evolve e cresce nel rispetto del ritmo naturale e caotico del cosmo.
Pauette
venerdì 17 aprile 2009
Porch
giovedì 16 aprile 2009
Fast Food Nation
Pronti, partenza: via! Ci ritroviamo ai tempi dei nuovi astronauti, a mangiare pillole al sapore di... solo che qui non ci sono pasticche ma aromi in contagocce. Fino a quando un nuovo astronauta non si accorge: "Merda! ma è il presente."
Inizia in modo accattivante, puntando il dito verso l'industria del fast food, l'elaborazione della carne e il massimo profitto. Poi si perde un po' in storie di immigrazione clandestina, droga e vita buttata con conscienza e non inconsapevole, fuga da una realtà piccola, troppo piccola per se e per l'ombra dei parenti ammirati. Un film fatto di storie, mi verrebbe da dire corale, ma non credo sia il termine migliore in questo caso; troncato in due, spezzato in tempi diversi e distanti di appena due mesi. L'intento era (forse) quello di affrontare temi già trattati da altri film documentari come "Super Size Me" o "The Corporation", cercando di portare alla visione chi non si fida dei sopra citati. Una, magari, realtà trasportata in una, magari, storia di fantasia, dove l'indignazione e la trama si tritano e si macellano e si mescolano tra di loro, confezionando un panino che proprio come quelli che si vedono manca dell'ingrediente principale: il gusto. Ovvero la sincerità, lo slancio di voglia che porta a dire qualcosa. Alla fine hai in bocca un gusto un po' plastificato, di cellophane ancora incartato attorno a. Ma se all'inizio avevo fame, dopo cinque minuti: no. Poi però si stende e perde di vista l'incipit e te dimentichi di avere sia fame che di non averne. Concludi con una pistola puntata, no; appoggiata, no; premuta sul cranio, e la pelle scorticata, la carne tagliata. Tutto quanto in perfette norme di qualità, igene e sicurezza, con macchinari all'avanguardia e non con maceti arrigginiti; ma ugualmente da brividi.
Tutti gli animali presenti nella pellicola. Sono stati macellati.
Giudizio: Tv
- Cinema ==> Da vedere assolutamente, correre al cinema
- Dvd ==> Da vedere, ma si può aspettare il noleggio
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mercoledì 15 aprile 2009
tu regalagli un trucco che con me non portavi:
silenzio, per un istante, ma non ho avuto paura. mi sono addormentata dentro a un corpo vuoto, dentro un corpo spento, ma poi ho riattaccato la corrente e son tornata a vibrare a vociare a vocalizzarmi le consonanti: sono tornata verticale. son tornata, perché non avevo ancora finito. e ho pensato che tutti i baci hanno lo stesso sapore anche se hanno gusti diversi, e che certi ti restano attaccati ai denti come il chewing gum quando ero bambina, e ho pensato che so fare solo i palloncini che non si masticano, io, quelli che si riempiono con l’aria che avanza e che al massimo sanno di plastica. le bolle di sapone e i giri su me stessa, so fare, i cerchi col bicchiere e le facce che ridono sul vetro appannato. mi terrò intera, seppure disassata — ha detto, disossata —, e forse cercherò un po’ di magia che mi sostenga quando lo scheletro si farà liquido. ho imparato la casa a occhi chiusi e ho cercato di scrivere con la sinistra, intanto, ma se la voce mi si rompesse non saprei parlare a gesti. e ci sono state notti in cui ti ho ritrovato nell’attesa tra i miei piedi freddi e la consolazione della coperta, sempre in ritardo sul mio dolore, sempre in anticipo sul tuo stupore. e ci sono pomeriggi in cui ti penso di meno, serate in cui ti abbasso il volume, ci sono parole che mi sembra parlino di me e invece ci sei tu rannicchiato dentro, e allora mi dico che te lo devo, che ogni tanto ti ho disertato, sì, desertato mai, e che anche se la vita ci ha messo il becco e mi ha messo in bocca queste parole che non vuoi sentire, non posso non voltarmi a salutarti con la mano, a dirti grazie, a rispondere prego e a pregarti — fingendo quel sorriso che da sempre ti innamora il cuore — che quella minaccia diventi una promessa, presto o tardi.
continuerai a farti scegliere
o finalmente sceglierai.
martedì 14 aprile 2009
Quando mi dicevi
lunedì 13 aprile 2009
Camicie non stirate mentre fumavo libri strappati
Avrei voluto andare a correre. E' una bella giornata, con il sole, il cielo terso e non fa freddo come i giorni scorsi. Quando mi sono alzato in casa il riscaldamento era già acceso a livello basso da qualche ora: i prodigi della tecnica e del termostato programmabile come un videoregistratore. Sono potuto andare in bagno in mutande e maglietta, scalzo, a piedi nudi. Ho pisciato da seduto, ancora troppo dormiente per rischiare di pisciarmi su un piede, o farla nel bidet. Quando sono tornato in camera per cambiarmi ho aperto i cassetti e non ho trovato i calzini. Non ho trovato i pantaloncini corti, nè la maglietta. Qualsiasi cassetto aprivo trovavo fogli scritti, giornali ritagliati, pagine di libri, carta battuta a macchina.
Sono tornato in bagno e ho cercato nel mobiletto appeso appena a destra dello specchio. C'erano pagine strappate da Il giovane Holden, da Sulla strada, da Il pasto nudo, alcune cose di Asimov. Tutto amucchiato in modo instabile, tanto che appena ho aperto il mobiletto tutti i fogli mi sono caduti addosso, come una cascata.
Li ho raccolti e ho cercato di metterli un po' in ordine, di raggrupparli prima per opera, poi per autore, e poi per parole maggiormente usate, per le frasi che mi sembravano inizzassero in una pagina e poi finissero in un'altra, magari di qualcun'altro, passando anche da Salinger alla scrittura zigzagata di Burroughs.
Ho dovuto rimettermi le stesse cose che avevo ieri sera: un paio di jeans che ormai sono diventati la mia seconda pelle e anche se mi abbronzassi, o sbronzassi, e cominciassi a spellarmi dopo due settimane, non mi andrebbero via, non si staccherebbero da me, lasciandomi per sempre blu; e una camicia, anche se io non sono il tipo da camicia, e non me le metto quasi mai proprio per questo, perchè poi si stropicciano sempre in fondo, quando le porto fuori dai pantaloni, e non ho la cosatanza di abbottonarmi le maniche, neppure d'inverno, così che quando mi muovo e arraffo l'aria con le mani, le maniche mi si alzano, e non è per il freddo che mi lamento ma per i miei avambracci: la gente vede i miei avambracci magri, completamente fuori posto e senza senso, ed è una cosa che non sopporto, che non vorrei. Di tutto me, di ogni cosa, proprio gli avambracci, o le braccia in generale, queste cose che sembrano pertiche montate per sbaglio, attaccate alle spalle, alla schiena ricurva dalla parte sbagliata.
Chissà, mi domando mentre comincio a dare fuoco alle pagine che mi sono cadute in bagno, per poterne respirare, per fumarmi queste storie; chissà se fra qualche tempo la gente che mi guarda gli avambracci vedrà un indiano, in piedi su una collina. Chissà.
venerdì 10 aprile 2009
Nutshell
We chase misprinted lies
We face the path of time
And yet I fight
And yet I fight
This battle all alone
No one to cry to
No place to call home
Oooh...Oooh...
Oooh...Oooh...
My gift of self is raped
My privacy is raked
And yet I find
And yet I find
Repeating in my head
If I can't be my own
I'd feel better dead
Oooh...Oooh...
Oooh...Oooh...
giovedì 9 aprile 2009
Anacleto
mercoledì 8 aprile 2009
Così finisce
Così Y continua a piangere, anche se le lacrime presto se ne andranno, e non ci sarà più il mascara a rigarle le guance; ma nuovo rossetto a macchiarle la bocca, per trasportarla da qualche altra parte, come l'ape con il miele, i fiori, l'aria di questa primavera che tarda ad arrivare. Presto se ne andranno anche le ferite sulle ginocchia, quelle inflitte con i gomiti, con le lamette; perché si sa, al suo tempo, l'orologio di Y, le lacrime si dimenticano facilmente, non producono ferite abbastanza profonde, anche se magari per la prima volta ci hanno fatto sanguinare.
X invece fa finta di nulla. Il mondo non è cambiato, altre cose lo sono. Per lui è un tuffo che non affanna, che lascia asciutti. Non fosse per questo torcicollo che affonda le sue radici nelle spalle, e le spinge giù giù, sempre più giù, cercando di toccare terra, per chissà quale assurda ragione, o motivo, saremo andati a cena insieme, ne avremmo parlato, tastando luoghi e paesaggi oscuri anche a lui. Forse non si rende semplicemente conto, magari non è stato sincero, mentre ora si. Chissà.
Per Y c'è solo questo: ora si, sfogati con la rabbia, le unghie conficcate nella pelle di palmi troppo spesso aperti; ma vedrai che passerà come le stagioni. Saranno altri i muri del pianto, quando il tempo, quello vero e non solo il tuo, avrà cancellato gli affreschi che pensavi eterni. Di eterno, qui, ci sono solo i vampiri.
martedì 7 aprile 2009
Allergie
Essere allercigi alla paura, a questo testo che parte in una direzione e sterza profondamente verso un'altra. Allo sbandare del mio scrivere, che la colpa non è dell'asfalto bagnato o ghiacciato, ma del troppo e del troppo poco, della voglia, delle restrizioni auto indotte, e i segnali di pericolo posti ai lati dei crepacci, dei burroni e sui marciapiedi con gli alberi; alle canzoni brutte e alle canzoni inutili; alle serenate che non riesco a fare sotto finestre che non conosco, che non so dove siano; alle cene da commedia, da testo di teatro, al ripassare il proprio copione e saperlo recitare bene al momento giusto. All'alzarsi e all'andare via, non appena si aprano le danze. (Allo stringersi, all'abbracciarsi, al risvegliare i nostri arti dal sonno delle notti e delle albe, passate così; all'accarezzarsi le guance in modo reciproco, in modo asincrono, allo sfiorare la pelle sotto gli occhi, e a pettinare i capelli sulla nuca.) Alla fantasia, alle ipotesi possibili e a quelle impossibili. All'aria. Agli universi paralleli, e a quelli convergenti. Allo schiudersi delle labbra. (Ci pietrificheremmo come alla vista della Medusa, per caso, se mai lo facessimo?)
lunedì 6 aprile 2009
diario/1
lo so, è un periodaccio, sei l’esatto epicentro circostanziale di un sisma affettivo e oltre, geografico, e oltre ancora, personale. Sei una persona sensibile e perciò soffri e soffri di più e a volte non sai più se stai soffrendo o se stai solo cercando di respirare. Non sei solo. Anche se non capisci in che direzione stai andando perchè tutto sembra ovattato e talvolta vorticoso e talvolta insormontabile, io sto camminando verso lo stesso identico punto verso il quale ti stai dirigendo. Quel punto luminoso che talvolta sembra flebile e a volte lampeggia e scompare. Quel puntino che un decennio fa era un sole sotto il quale camminavamo senza protezione. Quel punto luminoso che ci fa alzare la mattina, che ci fa essere qui comunque, vivi. Un abbraccio.
William Dollace
venerdì 3 aprile 2009
Her Morning Elegance
giovedì 2 aprile 2009
Biglietti Agli Amici
Or me like you.
And why can’t one and one
Just add up to two.
But
We can’t live together
But, we can’t stay apart.
Vedere il lato bello, accontentarsi del momento migliore, fidarsi di quest’abbraccio e non chiedere altro perché la sua vita è solo sua e per quanto tu voglia, per quanto ti faccia impazzire non gliela cambierai in tuo favore. Fidarsi del suo abbraccio, della sua pelle contro la tua, questo ti deve essere sufficiente, lo vedrai andare via tante altre volte e poi una volta sarà l’ultima, ma tu dici stasera, adesso, non è già l’ultima volta? Vedere il lato bello, accontentarsi del momento migliore, fidarsi di quando ti cerca in mezzo alla folla, fidarsi del suo addio, avere più fiducia nel tuo amore che non gli cambierà la vita, ma che non dannerà la tua perché se tu lo ami, e se soffri e se vai fuori di testa questi sono problemi solo tuoi; fidarsi dei suoi baci, della sua pelle quando sta con la tua pelle, l’amore è niente di più, sei tu che confondi l’amore con la vita.
In quel dicembre a Berlino, nella tua casa di Kopenickerstrasse io volevo tutto. ma era tutto, o solo qualcosa, o forse niente?
Io volevo tutto e mi sono sempre dovuto accontentare di qualcosa.
Io volevo baci larghi come oceani in cui perdermi e affogare, volevo baci grandi e baci lenti come un respiro cosmico, volevo bagni di baci in cui rilassarmi e finalmente imparare i suoi movimenti d’amore.
Le volte che mi sei mancato… oh, non per la lontananza, ma proprio per la diversità del sentire, le volte che mi sei mancato sono esattamente questi minuti di attesa e di angoscia e di terribile lucidità aspettando un treno a Santa Maria Novella alle due e trentacinque del mattino. Ma le volte che mi sei mancato, oh, non per la lontananza, ma per questa diversità dello sguardo sono i miei occhi che tesi non vedono quasi più.
mercoledì 1 aprile 2009
Marzo 2009
"Io ti verrò a cercare. Lo sai che lo farò. Ma la domanda è: Tu faresti lo stesso con me? È questo che devi capire. Perché un giorno la smetterò di inseguirti."