martedì 14 aprile 2009

Quando mi dicevi

Guarda il sole: si confonde all'orizzonte, tra la pioggia, in uno scorcio di panorama fantastico, da brividi a fior di pelle. Che spettacolo, in questa prima mattina di aprile, quando ancora tutti sono a letto e io ho messo la sveglia solo per alzarmi in questo preciso istante. Ti vorrei telefonare per dirti di svegliarti, di affacciarti alla finestra, magari ancora scalza, non importa. Voglio condividere con te questo piccolo spicchio di cielo che si illumina di un arancione bagnato, di un calore appena accennato che non brucia, ma riscalda a sufficienza. Bene o male è questo che vedo quando guardo te: un'alba umida e bellissima, dai colori tenui ma gradevoli, capace di riposare l'anima. Anche quando non ti vedo, non ti sento, non ho niente di materiale a cui aggrapparmi, a cui sorreggermi, c'è questa aura che viene a cullarmi, a sciogliermi le dita e liberarmi le mani dalle funi, per farmi scrivere e sentire in questo modo meno compresso. Io so cosa significa questa tregua di spari, e grida, e sangue, e tutto quanto si azzittisce di colpo quando piombi in questo stato virtuale che è la mia mente. Sai sciogliere tutti i nodi che mi si formano dentro, che mi si aggrovigliano ad ogni respiro, ad ogni battito. Sai che sei la medicina più buona che abbia mai assaggiato, che abbia mai provato per curare questa mia malattia un po' particolare e per niente speciale? E sentirti scivolare lungo l'esofago, sia in sciroppo che in pillole, mi regala quel senso di guarigione, lenta e di sostanza, che penso solo le persone non del tutto sane possano apprezzare. Mi rendi meno blu, meno contorto, anche se poi può sembrare l'esatto contrario, ed invece questa è la cosa più lineare e logica che abbia scritto da un sacco di tempo. Piace a me che la scrivo, questo è già tanto, perché soddisfare se stessi è già uno sforzo non da poco. Tanto nessuno capirà quel che voglio dire, quel che voglio far capire, o quello che in qualche modo tento di mettere per iscritto per renderlo più reale. Come quando guardi un film e dentro questo film ci vedi una persona, che non è affatto un personaggio ma trascende dalla pellicola e si siede quasi accanto a te a guardare la televisione. Scrivi quello che ti passa per la testa, perché sei in preda a questo delirio di sensazioni e palpiti, e nell'incoscienza del momento ti illudi di riuscire a trasmettere lo stesso bacio che stai provando, che stai assaporando nella testa e che ti sta bagnando la bocca, le labbra, gli occhi chiusi e la testa inclinata per incastrare le linee dei nasi. E poi l'annodarsi delle dita attorno ai capelli, per scostarli dalla faccia e farsi più spazio possibile, l'avvicinarsi prima con sospetto e poi sempre più forte, lo schiacciarsi l'uno contro il petto dell'altra, e sentire le costole che premono con insistenza a cercare di toccarsi, di fondersi. Non capisci che è tutta una breve ma inutile perdita di tempo, perché ciò che hai dentro e stai provando in quel momento, quel momento speciale, non riuscirai mai a metterlo su carta, e nessuno potrebbe riuscirci davvero, sul serio, completamente. Ti prende questo magone enorme, attaccato dentro, che cerca di farsi spazio tra i polmoni, e spinge spinge perché vuole uscire il più in fretta possibile, urlare quello che ha da urlare, o sussurrare quello che ha da sussurrare. Vorrei che tu capissi questo: che in questo momento, davanti a questo sole che sorge in lontananza vorrei sussurrarti cose che con difficoltà riesco a mettere in parole, a racchiuderle dentro frasi, da quanto sono tante e dirompenti. Perdere la capacità di parlare, ecco cosa, perdere l'uso della parola per poi poter finalmente inventare un nuovo modo di comunicare, un modo tutto nostro e segreto, e bellissimo. Per poterci guardare negli occhi e basta, far fluire attraverso lo spazio che ci separa, e che di secondo in secondo diminuisce, tutto quanto ci dobbiamo/vogliamo dire e tutto quanto ancora non ci siamo detti e non ci siamo voluti dire. Niente potrebbe essere come questo linguaggio non verbale, così ricco e complicato, niente ci sarebbe di più appagante che riuscire a far straripare ogni cosa fuori dal corpo e fartelo capire. Al limite potrei squartarmi, aprirmi la cassa toracica o la scatola cranica, e far sgorgare i miei pensieri come dei geyser violenti e caldi. Mondo tuo, potrebbe essere ciò che sgorgherebbe dalle mie vene, e dalle ferite, dal sangue zampillante, e dal mio volerti bene.

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