Dicono che l'amore, quello sofferto a spasmi sul petto e dal martellare sulle tempie, non quello sano degli involucri dei preservativi strappati con i denti e abbandonati su pavimenti sporchi dalle polveri staccatesi dai copri nel loro continuo sfregarsi a consumare passione e pelle; dicono che l'amore, o chi per lui - dipende da quale animale si sia deciso di addomesticare, dall'età, dalla concezione di quanto si ha attorno, e soprattutto a quanto si abbia la volontà di credere - dicono che faccia dimagrire, che lento si insinui nei meccanismi naturali del nostro corpo e si sostituisca all'apparato digerente tutto. L'attesa prende il posto dello stomaco, la gelosia dell'intestino, le fantasie lungo l'esofago scivolano sulle loro stesse pareti; e la bocca, con labbra, lingua, denti e morsi, sono le parole dette e non dette, i pensieri appena accennati e le mille infinite possibilità disegnate da questo gioco di dire e non dire. Dicono che con il passare del tempo si perda l'appetito, pian piano non si senta più la fame e mangiare diventi un'abitudine sempre meno frequente. Attorno l'aria si fa porpora: niente ha più sapore, se non i contorni dell'altro, la figura impressa nella retina, incisa come un fantasma invisibile agli altri.
Dicono sia questa la malattia più grande dell'amore univoco, quello che non fa dormire la notte e cerchia gli occhi di rosso con capillari scoppiati all'interno; ma si sbagliano: non è l'amore. E' lo scrivere che dà questi problemi, controindicazioni o effetti collaterali, deformazioni professionali. Non è la bramosia del contatto, dello stringersi forte e perdersi in altre persone, ma è il desiderio di possedere la pagina, di riempire il bianco non seme con un nero spermatozoico. E' questo che non fa mangiare, che non fa ingoiare altro se non respiri e parole, frasi, avverbi, scenari tipici e scenari atipici, movimenti, periodi, soggetti, aggettivi, virgole e punti e due punti, punto e virgola, a capo; la punteggiatura nella sua più completa totalità. Arrivo a casa e non ho il tempo materiale di prepararmi la cena, un uovo in padella, due spaghetti due di numero, della carne congelata da ciucciare come un ghiacciolo. Ho in bocca, incastrate tra i denti come carie filiformi, parole sempre più complesse, sempre più difficili da memorizzare, sempre di più. Non riesco a posare che la borsa, le chiavi, prima di afferrare il primo pezzo di carta sparso.
Non posso mangiare, perché nel masticare perderei il filo dei discorsi che si sono creati in testa. Dicono che l'amore, quello sofferto a spasmi. Mentre riscaldo un pugno di spinaci che poi so già metterò in frigo, così come ho fatto ieri, e l'altro ieri, e ieri l'altro ancora, muovo la bocca proprio come se stessi realmente, fisicamente, masticando, mentre invece sto parlando, sottovoce, ripetendo le mie stesse parole per non perderle o farle smarrire prima di riuscire a trasferirle da qualche parte. Dicono che l'amore, quello sofferto a spasmi sul petto. Lascio tutto sui fornelli, lascio che bruci, che il puzzo di bruciato si espanda nella cucina, in salotto. Le dita si muovono a disegnare parole nel vuoto, ancora senza penna, ancora senza carta, mentre la cerco rovistando tra i cd, masterizzati e non, i libri sugli scaffali. Dio, mi maledico!, per quale stronzo motivo non tengo un quaderno da una qualche parte ben precisa, magari in un cassetto dove potrei sapere di trovare ogni volta ciò che sto cercando. Lo trovo sotto un mucchio di riviste, stese a ventaglio sul pavimento di quello che doveva essere lo studio ed invece è ancora un enorme ripostiglio di tutto. Cerco allora una penna: la prima che trovo non funziona. Le mani nel frattempo continuano a muoversi; la mia voce nella testa non ha smesso un secondo di parlare. Dicono che l'amore, quello sofferto a spasmi sul petto e dal martellare sulle tempie. La seconda getta inchiostro a sprazzi e per riuscire a leggere quello che sto scrivendo devo ripassare ogni lettera tre, quattro, volte. E' troppo lenta nello scrivere, mi serve qualcosa di più rapido, come un treno, su dei binari, che non ferma in nessuna stazione. Devo essere libero di scivolare via insieme ai miei pensieri, non fermarmi a ricalcarli, marcarare di nuovo i loro contorni con la china: rischierei di perderli, di perderne la scia. Dicono che l'amore, quello sofferto a spasmi sul petto e dal martellare sulle tempie. E' già un miracolo che sia arrivato fin qui e non abbia dimenticato neppure una parola. Trovo un lapis! Grazie al cielo. Mi siedo sulla poltrona in mezzo alla stanza, appoggio il foglio su un ginocchio e prendo a scrivere. Dicono che l'amore, quello sofferto a spasmi sul petto e dal martellare sulle tempie. Buco il foglio con la punta: cristo santo! Mi sdraio per terra, sento il pavimento freddo sotto la maglia, i pantaloni, i gomiti baciano insistenti le piastrelle dure. Dicono che l'amore, quello sofferto a spasmi sul petto e dal martellare sulle tempie. E' una liberazione, finalmente posso lasciare andare tutto quanto, togliere il piede dal freno, smettere di trattenermi. Libero. Non quello sano degli involucri dei preservativi strappati con i denti e abbandonati su pavimenti sporchi dalle polveri staccatesi dai copri nel loro continuo sfregarsi a consumare passione e pelle. Nel frattempo la cena, o quella che doveva essere, brucia sul fuoco, sfrigolando prima e annerendo dopo. Dicono che l'amore, o chi per lui - dipende da quale animale si sia deciso di addomesticare, dall'età, dalla concezione di quanto si ha attorno, e soprattutto a quanto si abbia la volontà di credere - dicono che faccia dimagrire.
Lo pensa anche il medico da cui decido di andare, un giorno, preso dallo sfiancamento totale delle ultime ore.
"Lei è innamorato? - mi chiede distaccato da dietro la sua scrivania, disordine impilato qua e là in fogli, blocchetti di ricette, campioni di nuovi farmaci lasciati da giovani rappresentanti. Mi guarda con gli occhialini rettangolari e stretti calati sul naso, in bilico sulla punta. - Innamorato non corrisposto?"
Ha guardato le mie analisi del sangue, le analisi delle urine, l'elettrocardiogramma, i test allergici, le radiografie alle braccia, gambe, petto, torace, le risonanze magnetiche, ha letto tutto, e non ha capito un cazzo.
"No! - mi chino in avanti. - Lei non capisce, non è questo. E' la scrittura, cristo santo! Mentre venivo qua, in macchina, ho rischiato di fare un incidente ad ogni curva, di volare fuori di strada ogni cinque minuti. Vedevo un signore sul marciapiede che passeggiava con il cane e mi veniva voglia di descriverlo. Così prendevo il cellulare e iniziavo a scriverlo come un messaggio, giusto degli appunti. Chinavo la testa sul telefono, poi la rialzavo di scatto per vedere la strada, la riabbassavo per controllare se avevo scritto tutto bene, e quando la rialzavo di nuovo ero ad un millimetro da un pedone, un ciclista, o dal guardrail, ad un soffio nel finire giù da un fosso. Non è l'amore, è la scrittura. Anche ora, in questo preciso istante, lei mi parla, io le parlo, e non riesco a trattenermi dal vedere ogni cosa non con gli occhi ma con parole. Guardo questa scrivania - appoggio una mano su un mucchio di fogli - e penso: disordine impilato qua e là in fogli, blocchetti di ricette, campioni di nuovi farmaci lasciati da giovani rappresentanti. Capisce?"
Lui abbassa lo sguardo. Sembra assorto, concentrato.
"C'è un po' di inchiostro nel sangue, una piccola percentuale; ma è normale, come il catrame nelle sigarette."
Torno seduto composto, appoggiandomi allo schienale della sedia. Non c'è niente da fare: sono normalmente sano, a quanto pare.
E mentre salgo in macchina, metto in moto, esco dal parcheggio, mi immetto nel traffico, penso: non è l'amore. E' lo scrivere che dà questi problemi.
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