Un anno portò bene, se non ricordo male, anche se non c'era tutto questo freddo e il tempo era più sereno, con il sole ad illuminare, parcheggiammo un poco più vicino, camminando entrambi sicuramente meglio, senza stringere i denti o aggrottare gli occhi in smorfie per continuare. C'era una disposizione diversa, tipo scalare, da raccolti in montagna, su più livelli; mentre ora nel basso più profondo c'è solo un parcheggio ricoperto, un'edificio quasi prefabbricato che sembra tanto annusarci come una palestra, con il sudore grondante dalle pareti interne, ed ironia della sorte: proprio lì ci stanno macchine in miniatura che si divertono a scontrarsi, ammaccarsi la gomma di protezione posta alla base, e l'elettricità che passa attraverso le antenne messe al posto del bagagliaio. Quando ci fermiamo, seduti su una panchina incassata in un muro di pietra, da lontano si vede un campo verde dove piccoli omini grandi quanto biglie si divertono a correre alla rinfusa, sparsi nel naturale caos a cui, da dove siamo, non riusciamo a dare una regola. Oltre, il marrone scuro terriccio catramoso segnato da linee curve, un campo da basket vuoto, con gli anelli del ferro e le retine esposte al vento.
"Quale vento? - mi domandi tu. - Quale freddo? Qui non c'è posto per l'inverno."
Oh, si, risponderei io. C'è questo alitare di alta quota, le nuvole scure nell'orizzonte alto che cadono in pioggia sotto un grigio battente. E noi siamo vestiti fuori stagione, che tu ci creda o no, con i nostri pantaloni corti, le maniche delle maglie sui gomiti stretti, i vestiti con gonna al ginocchio, e la fortuna di un giacchetto di jeans chiuso in auto. Magari non qui, magari non ora, ma c'è freddo, credimi. Se accosti l'orecchio un poco all'aria lo sentirai filtrare tra molecola e molecola, sibilare nei gradi bassi che a valle sognamo di notte. E non c'è posto per abituarsi, stretti come siamo tra la folla che chiede da bere e passeggia tra le vie piccole del centro di questo mondo. Se solo avessimo del tempo per cambiare pelle, per dare alla temperatura una possibilità di ripresa, quella interna e non esterna, allora magari potremmo inseguire quella ragazza con i jeans corti appena sotto il culo, le gambe flosce di chi non scala neppure un gradino contro voglia, o chi non si diverte; quella ragazza con gli occhi truccati e pesi sotto gli anni che vorrebbe dimostrare e che invece non ha ancora, e la sua amica che la segue piano, dietro di due passi, con il telefono all'orecchio, nascosto dai capelli lisci e biondi, alta più di lei e che nella sua altezza nasconde le gambe e le cosce e le caviglie in pantaloni aderenti neri. Di questa ragazza noi non abbiamo l'odore, il sapore tra le labbra o sulla lingua; noi seguiamo la ragazza snella, più grande: quella con due canottiere di colore diverso, una sopra l'altra, con il seno minuscolo e i jeans sulle Converse nere. E' la più discreta, più matura; certo meno appariscente ma sicuramente più interessante. E'lei che seguiamo, in silenzio di nascosto, pedinando le sue orme e ricalcando i suoi passi sull'asfalto. Fino a quando non ci separiamo nella strada, come lingua di serpente, e noi zoppicando ritorniamo via.
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