mercoledì 23 settembre 2009

[vampa #102]


[…] la frontiera esausta e dilatata, il luogo ove i giorni divorano se stessi replicandosi uno dopo l’altro, come le cicale stridenti consumano, tu maledici il giorno che cedesti alle lusinghe del mondo. Cumuli di alibi e orizzonti uccisi germinano ora annidati nello stomaco per svegliarsi ai piedi del letto e divorare. Partorirai con dolore. Per un attimo la vertigine è controllata, il pugno stretto attorno alla maniglia della porta spalancata, la chiave d’oro della libido conficcata nella toppa. Tutto acquisterà un senso in eccelsa sincronia con il transito satellitare. I tuoi vagiti prima e i tuoi pianti affannati poi sono stati accuratamente raccolti e decriptati affinché di ogni tua più intima fame ci fosse memoria e presagio. Là fuori c’è il mondo che finalmente sorride, la folla che apre il sacco degli elogi ed i cristalli di angoscia si sciolgono nel sangue per venire espulsi dagli intestini cromati della macchina. Folla, calore, affetto immediatamente assorbito fino a quel momento rigettato. Cosi calda la mano della folla, cosi tenero il suo consenso. Tutti perdona perché nessuno sa ciò che sta facendo, inondati della luce benevola della sua aureola dentata tutti righeranno dritti reclamando quotidiano pane serotoninico. Piovono gli elogi, piovono i sorrisi, le strette di mano, le pacche sulle spalle, le schiene si piegano in inchini e tu sei risucchiato dal crepitio di quegli occhi sbarrati e tutto finalmente sembra districarsi e illuminarsi e aprirsi come le acquee del Mar Rosso. La gioia calza come seta sulla pelle, la macchina è ai pieni regimi del suo cuore misericordioso e caritatevole, carne imbevuta di dopamina moltiplicherà i suoi e i tuoi bisogni e tu li soddisferai e ne mangerai, appendice protesa a immagine e somiglianza delle sue mille bocche. Strafogati di oblio, liberati, spaccati, dimentica: i centri del piacere torneranno a risplendere cantando cori di giubilo, ogni tua colpa verrà annullata. Finalmente vivo […]
In foto: ascéndere v. intr. [dal lat. ascendĕre, comp. di ad- e scandĕre «salire»] (coniug. come scendere; aus. essere). – 1. Salire, andare verso l’alto: Allor le donne ascesero per l’erta (Pascoli); fig.: a. ai più alti onori; a. al trono; a. nella via della perfezione. Nell’uso letter., e in particolari espressioni, anche trans.: a. l’altare; La macchina fatale il giogo ascese (Caro); gl’inarati colli Solo e muto ascendea l’aprico raggio Di Febo (Leopardi). 2. In musica, dirigersi, d’una voce, d’una melodia o d’un intervallo, da suoni più gravi a suoni più acuti: a. di una quarta; una frase che dal sol2 ascende al sol3. 3. Assommare, ammontare a una data cifra: la spesa totale ascende a circa mezzo milione. ◆ Part. pres. ascendènte, anche come agg. e s. m. (v. le due voci). (Home, 2009)

metro:vampe

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