discutiamo spesso della sottile membrana che separa il giorno dalla notte, magari mentre fuori la sera si posa sulle strade e i lampioni iniziano a lampeggiare. o come questa mattina per esempio, quando stavamo ancora dormendo e tu, con i tuoi riccioli pettinati in modo perfetto da apparire quasi disordinati, gli occhi privi di alcun sonno, la stanchezza sgombra e il colore dei capelli che si faceva di un biondo sporco quasi castano chiaro, hai invertito l'orologio, lasciando scattare le lancette dei minuti, le ore, a passo lento verso la sera. di colpo per magia fuori è diventato buio, e non eravamo più intenti a svegliarci ma ci stavamo coricando per cadere in un sonno poco profondo e irto di aculei spine pungiglioni di piacere. ti ho vista mentre ancora un poco sveglia ti sei avvicinata a me, facendo scivolare una mano sotto le lenzuola, hai chiesto: stai dormendo? la tua voce era un respiro, trattenuto a forza, un suono appena percepibile costretto tra le mura di una preghiera recitata a bocca chiusa, dentro la tua testa, ripetevi: ti prego, ti prego. gli occhi mi dicevano ciò di cui non avevi il coraggio. mi parlavano delle spiagge al tramonto, della sabbia fredda quando il sole cala oltre l'orizzonte per tuffarsi nel mare o nell'oceano; i tuoi occhi mi sussurravano frasi al gusto di ciliegia, fragola, vaniglia. mi hai chiesto: dormi? stai dormendo? ed io ti ho risposto accarezzandoti la gamba nuda, dal basso del ginocchio verso l'alto dell'inguine, fino a quando la mia mano non ha incontrato la stoffa delle tue mutande. tu hai chiuso gli occhi, hai respirato attraverso i denti, inclinando la testa all'indietro e usando i tuoi capelli come cuscino con il quale appoggiarti al muro dietro il letto.
è così bello quando non abbiamo bisogno di parole, quando tutto esce e sgorga quasi fosse la più naturale delle sorgenti, acqua limpida che si insinua tra le rocce, crea torrenti, si trasforma in fiumi, acquisisce affluenti e poi si tuffa in un delta di piaceri. altre volte invece le parole sono così necessarie, per zavorrare questi sogni, queste visioni, questi attimi, e per non farli volare troppo in alto, lontano dalle nostre teste, altrimenti rischieremmo di dimenticarcene presto, di perdere il sentiero, smarrire l'orientamento. le parole sono come le molliche di pane lasciate da Hansel e Gretel, ci permettono di ritrovare sempre, ogni giorno quando più lo vogliamo, la strada. abbiamo bisogno delle parole per vestire questi sogni che facciamo, anche quelli ad occhi aperti, o socchiusi, perché i sogni sono trasparenti, sono invisibili, e ben presto, una volta finito il tenue tremore del loro sospiro è difficile riuscire a scorgerli intorno a noi. per questo usiamo le parole, disegniamo loro addosso abiti fatti di lettere: in modo da poterli vedere camminare per strada, o nascondersi dietro ad un lampione mentre sorridenti magari giocano a nascondino con la nostra memoria. i sogni ci escono dalle orecchie fuggendo via da noi stessi alla ricerca di una loro disperata e agognata libertà, e come palloncini gonfiati ad elio salgono su per l'atmosfera cercando di mettere quanto più spazio possibile tra noi e loro. ma le parole, le parole li ancorano a terra, non gli permettono di allontanarsi troppo da noi, lasciandoci la possibilità di riassaporarli quando lo vogliamo, come lo vogliamo. con le parole, anche queste per quanto ti possa sembrare strano, le immagini che il nostro subconscio crea mentre muoviamo frenetici gli occhi sotto le palpebre chiuse, si imprimono a forza, come fuoco sulla pelle, se non nel cervello cervelletto o midollo spinale, sinapsi tra sinapsi, fiocchi di collegamenti nervosi, almeno sulla carta, sull'etere; in un posto sicuro dove noi le possiamo sempre trovare.
per questo sono qui a parlare, scrivere: non per chissà quale motivo egocentrico nel quale mi vedo trasformato nel birillo rosso del tavolo da biliardo centrale del bar più famoso della piazza rossa di Mosca, ma solo per ricordo, puro e semplice. non voglio perdermi per strada la tua espressione, noi due avviluppati tra le lenzuola, io ad arrampicarmi su di te in passaggi striscianti come un serpente, su per le gambe, attorcigliato con lingua mani e bocca al tuo seno, tu che ti appoggi sulla testata del letto inarcando la schiena quasi a farmi più spazio, lasciando il passaggio, e rapita da un orgasmo che ti sfiora soltanto il ventre, invece di afferrarti violento le viscere come vorresti tu, come attendi con impaziente vibrazione di farti cogliere e cadere cosciente in una sindrome di Stoccolma così agognata da fare quasi piangere per il suo ritardo, quando speri e speri, guardi l'orologio di continuo e non pare mai passare il tempo, sempre sul punto di esplodere, esplodere in fuochi mille d'artificio, con la miccia danzante in bilico sul filo che non finisce mai di bruciare; e quando arriva, arriva in un suono di sterminata impazienza, dove le note più alte sono squilli di trombe e di urla e di soddisfazione e di arrivo, di felicità, di acqua dissetante dopo una corsa spossante, di riposo di piacere di tutto e di niente; sono una ballata tranquilla, sono schitarrate violente, sono leggeri arpeggi e pesanti martellamenti di batteria.
lascia stare le mie parole, che sono mie e mie soltanto. agghindo le mie visioni in modo beffardo, quasi pacchiano, per fare in modo da renderle buffe, pure incomprensibili - ne sono conscio, cosa credi? - per fare in modo che la gente, gli altri, le guardi passare e rivolga loro magari solo un sorriso, una risata trattenuta. le mie visioni le voglio spogliare solo io, e una volta svestite delle parole rimangono i ricordi, quelli si più precisi di quanto non riesca qui a descrivere. perché i sogni rischiano di evaporare, ma con le parole diventano più duraturi, e per quanto sappia che rileggendo tutto questo anche solo tra qualche settimana non sarà mai preciso e vivido come quando mi sono svegliato del tutto e tu non c'eri ma c'eri ancora a linee tratteggiate dentro la mia testa, in quella zona del mio cervello adibita ai sogni che si possono sognare solo alle sei del mattino, quando ti sei già un poco svegliato e ti lasci cadere di nuovo all'indietro tra le braccia di Orfeo; anche se so che non sarà mai come in quell'istante, che non potrò rivivere e risognare quello stesso preciso sogno, mi lascio sedurre da questa infantile convinzione, che con le parole un poco ci riuscirò: se non del tutto almeno in parte.
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