lunedì 16 aprile 2012
Come diventare se stessi
L’aria ha quel grigiume da lavagna cancellata di quando si prepara un temporale.
Il suicidio è una fine potentissima: si ripercuote all’indietro e rende confuso l’inizio. Ha una sua forza di gravità sugli eventi. Alla fine, ogni ricordo e ogni impressione viene trascinato in quella direzione lì.
La domanda peggiore che si potesse fare a David nell’ultimo anno era: “Come stai?” Ma è quasi impossibile parlare con qualcuno che non vedi regolarmente senza fargli quella domanda. Lui era molto onesto. Rispondeva: “Non sto bene. Ci sto provando a stare bene, ma non sto bene.”
I libri sono un sostituto dell’interazione sociale: gli autori che leggiamo sono persone che, a un certo livello, ci piacerebbe frequentare. I capitoli, le pagine ,i racconti, gli articoli sono il miglior surrogato.
Quello su cui si trovarono d’accordo – dietro suggerimento iniziale di Dave – fu che lo scopo dei libri era combattere la solitudine.
L’equazione di Henry Ford sui viaggi on the road: due uomini entrano sempre in confidenza se devono percorrere insieme una distanza superiore ai sessanta chilometri.
Be’, penso che essere timidi significhi sostanzialmente essere talmente concentrati su se stessi che diventa difficile stare in compagnia della gente. Per esempio, se passo del tempo con te, non riesco a capire se mi stai simpatico o antipatico, perché sono troppo occupato a chiedermi se io sto simpatico a te. È stressante e odioso, tutto quello che vuoi. Ma io ho in me degli elementi di questo tipo di timidezza.
Eppure, allo stesso tempo… Insomma, è un po’ come essere cleptomani e agorafobici. Allo stesso tempo, credo che per gran parte della gente che – ma interrompimi se non sei d’accordo, eh, perché sto parlando con uno del mestiere – credo che per chi scrive, parte della motivazione stia nel fatto di imporre se stesso e la propria coscienza agli altri. C’è un’arroganza incredibile anche solo nel provare a scrivere qualcosa; figuriamoci nell’aspettarsi che qualcuno paghi dei soldi per leggere quello che hai scritto. Quindi alla fine ti ritrovi a, mmh… Ecco, secondo me gli esibizionisti che non sono timidi si ritrovano a salire su un palco. Finiscono per fare il proprio mestiere alla presenza diretta di altra gente.
Certo, esiste una forma di insicurezza utile. Ma poi c’è l’insicurezza nociva, paralizzante, come una banda di beduini che ti stupra la psiche.
Ma insomma, dicevo, secondo me c’è un altro pericolo, e cioè che se uno riceve valanghe di apprezzamenti per il primo libro, poi gli verrà molto difficile scrivere qualcos’altro. Cioè, ci sarà una parte di te che vorrà scrivere a ripetizione quella stessa cosa, per continuare a ricevere le mollichine di elogio. Ed ecco l’ennesima ragione per cui tutto questo è nocivo.
A me sembra che la vita sia simile a una luce stroboscopica, e che mi bombardi di input. E gran parte del mio lavoro consiste nell’imporre a tutto questo un certo ordine, trovarci un senso. Mentre il modo in cui… forse sono molto ingenuo, ma immagino Lev che si alza al mattino, si infila un paio di scarponi fatti in casa, esce a fare due chiacchiere con i servi che ha liberato, e così via. Si siede nella sua stanza silenziosa, affacciata su dei giardini molto ben tenuti, tira fuori la penna d’oca e… nella più profonda tranquillità, comincia a ricordare delle emozioni.
E non so come la vedi tu, ma per quanto mi riguarda… quel tipo di letteratura mi piace leggerla, ma non mi sembra per niente vera. la leggo per trovare sollievo da ciò che è vero. La leggo per trovare sollievo dal fatto che, per dire, oggi ho ricevuto cinquecentomila informazioni distinte, delle quali forse venticinque sono importanti. E come faccio a distinguere quali? Mi spiego?
La normalità non si può coltivare, così come, e lo sottolinea lo stesso David nei suoi libri, non si può provare a essere sinceri. O si è sinceri, o no: ma dev’essere qualcosa che si fa spontaneamente.
E penso che le persone come me e te siano fortunate sul serio se nella vita ottengono un po’ di successo quasi subito, e riescono a capire quasi subito che quel successo non ha nessun valore. Il che equivale a dire che riescono a mettersi quasi subito a riflettere su cosa invece abbia valore.
Non sto dicendo che nell’intrattenimento ci sia qualcosa di sinistro, di orribile o di sbagliato. Sto dicendo che è… sto dicendo che è un continuum con diversi livelli. E se il libro ha un argomento, l’argomento è questa domanda: perché guardo così tanta merda? Il problema non è la merda in sé; sono io. Perché lo faccio?
È questo il problema: che l’intrattenimento rientra nel continuum della dipendenza. E per adesso ancora ci salviamo, perché la qualità non è altissima.
Ma se ci fai caso… se guardo la tv per cinque o sei… se mi alieno davanti alla tv per cinque o sei ore, poi mi sento depresso e vuoto. Mi domando perché. Mentre se mangio caramelle per cinque o sei ore, e poi mi sento male, il motivo lo so.
Avrò come al solito quella sensazione tremenda di quando ti senti battere forte il cuore e ti sembra che lo sentano anche tutti gli altri.
Guarda, io personalmente ho il sospetto che per le domande veramente profonde non ci siano risposte, perché le risposte sono individuali, capisci?
La cosa che mi fa paura è che, quando arriveremo noi al potere, quando saremo noi quelli di quarantacinque, cinquant’anni, non ci sarà nessuno… nessuno più anziano… non ci saranno persone più anziane di noi che si ricorderanno la Grande Depressione, o la guerra, persone che hanno alle spalle sacrifici considerevoli. E non ci sarà più nessun limite ai nostri, come dire, appetiti. e anche alla nostra smania di sperperare le cose. E mi rendo conto… lo ripeto, sto parlando da privato cittadino, non conosco nessun’altra generazione, sto parlando di una specie di sensazione che provo a livello profondo, viscerale…
Il trucco, quando si scrive roba del genere, è farla risultare sincera, ma anche molto più interessante. Perché la maggior parte dei nostri pensieri non sono poi tanto interessanti. Perlopiù sono soltanto confusi.
Be’, per quanto mi riguarda, come maschio americano, il volto che do a quel terrore è la nascente consapevolezza che nulla è mai abbastanza, mi spiego? Che il piacere non p mai abbastanza, che ogni traguardo raggiunto non è mai abbastanza. Che c’è una sorta di strana insoddisfazione, di vuoto, al cuore del proprio essere, che non si può colmare con qualcosa di esterno. Secondo me funziona così da sempre, fin da quando gli uomini primitivi si picchiavano con le clave. Anche se si può descrivere in mille parole e in mille gerghi culturali diversi. E la sfida che ci si prospetta, in particolare, sta nel fatto che non c’è mai stata così tanta roba, e di qualità tanto alta, proveniente dall’esterno, che sembra tappare provvisoriamente quel buco, o nasconderlo.
David Lipsky - David Foster Wallace
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento