Gli psicanalisti smettono di lavorare alle sei, ma per te faccio un’eccezione e oltre a trasformarmi in, vengo a prenderti a casa cercando di sistemare quanto è possibile sistemare: un fallimento su tutti i fronti, mentre il peso dello sconforto di persone speranzose comincia a schiacciare la schiena con aspettative che non sono riuscito, aimè, a trasformare in realtà.
Cerco di rimediare trasformando il sedile dell’auto in un lettino sul quale farti stendere e farti raccontare la tua infanzia. Ti dico: dimmi: cosa c’è che non va? E poi me ne resto ad ascoltare annuendo di tanto in tanto, incapace di fare niente proprio come avvenuto in casa, solo ora su quattro ruote, mentre la notte avvolge strade che non riconosci più e nelle quale ti perderesti all’istante se lasciata sola. Vorrei fare di più, ma non so proprio come potrei. Aggirare stupidi vincoli familiari ai quali sei legata dalla nascita, tagliare cordoni ombelicali che ti portano a comprare scarpe color salmone appena scesa dall’aereo. E i treni, quelli che ti portano a casa quando vuoi una vacanza che in fondo non è vacanza. Si dovrebbe essere rilassati, no? Continui a domandare.
Io faccio, o cerco di fare, l’unica cosa che credo di fare bene, ovvero: provo a farti ridere. Dimenticare tutto quanto non è la soluzione – né migliore né peggiore, non è la soluzione, punto – ma può aiutare a far scivolare i problemi senza troppo traumi. Così giro scherzosamente il coltello nella piaga e ti chiedo: che lavoro fa?
Tu ridi per un istante, di gusto, di quel riso che prima era più costante e che sentivo spesso al telefono quando mi chiamavi per alleggerire una tensione che non riuscivi più a sopportare. Ridi per un attimo, facendomi sentire quantomeno un poco utile, perché se ridi vuol dire che i problemi ti hanno abbandonato per un poco, giusto il tempo necessario a ridere: è come se il tuo sorriso spazzasse via i problemi. Se ridi la mente è sgombra, non pensi al costo di telefonata internazionali, né all’impossibilità di vedere e/o sentire persone che ti stanno a cuore, né hai tempo per pensare a chi dovrebbe esserti vicino e che invece sembra infischiarsene di tutto mettendoti i bastoni tra le ruote: ridi e basta, e mentre ridi ridi soltanto, non hai preoccupazioni. Il tuo sorriso è il mio traguardo, il segno chiaro che ho raggiunto il mio obbiettivo.
Poi invece mi chiedi un gelato. Non un birra: un gelato. A mezzanotte e quasi, trovare una gelateria aperta, di quelle artigianali, è un’impresa ardua, tanto che giro per le strade senza sapere neppure dove portarti. In su, in giù, a destra, a sinistra. Tutte le serrande sono abbassate, i negozi chiuso. Non c’è vita, dici tu ancora sdraiata sul lettino. Che lavoro fa? Ti chiedo io, e tu riparti.
Raggiungiamo un accordo, dimenticando per un attimo il mio stupido compromesso e la tua insana richiesta (“Dove lo trovo io ora, a quest’ora? Senza preavviso.” “La prossima volta dobbiamo essere preparati.” “A saperlo.” “Chiediamo alle puttane.” E la tua attenzione viene rapita, perché ogni volta che torni le rivedi, le puttane, e ti sembra sempre incredibile vederle lì ai bordi delle strade, tutte svestite in quel modo, loro: le puttane). Ci accordiamo per una pizza, di quelle al taglio comprate in un forno clandestino, che se la guardia di finanza facesse una retata ci porterebbe tutti quanti via.
Prendiamo la pizza e andiamo a casa parlare. Guardiamo viaggi che non abbiamo fatto e ci discutiamo tutti insieme di parrucchieri che non sanno fare il proprio lavoro, o che lo demandano a giovani inesperti. Tutto lì, sulla tua testa, ma c’è sempre di peggio, ricorda: ci sono parrucchieri che ti lascerebbero andare in giro con quei capelli lì, senza dirti niente. Certa gente si dovrebbe rifiutare, invece.
Poi ti riaccompagno a casa, quando tutto è passato, e tra un paio di puttane e un incrocio, un autovelox e due caselli, sei di nuovo via. Chissà quando tornerai per una vacanza che non ha affatto il sapore di una vacanza. Non sai rispondermi e io neppure, nel frattempo ti aspetto preparando il lettino. Spero che tu veda chi vuoi vedere, e tu senta senza spendere troppo.
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