lunedì 27 aprile 2015

L'arte di vivere in difesa

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Il burroso sole della Florida occhieggiava all’orizzonte.

Lo sbalordiva e lo affascinava il fatto che una mente potesse diventare talmente grande da far sembrare profondo ogni suo pensiero.

Per la verità non aveva mai desiderato togliersi la vita, anche se era facile dirlo ora che si sentiva un po’ meglio.

Se nessuno al vedeva, lei inclusa, l’aspetto non aveva nessuna importanza.

Aveva gli occhi bellissimi, si accorse Pella, stranamente luminosi, come l’ambra traslucida che conserva al proprio interno gli insetti preistorici.

Era bello, bellissimo, nel modo in cui potrebbe esserlo il reperto di un vaso Ming.

I sentimenti non hanno niente a che vedere con la razionalità.

Pella avvertì quel triste senso di esclusione che provava sempre alla fine di un viaggio all’estero.

Se un tempo era stata una ragazzina precoce e promiscua, ora di certo non lo era più. Il mondo l’aveva raggiunta e superata.

Schwartz sapeva che le persone amano soffrire, se la sofferenza ha uno scopo. Tutti soffrono. Il segreto sta nello scegliere la forma di sofferenza più congeniale.

Mi chiedevo come ci si sentisse a essere bravi in qualcosa e a sapere di esserlo.

Nella sua esperienza più vicina a un’epifania che avesse mai osato provare, Affenlight comprese quanti modi di vivere esistessero.

Amare qualcuno non implicava talvolta la necessità di spiegarsi.

In fondo sei sempre prigioniero dei tuoi pensieri, e devi farci i conti per forza.

Un minuto prima si sentiva bene, o almeno lo credeva, ora però la possibilità di sbagliare gli era entrata in testa, e il confine tra errore possibile ed errore inevitabile era pericolosamente sottile.

La gente non ti perdonava per aver fatto qualcosa che ti rendeva felice.

Chad Harbach

venerdì 24 aprile 2015

1942

I'm a Russian Jew American
Impersonating African Jamaican
What I wanna be's an Indian
I'm gonna be a cowboy in the end I guess
I guess I bought a gun cause it impresses
All the little girls I see
And then they all wanna sleep with me

Oh, where do we disappear?
Into the silence that surrounds us
and then drowns us in the end
Where all these people who impersonate our friends
Say, "Come again, come again, come again"

Into the dark Italian underground of disco lights and disco sound
And skinny girls who drink champagne
And take me on their knees again
Then pull me up and out the door
Past railway cars and tranny whores
And morning spreading out across the feathered thighs of angels

Oh, where do we disappear?
Into the silence that surrounds us
and then drowns us in the end
Where they try to push you out to keep you in
And say, "Come again, come again, come again"

In 1492, Columbus sailed the ocean blue
In 1493, came home across the deep blue sea
In 1494, he did it with the girl next door
In 1495, he barely made it out alive
In 1964, these sailors left me at the door
In 1970, some people got their hands on me
Now I'm the king of everything
And I'm the king of nothing
Now I'm the king of everything
I am the king of nothing

Oh, where do we disappear?
Into the silence that surrounds us
And then drowns us in the end
Where all these people who impersonate our friends
Say, "Come again, come again. come again"

Oh, where do we disappear?
Into the silence that surrounds us
And then drowns us in the end
Where they try to get you out to get you in
And all these people who impersonate our friends
Say, "Come again, come again, come again"

Performed by Counting Crows

mercoledì 22 aprile 2015

Una fantasia di stanze

Esattamente un anno fa io ero seduto su questa stessa sedia, mentre te eri seduta davanti a me, all'altro lato del tavolo. La stanza non è cambiata, ha sempre gli stessi arredi, nonostante questo la vedo in modo diverso. L'anno scorso mi sembrava più grande. Il tavolo per esempio lo ricordo di una lunghezza infinita, lo spazio che ci separava così immenso da non sapere come fare ad attirare la tua attenzione. Io provavo a parlare ma tu non mi ascoltavi, forse perché non mi sentivi, tanto eravamo distanti. Adesso invece il tavolo sembra essere un semplice tavolo, di legno, come potrebbero essercene tanti altri. Ha una grandezza normale e non è niente di così incredibilmente assoluto: è un tavolo, punto. La stanza ha riacquistato le sue reali dimensioni. Non è più così sconfinata come mi ricordavo. Sarà dato dal fatto che nel frattempo, nell'arco di dodici mesi, abbiamo utilizzato più stanze, di diversa grandezza, passando da quelle più piccole dentro le quali stavamo stretti davvero in due ed era difficile trovare lo spazio per sedersi senza sfiorarci le ginocchia, a quelle più grandi dove la gente veniva a disturbarci perché era manifesta la nostra incapacità di occuparle per intero.
È stato un valzer che ci ha visto passare da una sala all'altra, danzando sui tavoli e sui pavimenti, guardando le televisioni e le riunioni degli altri, origliando discussioni su argomenti che non ci interessavano minimamente. Ci sentivamo delle spie industriali ingaggiate da qualche grande multinazionale. Dovevamo rubare quante più informazioni possibili e rivenderle al nostro cliente principale, quello che ci pagava più profumatamente per colmare il gap che si era venuto a creare tra lui e il suo concorrente. Noi eravamo delle pedine che facevano il doppio gioco. Dovevamo apparire affidabili abbastanza da risultare innocui, quando invece, sotto sotto, prendevamo appunti e ci garantivamo una ricompensa adeguata al rischio che correvamo.
È stata tutta quanta una fantasia, una splendida fantasia per passare le giornate. Anche quando non riuscivamo a toccarci, quando io cercavo di attirare la tua attenzione e tu invece non riuscivi ad ascoltarmi. Dicevi che parlavo troppo piano. E che la stanza era grande, che la mia voce si perdeva nello spazio. È buffo che tutto sia iniziato qui e che, quasi per caso, sia sempre qui che finisca.

lunedì 20 aprile 2015

Il ponte sulla Drina

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Nulla unisce le creature quanto la sventura affrontata insieme e felicemente.

L’oblio cura ogni male, e il canto è il modo migliore per dimenticare, poiché, quando canta, l’uomo ricorda solo quel che gli piace.

Spesso si pensa di sentire quello che si teme o si spera.

Coloro che detengono il potere, infatti, dovendo opprimere per governare, sono condannati ad agire sensatamente; e se, trascinati dalla passione o costretti dagli avversari, oltrepassano i limiti della ragionevolezza, scendono su una strada lubrica e, con ciò stesso, da soli segnano l’inizio della loro rovina. Coloro che sono oppressi e sfruttati, invece, si servono facilmente sia del senno che della stoltezza, poiché questi sono soltanto due diversi tipi della loro arma nella perenne lotta contro l’oppressione, che a volte è subdola, a volte aperta.

Tutti gli eserciti del mondo erigono, per i loro particolari scopi e per le loro temporanee esigenze, edifici che poi, guardati dal punto di vista della vita borghese e delle necessità del tempo di pace, appaiono assurdi e insensati.

Ma le miserie non durano in eterno (in ciò sono simili alle gioie), trascorrono o almeno si trasformano, e si perdono nell’oblio.

I tempi difficili, infatti, non possono trascorrere senza che qualcuno ne soffra.

La sventura degli uomini sventurati consiste proprio in questo, che per loro le cose solitamente impossibili e vietate divengono, o almeno sembrano per un attimo, accessibili e facili; ma quando hanno preso stabile dimora nei loro desideri, appaiono nuovamente quelle che sono in realtà: irraggiungibili e proibite, con tutte le conseguenze che ciò comporta per coloro che, malgrado tutto, le ambiscono.

Appariva sempre più chiaramente che i guadagni e la vita facile avevano pure il loro rovescio, e che il denaro, e colui che lo possedeva, altro non era se non la posta di un grande e stravagante giuoco di cui nessuno conosceva tute le regole ne era in gradi di prevedere l’esito.

Se devi andare all’inferno, è meglio che tu vada piano.

Zorka, che è stata zitta per tutta la sera, tace ancora, come solo le donne sanno fare, quando sbrogliano le proprie preoccupazioni amorose che sono per loro più importanti e impellenti di qualsiasi altra cosa al mondo.

Ivo Andrić

mercoledì 15 aprile 2015

Chilometri bagnati

Il contachilometri segna 136.782, mentre fuori la pioggia batte la strada annebbiando la visuale. Bisogna procedere adagio, diminuire la velocità per salvaguardare la sicurezza. Le cinture sono allacciate, l'auto ha appena fatto il controllo di: olio, freni, gomme. Non si è mai troppo sicuri, soprattutto quando il meteo sembra remare contro e scagliarti addosso tanta di quell'acqua da non permetterti di capire dove finisce la tua carreggiata e dove inizia l'altra. Le macchine ti passano accanto inondando il parabrezza, mentre i tir nella corsia di destra procedono lenti ma inflessibili con la loro andatura da pachidermi appena svegliati. La pioggia di rimbalzo ti arriva da tutte le parti, dall'alto, da destra, da sinistra. I tergicristalli non fanno in tempo a pulire la visuale che subito devono tornare in fretta a pulire il vetro. È un continuo bagnarsi degli umori del cielo. Un cielo grigio pieno di smog invisibile. Gli unici momenti di pace sono dentro le gallerie, quelle abbastanza lunghe nelle quali devi spegnere i tergicristalli per evitare che le spazzole comincino a fare quel fastidioso rumore di gomma strisciata su una superficie ormai secca: dà lo stesso fastidio che si prova ad accarezzare un gatto contropelo. Le gallerie sono così buie, così prive di acqua, ti ci abitui subito. Quando ne vedi la fine non ti ricordi neppure più della pioggia. Alla vista le gocce, seppure grandi e copiose, si mimetizzano alla perfezione nell'atmosfera. All'uscita ti tendono un'imboscata colpendoti all'improvviso. Il mare torna a sommergerti, con insistenza ossessiva. Non puoi chiedere un momento di pausa, una pausa l'hai già avuta dentro la galleria. Devi fare in fretta, devi tendere la mano verso la leva dei tergicristalli ed essere veloce ad azionarli di nuovo, alla massima velocità, mentre la pioggia ti sbatte contro, e le altre auto ti passano accanto, i camion formano una lunga processione di rimorchi con ruote gigantesche, e lacrime insensibili sgorgano dal continuo abbandono tra penumatici e asfalto. E tu dici di andare piano, mentre la radio perde il segnale e la stazione è diventata un confuso gracchiare di voci indistinte, e il contachilometri segna appena 136.783.

lunedì 13 aprile 2015

Festa d'amore


Ma la cosa divertente con le fobie degli altri, quando non le condividi, è che ti viene voglia di grattarle come fossero croste. Vuoi rimuoverle.

Quando sei innamorato, non hai bisogno di fare nulla. Ti basta esserci. Esistere, senza dire una parola. Senza muoversi di un palmo.

Se qualcuno ti fa bella o dice che sei carina e te lo ripete con insistenza, finisce per fare di te la sua vittima.

Alcuni errori sono al tempo stesso semplici ed enormi. I peggiori errori che abbia mai commesso sono stati quelli dettati da una dolce speranza.

Non capisci mai di avere attraversato un confine fino a quando non sei dall’altra parte.

Ogni secondo che passava, mi sembrava di scendere lungo il dorso di una montagna a bordo di un’auto senza freni.

Quando qualcosa ti fa male, trovi sempre delle parole stupide per le tue accuse.

Lo scapolo Kierkegaard pretendeva di essere un esperto di due temi sconfinati – l’amore e Dio – su cui è impossibile avere certezze e, di conseguenza, sarebbe meglio tacere.

Soren Kierkegaard sosteneva che tutti intuiscono cosa sia l’amore, e tuttavia non riescono a parlarne direttamente. O con chiarezza. Appartiene alla categoria dell’ignoto, e un linguaggio semplice è inadeguato all’oscurità del soggetto.

Il turbamento di stare soli è questa voce interiore che ti dice che dovresti accompagnarti a qualcuno, che la solitudine è un errore.

Gli uomini, piccola, sono completamente pazzi. Ciò che ti serve è uno la cui follia sia grande abbastanza, e generosa e paziente a sufficienza, da includerti.

A poco a poco mi abituai a lui come ci si abitua a una poltrona. Accettavo, con riserva, la gentilezza e il calore che mi offriva, anche se pensavo fossero un p’ prevedibili, nel modo in cui una cosa comoda e familiare piò esserlo, e questo era il punto.

Fare l’amore con lui era come infilarsi dentro un autolavaggio, tranne che dall’altra parte ne uscivi più sporco e più vivo.

“Perché tu mi ami?” Le chiesi, sempre in un sussurro, un po’ intimorito da come avrebbe potuto rispondere. Non avevamo mai affrontato l’argomento fino a quel momento.
“Non lo so,” disse.
“Non lo sai?”
“Sei una persona migliore di me.”
“Mi ami per questo?”
“Bradley, non credo che le persone dovrebbero parlare di queste cose.”
“Perché no?”
“Alcune cose non dovrebbero essere espresse a parole.”

Ogni giorno questa scena familiare […] mi si presentava come un fatto compiuto, una realtà constatata. In verità, ci sono solo due realtà: quella della gente innamorata o che si ama e quella di tutti gli altri che ne stanno fuori.

Ero sollevata che non mi avesse aggredita sulla porta. Anche se non avrebbe potuto farmi alcun male, perché quella settimana ero completamente innamorata, ero immortale.

Se sei intelligente, la felicità la tieni per te stesso.

Ancora adesso non so che cosa esattamente amasse in me, e non lo so perché non devo saperlo. Basta che lo sappia lei.

Non sempre puoi ottenere ciò che vuoi, ma a volte ottieni ciò che ti serve.

 Charles Baxter

venerdì 10 aprile 2015

Tell me if you wanna go home

Maybe
You don't have to smile so sad
Laugh when you're feeling bad
I promise I won't

Chase you
You don't have to dance so blue
You don't have to say I do
When baby you don't

Just tell me
The one thing you never told me
Then let go of me
Hell just throw me

Maybe if you wanna go home
Tell me if I'm back on my own
Giving back a heart that's on loan
Just tell me if you wanna go home

Oh maybe
You don't have to kill so kind
Pretend to ease my mind
When baby you won't

Oh sugar
You don't have to be so sweet
I know who you're going to meet
Don't say that I don't

So maybe
I won't let your memory haunt me
I'll be sleepwalking
With the lonely

If you're taking me home
Tell me if I'm back on my own
Giving back a heart that's on loan
Just tell me if you wanna go home

Tell me if you wanna go home
Cause I'm just not sure
Tell me if I'm back on my own
How to get back there
Giving back a heart that's on loan
And I just can't bear
Tell me if you wanna go home
If you're not there

Ooh ooh ooh ooh
Baby

If you're taking me home
Tell me if I'm back on my own
Giving back a heart that's on loan
Tell me if you wanna go
Wanna go, wanna go, wanna go, wanna

Cause I'm just not sure
How to get back there
And I just can't bear
If you're not there

Tell me if you wanna go home
Cause I'm just not sure
Tell me if I'm back on my own
How to get back there
Giving back a heart that's on loan
And I just can't bear
Just tell me if you wanna go home
Wanna go, wanna go, wanna go, wanna

Wanna go, wanna
Wanna go, wanna

Performed by Keira Knightley

mercoledì 8 aprile 2015

Per strada

Sulle strade dell'Italia ci sono una miriade di macchine in moto ma soprattutto in coda. Ci sono targhe che molto spesso non sono alterne, ma si diversificano per numero e per provenienza. Ci sono marmitte che a volte non sono catalittiche ma che sputano fumo come piccole ciminiere installate appena sotto le auto. Tutte quante in fila, una dietro l'altra, a passare il tempo a riparo dal tempo, dalle precipitazioni atmosferiche e dai nubifragi, con colori sgargianti e differenti: è un arcobaleno di sfumature senza soluzione di continuità. è un miscuglio scomposto che si alterna in un quadro astratto di un pittore ubriaco e fatto, una natura morta dentro la quale ci nascondiamo noi, che guidiamo e ascoltiamo radio come se quelle voci provenienti dagli altoparlanti delle nostre macchine siano proprio accanto a noi, come se queste stessero parlando a noi, come se noi fossimo con loro, come se noi non fossimo in realtà soli. C'è un'assenza di compagnia, una solitudine ovattata dal suono familiare di una voce che definiamo amica ma che in realtà non conosciamo affatto. Neppure riusciamo ad associare una faccia alla voce, e quando magari ci proviamo, andando a prendere il cellulare e cercando su internet la foto di chi sta parlando, rischiamo di provocare incidenti mortali che per assurdo andrebbero a impinzare le notizie dei telegiornali trasmessi ogni ora e che stiamo ascoltando e che in un gioco ripetitivo all'ennesima potenza ha dato il via a tutto questo gioco e ci ha spinti a prendere il cellulare e a cercare e a provocare l'incidente. Cerchiamo un affetto umano che quando viaggiamo da soli ci manca e manca dalla partenza fino all'arrivo, quando finalmente arriviamo al casello e dobbiamo scegliere, per chi non si è modernizzato con il telepass, se andare a una cassa automatica e ascoltare un'altra voce registrata, guida con prudenza, oppure andare da una persona e dirle con un tono che alla lunga diventa ripetitivo: buongiorno/buonasera, può farmi la ricevuta?

martedì 7 aprile 2015