Esattamente un anno fa io ero seduto su questa stessa sedia, mentre te eri seduta davanti a me, all'altro lato del tavolo. La stanza non è cambiata, ha sempre gli stessi arredi, nonostante questo la vedo in modo diverso. L'anno scorso mi sembrava più grande. Il tavolo per esempio lo ricordo di una lunghezza infinita, lo spazio che ci separava così immenso da non sapere come fare ad attirare la tua attenzione. Io provavo a parlare ma tu non mi ascoltavi, forse perché non mi sentivi, tanto eravamo distanti. Adesso invece il tavolo sembra essere un semplice tavolo, di legno, come potrebbero essercene tanti altri. Ha una grandezza normale e non è niente di così incredibilmente assoluto: è un tavolo, punto. La stanza ha riacquistato le sue reali dimensioni. Non è più così sconfinata come mi ricordavo. Sarà dato dal fatto che nel frattempo, nell'arco di dodici mesi, abbiamo utilizzato più stanze, di diversa grandezza, passando da quelle più piccole dentro le quali stavamo stretti davvero in due ed era difficile trovare lo spazio per sedersi senza sfiorarci le ginocchia, a quelle più grandi dove la gente veniva a disturbarci perché era manifesta la nostra incapacità di occuparle per intero.
È stato un valzer che ci ha visto passare da una sala all'altra, danzando sui tavoli e sui pavimenti, guardando le televisioni e le riunioni degli altri, origliando discussioni su argomenti che non ci interessavano minimamente. Ci sentivamo delle spie industriali ingaggiate da qualche grande multinazionale. Dovevamo rubare quante più informazioni possibili e rivenderle al nostro cliente principale, quello che ci pagava più profumatamente per colmare il gap che si era venuto a creare tra lui e il suo concorrente. Noi eravamo delle pedine che facevano il doppio gioco. Dovevamo apparire affidabili abbastanza da risultare innocui, quando invece, sotto sotto, prendevamo appunti e ci garantivamo una ricompensa adeguata al rischio che correvamo.
È stata tutta quanta una fantasia, una splendida fantasia per passare le giornate. Anche quando non riuscivamo a toccarci, quando io cercavo di attirare la tua attenzione e tu invece non riuscivi ad ascoltarmi. Dicevi che parlavo troppo piano. E che la stanza era grande, che la mia voce si perdeva nello spazio. È buffo che tutto sia iniziato qui e che, quasi per caso, sia sempre qui che finisca.
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