"Stai rovinando tutto." Lo dici quasi arrabbiata, guardandomi dura, decisa.
Non ho nemmeno il coraggio di risponderti, di prenderti in considerazione. Sorseggio schivo il mio caffè, guardandolo di tanto in tanto oscillare nella tazzina, come se fosse il distillato della vita eterna, una pozione magica per vederti passare e non perdere il mio tempo. Ma alla fine tu non ti muovi, resti ferma. Il brusio di sottofondo passa, la gente intorno a noi si muove lasciando scie fosforescenti e abbaglianti, fino a quando non rimaniamo altro che io e te, soli e chiusi nell'intimità di un attimo.
Allora dò la colpa alle labbra, che attraversano il classico periodo di fisicità finta, tesa in plastica. Mi dico che sono i miei capelli, che non hanno sopportato l'ennesimo viaggio nel tempo, che ne sono usciti sciupati, sottili, sfibrati. Non dovevo arrivare dove sono arrivato, ai tempi dei mecenati, della rovina dei tempi. Avrei dovuto fermarmi con i gitani, accamparmi dove capitava e lasciarmi trascinare in passioni dai capelli lunghi, barba incolta e pelle scura o sporca. Invece mi sono lasciato trasportare e convincere e trascinare e comprare, e forse ora hai davvero ragione tu: sto solo rovinando tutto, e se non tutto almeno un piccolo pezzo di quel niente che ero riuscito a costruire dopo tanto.
Quando alzo la testa mi accorgo con meraviglia che hai la faccia fuori fuoco, appannata. Tutto ad un tratto non so più con chi stia parlando. Sei tu, sempre tu, ma allo stesso tempo sei Marco, sei Sofia, sei Alessio, Franco, Francesco, Chiara. I tuoi profili si confondono, si perdono insieme ai tuoi contorni.
Mentre mi alzo, lasciando dietro di me la tua espressione vaga, sfibrata dal mio vagabondare nelle elucubrazioni, mi rendo conto che devo inventarmi una malattia; o una scatola a forma di cuore, dove poter custodire gelosamente tutti questi sintomi dislessici.
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