lunedì 31 agosto 2009
Ripartiamo
Quando tutto ebbe inizio forse non me ne rendevo proprio bene conto, neppure io che invece avrei dovuto averne una, almeno, di idea, visto che ero io quello che lo faceva, che iniziava con il colpo, se così si può definire. Molto probabilmente ero solo troppo giovane, come dicevo allora, o troppo bimbo, come mi sembra più giusto dire ora, e in tempi del genere le azioni si svolgono come un naturale susseguirsi, senza voltarsi indietro per vedere cosa sia successo e senza mai, mai dico, mai e poi mai, guardare o sbirciare in avanti per cercare di capire cosa possa succedere ancor prima di mettere in modo gli eventi. Il risultato di azioni svolte così, a caso, nella libertà estrema e candida e illimitata della fanciullezza, quando ancora non si è preso a guardare il mondo ma si ha la stupida ossessione, che negli anni si trasfoma in speranza e poi, alla fine, si estingue del tutto, che sia il mondo a guardare noi: no, il contrario; le azioni di questo tipo, genere, e forma, hanno contorni solo immaginati, non proprio tracciati con la mente o con la mano tremante. Fatto sta, che in quel giorno di cui non ricordo proprio niente, se non che aspettai brillando dentro come dinamite che tutti quanti fossero usciti dalla stanza, per poi iniziare a correre e camminare sulle pareti dei muri coperti da quella carta da parati invecchiata all'improvviso, quel giorni iniziò come per gioco un qualcosa che in realtà mi intrappola e mi fa passare giorni mesi anni e stagioni: si è ritorto contro, ora lo so, forse ho fatto qualcosa che non va, qualcosa che ha turbato e schifato chi mi guarda e chi mi ha buttato in campo per decidere cosa diavolo fosse il divertimento. Si, il divertimento, perché è questo che in fondo rincorro anche ora, ora che invece zoppico, quando vorrei correre ed invece non riesco a camminare. Il divertimento, stasera, per ancora.
venerdì 28 agosto 2009
Alice what's the matter
Something about you really puts me down,
You're the life of the party you're the toast of the town,
Something about you really picks me up,
Like a hot cup of coffee in a hot coffee cup.
Feels like a Saturday, free and easy going,
Reminded its a Sunday, to stop the flow from flowing,
You can see clearly now the rain has gone,
But it looks like someone's gone and dropped the bomb.
Alice what's the matter, Alice what's the matter
Alice what's the matter, Alice what's the matter
Something about her she reminds me of you,
Something about him he could be me too,
Something about them something about the other,
Something I've got to tell you about my dad and your mother.
Feels like a Saturday, free and easy going,
Reminded its a Sunday, to stop the flow from flowing,
You can see clearly now the rain has gone,
But it looks like someone's gone and dropped the bomb.
Alice what's the matter, Alice what's the matter
Alice what's the matter, Alice what's the matter
Alice what's the matter, Alice what's the matter
Alice what's the matter, Alice what's the matter
Something about black, something about white,
Something about wrong, something about right,
Something about us, something about them,
Something about Bill, definitely something about Ben,
Something about you, something about me,
Something about A, B, C, D and E,
Something about hell, something about heaven,
Something about 4, 5, 6 and 7,
Alice what's the matter,
Alice what's the matter,
Alice what's the matter,
Alice what's the matter...
You're the life of the party you're the toast of the town,
Something about you really picks me up,
Like a hot cup of coffee in a hot coffee cup.
Feels like a Saturday, free and easy going,
Reminded its a Sunday, to stop the flow from flowing,
You can see clearly now the rain has gone,
But it looks like someone's gone and dropped the bomb.
Alice what's the matter, Alice what's the matter
Alice what's the matter, Alice what's the matter
Something about her she reminds me of you,
Something about him he could be me too,
Something about them something about the other,
Something I've got to tell you about my dad and your mother.
Feels like a Saturday, free and easy going,
Reminded its a Sunday, to stop the flow from flowing,
You can see clearly now the rain has gone,
But it looks like someone's gone and dropped the bomb.
Alice what's the matter, Alice what's the matter
Alice what's the matter, Alice what's the matter
Alice what's the matter, Alice what's the matter
Alice what's the matter, Alice what's the matter
Something about black, something about white,
Something about wrong, something about right,
Something about us, something about them,
Something about Bill, definitely something about Ben,
Something about you, something about me,
Something about A, B, C, D and E,
Something about hell, something about heaven,
Something about 4, 5, 6 and 7,
Alice what's the matter,
Alice what's the matter,
Alice what's the matter,
Alice what's the matter...
Performed by Terrorvision
mercoledì 26 agosto 2009
La scopa del sistema
Lenore ride con quella stramba risata di solidarietà che viene quando intorno a te ridono tutti quanti e ridono talmente tanto da far venire da ridere pure te.
Biff, basso e ampio, occhi color jeans slavato, spenti e acquosi per il troppo party, barbina biondiccia che gli germoglia sul mento facendolo somigliare un po' a un'ascella.
Le sue labbra sono carnose e rosse e tendono al rorido e più che chiedere pare pretendano, in quel loro broncio di seta liquida, d'esser baciate. Io le bacio spesso, lo ammetto, inutile negarlo, ne sono un baciatore, e un bacio con Lenore è, se mi è concesso indugiare un po' su questo tema, non tanto un bacio quanto una dislocazione, è una rimozione e poi brusca assunzione di essenza dall'io alle labbra, sicché è non tanto il contatto di due corpi umani per fare le solite cose a colpi di labbra quanto due insiemi di labbra in reciproca cova e in comunione di specie sin dagli albori dell'era post-Scarsdale, forti di condizione ontologica autonoma sancita dalla suddetta comunione, che trascinano dietro e sotto di sé, mentre si uniscono e diventano una cosa sola, due ormai completamente superflui corpi terreni appesi al bacio come spossati gambi di fiori sursbocciati ovvero come mute ormai inservibili. Un bacio con Lenore è una sequenza in cui io pattino con scarpe imburrata sull'umida pista del suo labbro inferiore, protetto dalla intemperie grazie all'aggetto madido e tiepido di quello superiore, per infine riparare tra labbro e gengiva e rimboccarmi il labbro sin sul naso come un bimbo la coperta e da lì scrutare con occhi lustri e ostili il mondo esterno a Lenore, del quale non voglio più far parte.
Tutti noi in fondo subivamo e accettavamo un'esistenza della quale molti aspetti sfuggivano al nostro controllo. Faceva parte del vivere in un mondo pieno di altre persone con altri interessi.
E Lenore Beadsman lentamente sollevòla mano destra e le fece risalire il mio collo, dove mi avviluppò mascella e guancia in un esitante torpore, le lunghe dita dalle unghie rosicchiate tenendomi fermo contro la sua gola, incoraggianti, la sua testa adesso china a farmi sentire sulle labbra l'esile rombo di un'arteria. Io vissi, propriamente e per la prima volta da anni e anni, in quell'istante.
Mi manca chiunque. Ricordo quando ero giovane e avvertivo una sensazione e la identificavo come nostalgia di casa, e poi pensavo che era proprio strano, visto che a casa ci vivevo.
In lei Andy vede la possibilità di cambiare il passato. E' da una vita che Andy cerca di cambiare quello che non si può cambiare. E' un illuso. E ricordati che le mdaglie hanno sempre due facce.
Poi Lang disse: - Tu vai pazza per le parole, vero? - Guardò Lenore. - Vero che vai pazza per le parole?
- Cioè? Che significa?
- Significa che mi dai l'idea di una che va pazza per le parole. O forse pensi che siano loro a essere pazze.
- In che senso?
Lang guardò nel tavolino di vetro, poi si toccò distrattamente il labbro superiore, con un dito. - Nel senso che le prendi terribilmente sul serio, - disse. - Tipo come se fossero un bisturi, o una motosega che rischia di tagliarti con la stessa facilità con cui taglia gli alberi. In questo senso.
quella è la marca di tramonto quando il sole fa diventare le nuvole tutte arrabbiate.
David Foster Wallace
martedì 25 agosto 2009
Di luoghi, persone, e corse
Quando la sera cala gli alberi diventano scuri, l'aria sa di musica, e lo spiazzo aperto tra l'aggrovigliarsi di radici e verde si riempie di niente. Dobbiamo aspettare la notte, per cacciare i ginghiali. Nell'oscurità loro scenderanno a valle, sviscerando la libertà di cui godono, nella preda che corre lontano o nel trotterellare placido di una famiglia animale. Poco oltre, dove la gente rumoreggia vaghi vagiti di freschi sorrisi, la luce dei lampioni illumina di giallo/arancione l'erba bruciata dal sole.
Sai da cosa ho capito che non sei venuta? La ragazza sdraiata sulla panchina, sotto il tetto intrecciato di rami e foglie stagionate, vestita di nero con la pelle delle spalle nuda su del nero sorretto da sottili strisce di tessuto; seno divergente sui lati a biaciare le costole con un lieve sfiorare dettato dalle dimensioni delicate; le gambe nascoste dall'ombra fin poco sotto il ginocchio, leccate dal vento sugli stinchi e nei polpacci appoggiati al legno. Se quella ragazza, che vedevo tremolante nella spinta prima di una gamba e poi di un'altra, fossi stata tu allora avresti avuto i piedi scoperti, senza scarpe né calze, e non ti vedo come persona che tiene i piedi nudi in posti pubblici.
Così ho preso tutto quanto, le mie storie, la mia voce nella testa, lasciando la terra sulle scarpe, camminando lento per riprendere fiato nel tragitto di riposo. E quando bevo l'acqua sa di sudore, sulle mani chiuse a coppa, sui capelli che spinti dal vento seguono obliqui il getto della fontana e mi finiscono a ciocche sottili in bocca. Poco prima di attraversare la strada, salire in macchina, e andare via.
Sai da cosa ho capito che non sei venuta? La ragazza sdraiata sulla panchina, sotto il tetto intrecciato di rami e foglie stagionate, vestita di nero con la pelle delle spalle nuda su del nero sorretto da sottili strisce di tessuto; seno divergente sui lati a biaciare le costole con un lieve sfiorare dettato dalle dimensioni delicate; le gambe nascoste dall'ombra fin poco sotto il ginocchio, leccate dal vento sugli stinchi e nei polpacci appoggiati al legno. Se quella ragazza, che vedevo tremolante nella spinta prima di una gamba e poi di un'altra, fossi stata tu allora avresti avuto i piedi scoperti, senza scarpe né calze, e non ti vedo come persona che tiene i piedi nudi in posti pubblici.
Così ho preso tutto quanto, le mie storie, la mia voce nella testa, lasciando la terra sulle scarpe, camminando lento per riprendere fiato nel tragitto di riposo. E quando bevo l'acqua sa di sudore, sulle mani chiuse a coppa, sui capelli che spinti dal vento seguono obliqui il getto della fontana e mi finiscono a ciocche sottili in bocca. Poco prima di attraversare la strada, salire in macchina, e andare via.
lunedì 24 agosto 2009
Di un pomeriggio. Quel pomeriggio
Perché me lo chiedi?
Perché sono curioso, dico, e perché stiamo sconfinando. Se non fosse per i tralicci dell'alta tensione, i tubi dell'acqua che accompagnano la strada, la strada appunto d'asfalto, e le altre macchine che ci vengono contro nell'altro senso di marcia, direi quasi che ci siamo persi in una zona dove una antica civiltà ha deciso di abbandonare le proprie rovine.
Non ci siamo persi.
Vedi quel dirupo là, indico con il braccio teso fuori dal finestrino, dove quella grande roccia grigia esce fuori dalla vegetazione? Il verde delle erbe cresciute una sopra l'altra, l'irregolarità di come quell'enorme sasso strappa il tappeto che lo copre, e quelle piccole escrescenze di altre rocce poco sotto, galleggianti a metà dirupo: sembrano goccie di sangue che sgorgano da una ferita.
Non ti sto più seguendo. Ti ho perso.
E' come se stessimo visitando un luogo antico, di cui è stata persa ogni memoria. Magari un tempo qui i nostri antenati venivano a cacciare, oppure questo era un posto di preghiera e quello che si intravede tra gli alberi sono i resti di una specie di chiesa, o di un tempio. Potremmo parcheggiare qui, scendere dalla macchina e arrampicarci. Sarebbe bello, perdersi nel bosco e lasciare che il giorno si chiuda su di noi, come una scatola che poi ci porta al buio.
E la diga chiusa ad impedire ai nostri pensieri, la nostra fantasia, di straripare a valle. E l'aria fresca a fischiarci nelle orecchie. E l'acqua bassa che lasciava vedere le sponde bagnate più volte nascoste. E i pesci che nuotavano sinuosi nel verde, mentre si mimetizzavano tra i sassi del fondale. E noi appoggiati al parapetto di quel ponte come fosse stato il ponte di una nave, a contare i pesci che vedevamo. E io che non riuscivo mai a distinguere un po' di fango da un lavandino rotto, porcellana persa, bianca, sporca. E l'acqua negli zaini calda come il negativo di quella gelida che strusciava nei ruscelli.
Un giorno torneremo qui, ci sdraieremo più lontano possibile dalla civiltà, tra i boschi, in mezzo agli alberi, sulle foglie cadute e i rami spezzati; ci stenderemo su un telo, spogli dei vestiti, nudi nella bellezza del tuo corpo nudo: ci sdraieremo vicini, stringendoci il più possibile, sfiorando l'unità e poi superando l'unità. Annodaremo mani braccia gambe corpo e anima.
Perché sono curioso, dico, e perché stiamo sconfinando. Se non fosse per i tralicci dell'alta tensione, i tubi dell'acqua che accompagnano la strada, la strada appunto d'asfalto, e le altre macchine che ci vengono contro nell'altro senso di marcia, direi quasi che ci siamo persi in una zona dove una antica civiltà ha deciso di abbandonare le proprie rovine.
Non ci siamo persi.
Vedi quel dirupo là, indico con il braccio teso fuori dal finestrino, dove quella grande roccia grigia esce fuori dalla vegetazione? Il verde delle erbe cresciute una sopra l'altra, l'irregolarità di come quell'enorme sasso strappa il tappeto che lo copre, e quelle piccole escrescenze di altre rocce poco sotto, galleggianti a metà dirupo: sembrano goccie di sangue che sgorgano da una ferita.
Non ti sto più seguendo. Ti ho perso.
E' come se stessimo visitando un luogo antico, di cui è stata persa ogni memoria. Magari un tempo qui i nostri antenati venivano a cacciare, oppure questo era un posto di preghiera e quello che si intravede tra gli alberi sono i resti di una specie di chiesa, o di un tempio. Potremmo parcheggiare qui, scendere dalla macchina e arrampicarci. Sarebbe bello, perdersi nel bosco e lasciare che il giorno si chiuda su di noi, come una scatola che poi ci porta al buio.
E la diga chiusa ad impedire ai nostri pensieri, la nostra fantasia, di straripare a valle. E l'aria fresca a fischiarci nelle orecchie. E l'acqua bassa che lasciava vedere le sponde bagnate più volte nascoste. E i pesci che nuotavano sinuosi nel verde, mentre si mimetizzavano tra i sassi del fondale. E noi appoggiati al parapetto di quel ponte come fosse stato il ponte di una nave, a contare i pesci che vedevamo. E io che non riuscivo mai a distinguere un po' di fango da un lavandino rotto, porcellana persa, bianca, sporca. E l'acqua negli zaini calda come il negativo di quella gelida che strusciava nei ruscelli.
Un giorno torneremo qui, ci sdraieremo più lontano possibile dalla civiltà, tra i boschi, in mezzo agli alberi, sulle foglie cadute e i rami spezzati; ci stenderemo su un telo, spogli dei vestiti, nudi nella bellezza del tuo corpo nudo: ci sdraieremo vicini, stringendoci il più possibile, sfiorando l'unità e poi superando l'unità. Annodaremo mani braccia gambe corpo e anima.
giovedì 20 agosto 2009
La differenza tra te e il tuo dipinto disegnato con le parole
Preferiva i libri alla vita vera, e questo, lo so, era un gran bell'handicap per una persona che voleva farsi amare. Gli mancava lo slancio, quel gesto genuino che agli altri permetteva di fare il primo passo su un filo teso tra due grattacieli, alti quasi a grattare via le nuvole, e il vuoto sotto fino ai grigi e minuscoli marciapiedi, senza rete di protezione ad evitarne una possibile caduta. Nell'incessante sfogliar pagina sapeva che alla fine di tutti i personaggi incontrati tra le battute d'inchiostro ne avrebbe capito alla perfezione fisionomina, intenti, personalità ed anima; la stessa cosa non poteva dire di tutta quella gente che uscendo di casa, andando a fare la spesa al supermercato, o anche semplicemente andando a correre al parco, con nelle orecchie gli auricolari per ascoltare la musica; tutte queste persone non avrebbero mai avuto dei contorni netti e distini come le loro possibili copie su carta: le persone vere, mi disse un giorno, non hanno contorni, è questo il problema. Per quanto possa sforzarmi di capirle, anche di conoscerle, di uscirci insieme, bere birra, fumarci delle sigarette e scambiare semplici chiacchiere sul tempo o discutere della maccanica quantistica, non potrò mai e mai e mai conoscerle del tutto. Mi capisci? Un giorno potrebbero in qualsiasi caso fare una qualsiasi cosa che non mi aspetterei mai da loro: un tipo mite e pacato potrebbe magari trovare il coraggio di buttarsi con il paracadute, oppure una nota puttana decidere di farsi suora. E questo mi spiazzerebbe del tutto, annullerebbe qualsiasi punto di riferimento abbia potuto tracciarmi attorno. Mi disorienterbbe, capisci? Le persone, quelle vere, non si finiscono mai di conoscere, per questo non hanno contorni, sono nubi che possono sempre espandersi, espandersi all'infinito. I protagonisti di un libro, invece, sono più affidabili, perché il loro carattere è racchiuso tra la prima e la quarta di copertina: quando chiudi il libro sai di conoscerli completamente, e non avranno modo di spiazzarti.
O di deluderti.
O di deluderti.
mercoledì 19 agosto 2009
martedì 18 agosto 2009
Two Lovers
Le persone guardano le foto, non c'è bisogno che ci stiano anche dentro.
L'ultima prima della presunta caduta in follia rapper di Joaquin Phoenix. Lontano dal Johnny Cash di Walk the Line qui alle prese con un personaggio confuso, distrutto, a pezzi, a tratti arreso. Con lui ci sono Gwyneth Paltrow, bionda favolosa senza trucco, Vinessa Shaw, castana e sobria innamorata, e la nostra Isabella Rossellini, algida, distaccata ma premurosa. L'amore si intreccia tra i personaggi, facendo perno su quello di Phoenix, in un giro giro tondo da capogiro. La doppia vita, che tende a preferire quella più incasinata e complicata.
A tratti offre immagini e scorci di inquadrature fantastiche, ma il tutto subisce un po' il fattore tempo: se fosse durato di più, se i minuti mancanti avessero magari approfondito maggiormente il rapporto tra Phoenix e Paltrow, il film, la storia, gli spettatori, tutto quanto, sarebbe stato quel che invece lascia un po' di amaro in bocca.
Giudizio: Tv
- Cinema ==> Da vedere assolutamente, correre al cinema
- Dvd ==> Da vedere, ma si può aspettare il noleggio
- Tv ==> Niente di esaltante, se proprio si deve vedere aspettare il passaggio in tv
- Passeggiata ==> Perdibilissimo. Andate pure a fare una passeggiata.. anche sotto la pioggia
lunedì 17 agosto 2009
Scacco ai pesci
Immaginavo: pesci rossi gialli verdi, colore del mare, nuotare in un acquario ampio e pieno d'acqua. Con il corallo finto avevo costruito un intricato sistema cardiovascolare, se ne stava in un angolo con le movenze del David di Michelangelo. La sera, al buio della stanza, accendevo la luce dell'acquario: lo sfondo diventava di uno splendente turchese improvviso, si notavano le leggere venature delle onde interne, mentre i pesci spostavano le pinne per farsi spazio. Rimanevo a guardare questo spettacolo, al buio, nelle sere d'estate, nelle sere d'inverno. I miei genitori, gli insegnanti, gli amici, i commessi del supermercato, i portieri degli alberghi, le cameriere e i camerieri, i cassieri del cinema, i casellanti all'autostrade, i benzinai, i lavavetri ai semafori, i macellai, i pescivendoli, i vivaisti, i commercianti del mercato, i tabaccai, le segreterie telefoniche, le carte dei tarocchi, i maghi e le streghe [...] mi dicevano: non esistono più le mezze stagioni. Ed io invece mi sedevo a guardare i pesci anche nelle notti d'autunno, o di primavera. E' una questione di foglie, dicevo loro, di movimento, su e giù, alto basso. Così il nuoto ondulato nei pesci in orrizontale, e la caduta delle foglie attraverso l'acquario in verticale formavano un reticolato spontaneo e non preciso, sul quale potevo disegnare i nostri movimenti, come una specie di partita a scacchi. Perché in fondo è questo che è sempre stato il nostro rapporto: una partita a scacchi.
venerdì 14 agosto 2009
Inní Mér Syngur Vitleysingur
Á silfur-á
Lýsir allan heiminn og augun blá
Skera stjörnuhiminn
Ég óska mér og loka nú augunum
Já, gerðu það, nú rætist það
Ó nei
Á stjörnuhraða
Inni í hjarta springur, flugvélarbrak
Ofaní jörðu syngur
Ég óska mér og loka nú augunum
Já, gerðu það, lágfara dans
Allt gleymist í smásmá stund og rætist það
Opna augun
Ó nei
Minn besti vinur hverju sem dynur
Ég kyngi tári og anda hári
Illum látum, í faðmi grátum
Þegar að við hittumst
Þegar að við kyssumst
Varirnar brenndu, höldumst í hendur
Ég sé þig vakinn
Ég sé þig nakinn
Inní mér syngur vitleysingur
Alltaf þið vaða, við hlaupum hraðar
Allt verður smærra
Ég öskra hærra
Er er við aða, í burtu fara
Minn besti vinur hverju sem dynur
Illum látum, í faðmi grátum
Ég kyngi tári og anda hári
Þegar að við hittumst
Þegar að við kyssumst
Varirnar brenndu, höldumst í hendur
Ég sé þig vakinn
Ég sé þig nakinn
Inní mér syngur vitleysingur
Lýsir allan heiminn og augun blá
Skera stjörnuhiminn
Ég óska mér og loka nú augunum
Já, gerðu það, nú rætist það
Ó nei
Á stjörnuhraða
Inni í hjarta springur, flugvélarbrak
Ofaní jörðu syngur
Ég óska mér og loka nú augunum
Já, gerðu það, lágfara dans
Allt gleymist í smásmá stund og rætist það
Opna augun
Ó nei
Minn besti vinur hverju sem dynur
Ég kyngi tári og anda hári
Illum látum, í faðmi grátum
Þegar að við hittumst
Þegar að við kyssumst
Varirnar brenndu, höldumst í hendur
Ég sé þig vakinn
Ég sé þig nakinn
Inní mér syngur vitleysingur
Alltaf þið vaða, við hlaupum hraðar
Allt verður smærra
Ég öskra hærra
Er er við aða, í burtu fara
Minn besti vinur hverju sem dynur
Illum látum, í faðmi grátum
Ég kyngi tári og anda hári
Þegar að við hittumst
Þegar að við kyssumst
Varirnar brenndu, höldumst í hendur
Ég sé þig vakinn
Ég sé þig nakinn
Inní mér syngur vitleysingur
Performed by Sigur Ros
giovedì 13 agosto 2009
Immobilità
Strani rumori nelle sere d'estate, mentre io sono a pulire il bagno. La televisione è accesa, trasmette un qualche notiziario. Si sente la voce del giornalista: impassibile, mono tono con solo qualche picco di vitalità, brevi acuti lanciati a raggiungere livelli di personalità che non si vogliono mostrare. Parola d'ordine: distacco. Con la stessa emozione annuncia il tempo, disastri aerei, incontri politici e scandali televisivi e non. Nel frattempo le bottiglie scoppiano nel frigo, esplodono una dopo l'altra ad intervalli irregolari, impossibili da prevedere. Suoni secchi, decisi, della durata di soli pochi secondi. Poi torna il sereno. Sono brevi acquazzoni estevi, temporali destinati a durare neppure per un ricordo.
"Non sono le bottiglie che esplodono - dici tu. - E' tutto il frigo che si sta assestando. Sono scosse di assestamento."
E' un terremoto, gelido e rinfrescante, dico io; ma non è quello. Non si tratta di quel tipo di scosse di assestamento. Sono bensì le varie placche tettoniche che cercano di incastrarsi nel miglior modo possibile nel nuovo scacchiere di terra e mare. E' questo che provoca il rumore: una lingua di terra che si sovrappone all'altra, che tenta di sovrastrarla; oppure il nascere di una montagna, il corrugarsi verso l'alto di rocce che agognano la neve.
Getto lo strofinaccio sul lavandino ormai splendente. Apro la finestra quel tanto da far entrare l'aria in bagno - aerare il locale prima di soggirnare - e non far sbatterne il metallo nero con il limite bianco delle piastrelle. Vado in cucina e apro il frigorifero. La luce si accende illuminando la vita al suo interno e un alito fresco di aria rifrigerata mi si abbatte sul petto. Carne, verdure, bottiglie di acqua, the, birra, yogurt, uova, maionese, burro; si stanno impercettibilmente muovendo per cercare di trovare il loro posto migliore tra i vari ripiani.
Mi volto per guardarmi alle spalle, tenendo il frigorifero aperto. Dalla finestra si vede uno scorcio di notte che tenta con tanta determinatezza di nascere su un tramonto arancione ormai sbiadito all'orizzonte. Fa caldo, e i palazzi, le case, i lampioni, le macchine parcheggiate ai bordi delle strade, e pure le strade, con i marciapiedi e i bidoni dell'immondizia, le campane blu per la raccolta differenziata di vetro e plastica: tutto sembra così stramaledettamente immobile.
Il frigo comincia a suonare brevi bip dall'immagine rossa, per evitare di rimanere aperto; la luce si accende e si spegne a ritmo cadenzato, in una danza ben eseguita: mano sinistra intrecciata, mano destra sul fianco. Il giornalista conclude la giornata, raggruppa alcuni fogli e li ordina mettendoli in verticale: da la buona sera. Io chiudo il frigo, e l'alito fresco e leggero che mi arrivava al petto cessa immediatamente di accarezzarmi.
"Non sono le bottiglie che esplodono - dici tu. - E' tutto il frigo che si sta assestando. Sono scosse di assestamento."
E' un terremoto, gelido e rinfrescante, dico io; ma non è quello. Non si tratta di quel tipo di scosse di assestamento. Sono bensì le varie placche tettoniche che cercano di incastrarsi nel miglior modo possibile nel nuovo scacchiere di terra e mare. E' questo che provoca il rumore: una lingua di terra che si sovrappone all'altra, che tenta di sovrastrarla; oppure il nascere di una montagna, il corrugarsi verso l'alto di rocce che agognano la neve.
Getto lo strofinaccio sul lavandino ormai splendente. Apro la finestra quel tanto da far entrare l'aria in bagno - aerare il locale prima di soggirnare - e non far sbatterne il metallo nero con il limite bianco delle piastrelle. Vado in cucina e apro il frigorifero. La luce si accende illuminando la vita al suo interno e un alito fresco di aria rifrigerata mi si abbatte sul petto. Carne, verdure, bottiglie di acqua, the, birra, yogurt, uova, maionese, burro; si stanno impercettibilmente muovendo per cercare di trovare il loro posto migliore tra i vari ripiani.
Mi volto per guardarmi alle spalle, tenendo il frigorifero aperto. Dalla finestra si vede uno scorcio di notte che tenta con tanta determinatezza di nascere su un tramonto arancione ormai sbiadito all'orizzonte. Fa caldo, e i palazzi, le case, i lampioni, le macchine parcheggiate ai bordi delle strade, e pure le strade, con i marciapiedi e i bidoni dell'immondizia, le campane blu per la raccolta differenziata di vetro e plastica: tutto sembra così stramaledettamente immobile.
Il frigo comincia a suonare brevi bip dall'immagine rossa, per evitare di rimanere aperto; la luce si accende e si spegne a ritmo cadenzato, in una danza ben eseguita: mano sinistra intrecciata, mano destra sul fianco. Il giornalista conclude la giornata, raggruppa alcuni fogli e li ordina mettendoli in verticale: da la buona sera. Io chiudo il frigo, e l'alito fresco e leggero che mi arrivava al petto cessa immediatamente di accarezzarmi.
mercoledì 12 agosto 2009
martedì 11 agosto 2009
I superstiti all'esodo
Passiamo l'estate a farci pungere dalla vespe, a bruciarne il nido e a guardarle ricostruirlo. Guadagnare pochi centesimi ad ogni nuovo bruciore, scendendo le scale di corsa: come quando ci sparavano nella giungla e noi scappavamo; correvamo a caso, in direzioni che non conoscevamo, dove il nord non era nord, il sud, l'est, l'ovest dei miei pensieri; saltavamo rami caduti, pozze d'acqua, fango, erba, fino a perdere il fiato e non ritrovarlo più. Scavavamo buche enormi dove seppellire la nostra speranza, nascondendola da un cielo terso capace di improvvisi rovesci. Ma faceva caldo, un caldo insopportabile, fatto di sole continuo, affanni nel respirare, forni nascosti accesi a microonde dove cuocevamo lentamente lasciando evaporare l'acqua; e io sudavo, sudavo da far schifo. Sudavo così tanto da bagnare le lenzuola, in un bagno senza rubinetti, al buio delle tapparelle chiuse, per non far entrare la luce, restavo nel nero come due occhi bianchi che si nascondevano e si aprivano a ritmo regolare dietro e davanti le palpebre leggere; sentivo la fronte impregnarsi appiccicando i capelli, fili scoperti, sempre più fini, proprio all'attaccatura, mostrando la testa.
Nel frattempo i giorni passavano, lenti ma regolari. All'orizzonte solo la stessa linea celeste di sempre, che nelle ore più serene si tratteggiava di bianco schiumoso. Il futuro sarebbe diventato il presente, ma il passato: quello avremmo fatto meglio a dimenticarlo.
Nel frattempo i giorni passavano, lenti ma regolari. All'orizzonte solo la stessa linea celeste di sempre, che nelle ore più serene si tratteggiava di bianco schiumoso. Il futuro sarebbe diventato il presente, ma il passato: quello avremmo fatto meglio a dimenticarlo.
venerdì 7 agosto 2009
Piece Of My Heart
Didn't I make you feel
Like you were the only man
Yeah I did not give you nearly everything that a woman possibly can
honey you know I did
Each time I tell myself that I well I think I've had enough
What I'm gonna show you baby is that a woman can be tough
I want you to come on, come on, come on, come on
And take it
Take another little piece of my heart now baby
Break it
Break another little bit of my heart now darlin' yeah
Have a
Have another little piece of my heart now baby
You know you got it if it makes you feel good, oh yes it did
You're out on the streets lookin' good
And baby deep down in your heart
I guess you know that it ain't right
Never never never never never never Hear me when I cry, cry, cry, cry
Baby I cry all the time
Each time I tell myself that I well I can't stand the pain
But when you hold me in your arms I'm singing once again
I want you to come on, come on, come on, come on
And take it
Take another little piece of my heart now baby
Break it
Break another little bit of my heart now darlin' yeah
Have a
Have another little piece of my heart now baby
You know you got it if it makes you feel good, oh yes it did
I want you to come on, come on, come on, come on
And take it
Take another little piece of my heart now baby
Break it
Break another little bit of my heart now darlin' yeah
Have a
Have another little piece of my heart now baby
You know you got it if it makes you feel good, oh yes it did
I want you to come on, come on, come on, come on
And take it
Take another little piece of my heart now baby
Break it
Break another little bit of my heart now darlin' yeah
Have a
Have another little piece of my heart now baby
You know you got it if it makes you feel good, oh yes it did
Like you were the only man
Yeah I did not give you nearly everything that a woman possibly can
honey you know I did
Each time I tell myself that I well I think I've had enough
What I'm gonna show you baby is that a woman can be tough
I want you to come on, come on, come on, come on
And take it
Take another little piece of my heart now baby
Break it
Break another little bit of my heart now darlin' yeah
Have a
Have another little piece of my heart now baby
You know you got it if it makes you feel good, oh yes it did
You're out on the streets lookin' good
And baby deep down in your heart
I guess you know that it ain't right
Never never never never never never Hear me when I cry, cry, cry, cry
Baby I cry all the time
Each time I tell myself that I well I can't stand the pain
But when you hold me in your arms I'm singing once again
I want you to come on, come on, come on, come on
And take it
Take another little piece of my heart now baby
Break it
Break another little bit of my heart now darlin' yeah
Have a
Have another little piece of my heart now baby
You know you got it if it makes you feel good, oh yes it did
I want you to come on, come on, come on, come on
And take it
Take another little piece of my heart now baby
Break it
Break another little bit of my heart now darlin' yeah
Have a
Have another little piece of my heart now baby
You know you got it if it makes you feel good, oh yes it did
I want you to come on, come on, come on, come on
And take it
Take another little piece of my heart now baby
Break it
Break another little bit of my heart now darlin' yeah
Have a
Have another little piece of my heart now baby
You know you got it if it makes you feel good, oh yes it did
Performed by Big Brother & the Holding Company
giovedì 6 agosto 2009
Gli interessi in comune
Tutto diventa una ghirlanda spaziotemporale brillante ed eternamente ripiegantesi.
se tutti prendessero atto della vera quantità di droghe in giro, del fatto che si fuma tanta erba quanto si beve birra e vino, che ogni notte a Milano, Firenze e Roma bengono sniffati quintali di cocaini da gente di tutti i tipi, per nulla emarginata, che i pochi al mondo che ancora fanno ricerca spirituale la fanno violando la legge, con funghi allucinogeni e acido lisergico, magari oggi vivremmo in una società razionalmente antiproibizionista, con una mafia molto meno ricca, una gioventù molto meno dedita alle sostanze, e di certo servizi sociali, psicologi e SERT infinitamente più efficenti.
"Non c'è più poesia," fa, con la mente alle nottate passate nello stesso posto anni prima, e gli altri annuiscono.
Non è vero, pensa però il Malpa. Di poesia ora ce n'è anche di più, riflette, se hai ancora gli occhi per vederla. Ce n'è tanta, in questa fettina temporanea di caos: solo che noi non la sappiamo più trovare.
chiedendosi sostanzialmente se il sogno non sia esso stesso percezione, e quindi essendo la realtà nient'altro che percezione, se i sogni non siano a modo loro, e in chiave del tutto personale, veri.
"Be', ma io non li vedo i tuoi sogni. Se sono veri solo per te, sono falsi."
Vanni Santoni
mercoledì 5 agosto 2009
Azzeriamo la mente. Ripartiamo di nuovo.
Tornare a casa con la porta chiusa, la chiave sotto lo zerbino che non c'è. Dentro ogni posto è a posto tutto in ordine niente disordine solo polvere capelli morti e odore di chiuso. Sul piano della cucina, nel mezzo di tutto, il cuore di tutto, terminazioni nervose ma soprattutto vene che partono e arrivano: il cesto delle cose da fare è pieno zeppo, con fogli che rovinano fuori cadendo per terra; mentre i cestini della raccolta differenziata cominciano a riempirsi: pensieri buoni, pensieri cattivi; pensieri. Come carta stracciata e strappata dai giornali, appallottolata e buttata alla rinfusa, formano una montagna e quella montagna deve essere scalata, piccozza e zaino in spalla, sudore della fronte, fino a vette innevate, fredde, gelide. Ci iberneremo in questo modo, ci congeleremo per aspettare un futuro migliore, quando le malattie non avranno più segreti e verranno chiamate con un altro nome, meno infettivo, meno invasivo. Niente a che fare con il clima continentale, l'aria della metropolitana, il sole bello alto che percorre le sale. E tra i pensieri che vanno, quelli si, tra i ricordi da incorniciare, regalare con carta colorata, tirandoli fuori da sotto il tappeto, che non c'è; oppure tenere nascosti come gioielli, in camere di sicurezza con laser puntati a ragnatela in tutta la stanza, cassaforte con scatola cranica, scatola toracica, scatola a forma di cuore: le nostre cene senza istruzioni.
martedì 4 agosto 2009
Luglio 2009
"La malattia è il dottore a cui si dà più ascolto: alla gentilezza ed alla saggezza noi facciamo soltanto delle promesse; al dolore, noi obbediamo."
Marcel Proust
Iscriviti a:
Post (Atom)