lunedì 17 agosto 2009
Scacco ai pesci
Immaginavo: pesci rossi gialli verdi, colore del mare, nuotare in un acquario ampio e pieno d'acqua. Con il corallo finto avevo costruito un intricato sistema cardiovascolare, se ne stava in un angolo con le movenze del David di Michelangelo. La sera, al buio della stanza, accendevo la luce dell'acquario: lo sfondo diventava di uno splendente turchese improvviso, si notavano le leggere venature delle onde interne, mentre i pesci spostavano le pinne per farsi spazio. Rimanevo a guardare questo spettacolo, al buio, nelle sere d'estate, nelle sere d'inverno. I miei genitori, gli insegnanti, gli amici, i commessi del supermercato, i portieri degli alberghi, le cameriere e i camerieri, i cassieri del cinema, i casellanti all'autostrade, i benzinai, i lavavetri ai semafori, i macellai, i pescivendoli, i vivaisti, i commercianti del mercato, i tabaccai, le segreterie telefoniche, le carte dei tarocchi, i maghi e le streghe [...] mi dicevano: non esistono più le mezze stagioni. Ed io invece mi sedevo a guardare i pesci anche nelle notti d'autunno, o di primavera. E' una questione di foglie, dicevo loro, di movimento, su e giù, alto basso. Così il nuoto ondulato nei pesci in orrizontale, e la caduta delle foglie attraverso l'acquario in verticale formavano un reticolato spontaneo e non preciso, sul quale potevo disegnare i nostri movimenti, come una specie di partita a scacchi. Perché in fondo è questo che è sempre stato il nostro rapporto: una partita a scacchi.
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