se fossi brava con l’elettronica, se la tensione non fosse soltanto un qualcosa che mi toglie l’appetito e la corrente non avesse la forma dell’acqua del fiume, se sapessi dove vanno a finire i numeri quando non ho più dita per contarli e potessi spiegare com’è che i giorni passano e comunque ripassano sempre per le sette del mattino, allora costruirei una sveglia a condizione climatica, che suoni soltanto quando fuori c’è il sole e neanche una nuvola, che mi lasci dormire nei giorni che stanno tra il grigio malinconico del cielo e quello un po’ più triste dell’asfalto, che non si prenda il disturbo di ricordarmi che ho tutta un vita da riempire nel tempo che passa che tra l’oggi e il tuo o il suo o il chissà di chi ritorno, che non s’azzardi a farmi notare che ho tutta una vita che assomiglia ogni giorno di più a un passatempo, un modo come un altro per ingannare i mesi a venire — ancora non ho capito se sto andando loro incontro —, col cuore sempre esposto sul banco delle occasioni e il guinzaglio ogni volta di un poco più corto, e non mettere le dita nella presa, non mettere le mani nel fuoco, non mettere le braccia in grovigli di corpi umani in cui potresti rimanere incastrata.
se fossi brava con le parole, se condizionali fossero solo i tempi verbali e non i miei sogni, e il futuro tornasse una buona volta a essere semplice, se avessi capito in che ordine vadano messe le voci del vocabolario per riuscire a descrivere almeno metà dei miei sentimenti, allora forse smetterei di pensare che la bellezza che dici di vedermi addosso finisce non appena comincio a raccontarmi, allora forse riuscirei a farmi più bella ancora — un’ottima coppia di pessimi bugiardi —, anche vestita, anche spogliata e invecchiata e ingrassata di quel peso che vedo io sola quando giro gli occhi indietro, anche con le gambe che non dimostrano più vent’anni e questi miei occhi sempre più speranzosi e arresi, e le dita meticolose e neanche troppo dispiaciute che staccano i desideri dalle puntine sul muro e li ripongono dentro al cassetto delle stelle che non sono cadute, col cuore sempre aperto come un libro di avventure, e tu e lui e chissà chi altri ancora, appeso all’ultima pagina a chiedere, per favore, non fermarti, non ancora.
non svegliarti, ché il cielo s’è fatto liquido e forse son già le sette e comunque non è ancora ora.
Scritto da la ragazza dai capelli strani
An Invisible Sign of My Own
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