mercoledì 29 giugno 2011

In campagna

Il corpo di lui era sdraiato di lato, rivolto a occhi chiusi verso la parete e non invece verso di lei come avveniva invece durante le prime notti della loro relazione, quando si attorcigliavano con gambe braccia dita, tutte intorno a se stessi, dopo avere fatto sesso o anche dopo non averlo fatto, o avere letto alcune pagine di libri posati poi sul comodino in modo disordinato. Tutto questo quando avevano una camera e un letto sul quale dormire, ben diverso dal periodo durante il quale di nascosto si andavano a perdere nelle strade sperdute di montagna, al limitare dei boschi, dove parcheggiavano tra gli alberi e gli aghi di pino dei sempreverde, e si spogliavano dei vestiti buttandosi sul sedile posteriore della macchina di lui - un'utilitaria piuttosto piccola e per questo scomoda per farci quello che ci dovevano fare - tutti rannicchiati dietro, con lui sotto che doveva piegare le gambe per riuscire a non sbattere i piedi sui finestrini chiusi, e lei che china in avanti, poco sopra di lui, cercava di togliersi il maglione nel modo meno impacciato possibile, nel tentativo di non sciupare quel minimo di atmosfera che poteva essersi creata in una macchina spenta parcheggiata tra gli alberi, finendo poi con lo scoppiare di risate genuine, di entrambi, mentre lei restava con addosso il reggiseno nero e lanciava la maglia appena sfilata sul sedile del passeggero, insieme alla sua borsa, e si chinava su di lui per accarezzarlo, ridere in sbuffi non trattenuti e cercare di smorzare le risate con dei baci poco profondi ma nonostante questo più o meno teneri.
Quando si appartavano d'inverno i loro respiri si condensavano in vapori fluttuanti appena fuori le loro bocche. Per scherzo a volte si respiravano addosso, come il bue e l'asinello nel presepe, per cercare di riscaldarsi quando appena dopo non avevano voglia di rivestirsi subito, e il vedere o anche solo toccare i propri corpi nudi era un piacere molto simile a quello sessuale appena spremuto. Si rannicchiavano sotto un plaid arancione che lui teneva nel portabagagli e che prima di iniziare si era preso la briga di recuperare, andandolo a posare sul proprio sedile, davanti allo sterzo; oppure a volte lei se lo avvolgeva sulle spalle, giocando a fare l'indiana quando ancora si trovava sopra di lui, e si muoveva o si lasciava muovere dai movimenti del bacino di lui, fino a perdersi del tutto senza rendersi più conto di chi muovesse cosa e di cosa chi, la vista confusa, il plaid che ormai non serviva più perché le pareva di bruciare da dentro, prendere fuoco appena sotto la pelle, al di là del freddo oggettivo che poteva imperare all'interno di quella macchina, erano scaldati dai movimenti, dalle scosse elettriche che scintillavano rispettivamente nel bacino di lui e nel bacino di lei, per propagarsi in passioni lungo tutto il loro corpo, facendo dimenticare l'oggettività della situazione, ovvero la temperatura esterna di una notte che poteva essere di novembre o di dicembre, e immergerli di nuovo solo una volta spentasi anche l'ultima fiammella di quel fuoco dentro la fredda realtà, scaraventadoli tra i battiti di denti ad accucciarsi sotto quel plaid recuperato velocemente, incastrandosi sotto di esso nel tentativo di entrarci entrambi, più o meno bene o comodi, o sdraiati sui sedili, tutti e due di lato per occupare meno posto, le gambe legate forse più strette di quanto non lo fossero brevi attimi prima, le braccia abbracciate sotto la testa, con lui che giocava a districarsi le dita dalla complessa ragnatela dei capelli spettinati di lei, privati dalla furia di qualsiasi ordine preesistente; oppure sempre lui che con la punta dell'indice le lisciava una porzione di coscia laterale, tra la sporgenza dell'anca e il centro esatto della coscia stessa, uscita fuori dalla copertura del plaid. Lei rideva, dapprima, per poi mordersi un poco le labbra nel trattenere dei fremiti quando lui iniziava a fare passare l'unghia leggera sempre più lentamente in slalom tra i bordoni che iniziavano a confonderle la pelle, non tanto per il freddo quanto piuttosto per il contatto di lui e per la conoscenza sempre da parte sua di quanto quello strofinarsi quasi impercettibile la eccitasse in modo frenetico e inerme, come se lei fosse legata a una sedia o su di un letto a imitare la posizione dell'uomo vitruviano e non potesse muoversi o fare alcunché mentre dentro provava quella sensazione di sospensione di stare in bilico sull'orlo di un vulcano sempre un attimo prima di una violenta eruzione in zampilli di lava mista a cenere e zolfo che però non scoppiava mai.
Non aveva mai rimpianto quel periodo per la comodità o per il freddo o il caldo. D'estate si spremevano via tutte le forze fino a grondare di sudore. Non importava quanto potessero tenere i finestrini aperti. Anche di sera o di notte l'aria era appesantita dall'afa insopportabile che pareva aggrapparsi a ogni singola molecola di ossigeno per trascinarla verso il basso. D'estate prima di prendere la via per tornare in città o in paese o in qualsiasi altro posto più civilizzato, uscivano di macchina e ancora nudi si lasciavano baciare dalla breve brezza, se c'era, o dalla luce della luna, le stelle, sentendo le gocce di sudore che imperlavano i loro corpi ghiacciarsi in un soddisfacente riverbero di freschezza, sulle tempie, lungo la schiena, tra le natiche arrossate dal loro continuo afferrarsi.
Si abbracciavano e si baciavano, ancora con trasporto, prima di rivestirsi e andarsene via. Non era quella clandestinità che rimpiangeva, no, quanto piuttosto la passione. Non sapeva per quale motivo ma quando si trovava a dovere fare una somma della sua vita sessuale con suo marito si trovava sempre a dovere fare il conto con un risultato negativo, dove quel periodo primitivo era l’unico picco presente.

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