I colpi di tosse erano diventati sempre più frequenti. Gli salivano da un punto ben preciso della gola, in fondo, portando fuori tutto il marcio accumulato dentro. Rendevano il sapore del suo alito di un vago marcio scadente, con un certo intimo ribrezzo lo poteva gustare tutto. Non sapeva se gli altri, chi gli stava davanti magari parlandogli o ascoltandolo, potessero sentire quello stesso sapore di malattia rappresa che lui invece percepiva in bocca a ogni colpo di tosse. Doveva stare attento, si era detto, agli eventuali movimenti impercettibili del naso di chi gli stava davanti. Era sicuro si potesse vedere, se con attenzione ci si faceva caso, quando una persona si costringeva a non annusare l'aria attorno a sé. Più delle varie smorfie facciali, il ripugno nello sguardo, gli occhi nauseati, pensava fossero proprio le narici a potergli dare un'indicazione effettiva di quanto sdegno provassero le persone davanti a lui quando magari gli scappava un colpo di tosse profondo, uno di quelli capaci di estrargli dalla gola uno di quei respiri putridi già respirati e ingoiati.
Gli ultimi giorni i colpi di tosse erano pure più violenti. Veloci. Non gli davano neppure il tempo di portarsi una mano alla bocca. Non riusciva a pararsi. Gli straziavano il discorso, interrompendolo in un punto qualsiasi, non all'inizio, non alla fine, né in un punto preciso, magari quello più importante. Non gli offrivano una pausa a effetto. Non regalavano al momento un qualche segno di pathos o importanza. Gli tranciavano le parole a metà, a tre quarti, dopo avere pronunciato appena due lettere, una sillaba. Non sapeva quando lo avrebbero colto, non poteva prevederli. Lo coglievano del tutto impreparato, senza difese, neppure, appunto, una mano davanti alla bocca. Finiva per sputare tutta la saliva raccolta dentro la bocca, per quanto improvvisi questi fossero. Non riusciva a trattenersi perché gli capitava anche quando stava parlando, o quando stava pensando di iniziare a parlare. Le parole venivano tagliate non proprio di netto e quello che sputava ne rappresentava il sangue, non rosso ma in piccoli bollicine umide. Una parte della parola che stava pronunciando finiva la sua corsa dentro l'orecchio di chi lo ascoltava, mentre un'altra gli ripiombava in fondo ai polmoni per poi generare il colpo di tosse. Gli sputi erano lo strappo, quella parte di parola che non era riuscita a uscire dalla bocca ma che al tempo stesso era ormai troppo in alto per poterla riportare dentro i polmoni. Non era maleducazione o mancanza di riflessi. Il movimento della mano era anche veloce, nel correre rapido a coprirsi la bocca, ma i colpi di tosse erano talmente repentini che finivano prima ancora di potersi accorgere che stavano cominciando.
Lo interrompevano di continuo, i colpi di tosse. Non gli permettevano più di fare niente. Parlare era fuori discussione. Con il passare del tempo erano peggiorati e le parole non poteva altro che scriverle, inzuppando il foglio tanto di inchiostro quanto di saliva. Non poteva scendere dal letto, fare attività fisica, i colpi di tosse gli occupavano tutto lo spazio motorio che poteva controllare. Gli rubavano il fiato, rendendoglielo corto. Non poteva dare ossigeno ai muscoli perché tutto l'ossigeno era impegnato per alimentare i colpi di tosse stessi. Tossiva e tossiva solo per poter tossire ancora e ancora di più, sempre più spesso. Era diventato ripetitivo, noioso per alcuni. Fino a quando nell'indifferenza generale non diede un colpo di tosse speciale, intriso di un significato particolare, segreto, privato.
Nessuno se ne accorse.
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