Cambiati. Quanto diversi siamo diventati da quando ci sdraiavamo sul letto ancora disfatto, disegnando con lo sguardo cerchi colorati sul soffitto della camera, mentre fuori pioveva. Quei giorni durante i quali ci perdevamo spesso, senza fare niente, e per ritrovarci impiegavamo ore, giornate intere a frugare tra i rifiuti e i pensieri. Notti insonni dimenticate tra cuscini stropicciati, bisbigli sussurrati a orecchie delicate, mentre fuori la pioggia cadeva violenta per strada, il passo deciso del brutto tempo. E tu inventavi scuse per convincermi a restare, a non lasciarti. Dicevi di non sentirti al sicuro, di pensare a qualcosa di non normale. Non andare via, dicevi, soffro il sonno senza di te. La porta non si chiudeva, io a tre quarti sulla soglia. Il cigolio di un ripensamento. Abbracci serrati, stretti, mentre fuori pioveva. L'auto parcheggiata lontano, il passo svelto per non bagnarsi. Vestiti fradici, occhi lucidi.
Se mi guardo ora allo specchietto retrovisore mi accorgo di quanto sia opaco il mio sguardo. Ho macchie sulle guance. Il tempo si è aggrappato agli zigomi cercando di tirarli giù il più possibile. Le sopracciglia strappate con foga. La bocca secca. Quanta aria condizionata per condizionare i sentimenti, con psicologia serrata.
Tu dove sei in tutto questo? In quale parte del mio corpo ti sei nascosta a dormire? I ricordi sono tutti nelle dita. La punta comincia quasi a essere insensibile, ne perdo il controllo. Il tatto, non è più tuo. Il tocco, dicevi tu.
Le unghie: non mangiartele, tagliatele. E la lima che passavi per smussarne le unghie. Quante volte hai provato a passarla anche su di noi. Spesso le metafore servono a spiegare le storie, ma le storie non si aggiustano nello stesso modo delle metafore. Metafore e giorni sono cose diverse, inutile tentare di vestire le une con gli altri, o viceversa.
Il divano ci ascoltava mentre da parti distanti sorseggiavamo vino in bicchieri del tutto inadeguati. Fuori pioveva, il tempo passava. Le lancette degli orologi che non avevamo ai polsi ticchettavano veloci tanto da sembrare volare. I piccioni tubavano appena sotto la tettoia dell'edificio, riparati dal vento, dalla pioggia. Le rondini ogni anno tardavano sempre di più ad arrivare, con i bambini sui marciapiedi con la testa rivolta verso l'altro a guardarne i nidi vuoti, grappoli di rifiuti.
Quanta fatica a buttarmi fuori ogni sera, ricordi? Quando nessuno dei due aveva voglia di uscire al freddo. Televisione spenta, occhi di cemento. Settimane su settimane a girarsi attorno discorsi che dovevano apparire per forza innocui. Sentivamo le spine scendere dentro la carne, perché quello che volevamo dire non lo dicevamo ma ci cresceva lo stesso dentro. Un patto mai fatto, tra due persone che non hanno mai creduto nei patti.
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