Il trauma della guerra durante la quale si è imparato a
distinguere il tempo scomponendolo in lunghi giorni su spiagge assolate. Tornare
a una vita fatta di quotidianità che non riesci più a capire: la vedi, passa
davanti a te ma non riesci ad afferrarla. Anneghi tutto nell’alcool, quello
stesso alcool che durante la guerra hai imparato a miscelare con una precisione
distruttiva, rottamando ciò che distrugge davvero. Bevi, bevi, bevi e bevi
ancora, non riuscendo mai a mantenere uno straccio di lavoro, mentre ti scopi
una ragazza dietro l’altra per dimenticarne una sola precisa. Quando finisci
dentro una storia, non ti rendi neppure conto di come diavolo tu ci sia finito,
ma ormai è tardi: ti ci trovi impelagato e tutte le parole ti si appiccicano
addosso senza riuscire a scrollartele di dosso. Chi ti parla, chi ti insegna e
ha la presunzione di farlo, inventa le sue parole su parole su parole e viaggia
in lungo e in largo basando la sua vita su una missione, su un preciso ordine
di idee: l’opera di una vita, sotterrata in un deserto di altri pensieri. Sono parole
che non valgono neppure la carta sulla quale si potrebbero stampare. Si stampano
e poi si cambiano dopo averle dette, non tanto per lealtà intellettuale quanto
piuttosto per attirare meglio. Non c’è scopo, non c’è una meta che rimane
fissa. L’obbiettivo è attrarre quante più persone, riuscire a vivere andando
più veloce possibile. Fissa un punto, e vacci a velocità supersonica. Quando ci
arrivi scopri che l’orizzonte si è allontanato ancora di più, e allora vai
oltre, vai oltre quel punto, ti spingi ancora più in là, per arrivare ancora
una volta dove prima l’orizzonte si perdeva e da dove ora è già fuggito. Quando
arrivi là, laddove la vita ti ha portato, scopri che ormai è tardi e non puoi
più tornare indietro. Questo è quello che ti porta a capire la verità, e a
buttartela alle spalle, perché niente è vero. Non tutte le parole che hai
sentito e i metri che hai percorso avanti e indietro in una stanza.
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