giovedì 31 dicembre 2009
Se premi esce pus biondo
La carne timida, quell'aria che risorge verso sera incenerendo ancora una fenice ormai gravida. Fuoco e lembi, di pensieri strascicati lungo l'asfalto consumato di strade secondarie, viali di circonvallazione mai utilizzati, deserti nell'ultima notte dell'anno. Ci ritroviamo catapultati in Vietnam, tra i palazzi ancora in piedi, stanze vuote che danno sull'esterno, finestre di ombre scure che non lasciano vedere all'interno ma danno spazio abbastanza da sparare, prendere la mira, premere il grilletto, ricaricare. Ci lasciamo prendere, ferire, precipitare dentro burroni immaginari, mentre camminiamo veloci e lenti con i bicchieri da brindisi ancora stretti in mano, mentre strusciamo mansueti in fusa mute le spalle contro i muri, per avere almeno un lato coperto e preoccuparci di guardare solo avanti, per schivare pugni cazzotti e proiettili. Ci lanciano contro bombe e brutali offese, grida pianti strascichi di vestiti non di borse. E le puttane per le strade sono quelle che ci accompagnano, lo dico solo ora e l'ho detto non lo ripeto: altro che gli anni ottanta dai quali siamo scappati ancora bambini e in cui non vogliamo ritornare con dei maglioni di lana di renne che ci guardano con occhi felici di giorni invece in cui non volevamo far altro che vomitare, al ricordo, le amicizie disperse e perse e bruciate in parole non dette spiegazioni mai chieste: non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te, questo è il primo comandamento, perciò, cristo santo di una zazzera nera di cuspidi con base sui fianchi culi troppo larghi, pensa prima di parlare o gridare accusare puntare il dito: dico, fuoco! Nel silenzio ci si perde troppo spesso e il bosco scuro delle parole non dette per evitare pericoli, i tuoi, presupposti con mente non ancora certificata da voti universitari sonnacchiosi sugli studi rimandati in pianure antartiche; quegli animali che si nascondano sotto gli alberi di questa foresta e dietro i cespugli di bacche sterili funghi velenosi, quelli sono i pericoli più appuntiti degli aculei della tua stupida vendetta sanguinosa.
mercoledì 30 dicembre 2009
Magic Kingdom
(Perché Liam era grazioso, se non addirittura bello, ed è vissuto - ed è morto, per Dio - sotto l'orribile spada di Damocle di circostanze che lui non poteva controllare, le sue possibilità erano una scommessa sul cavallo più debole, un azzardo, o la va o la spacca, una su un milione.)
a Bale tornò in mente un pensiero che aveva già fatto altre volte: la gente, anche quella più noiosa, quando è in gruppo, spesso assume atteggiamenti eccentrici. Ci aveva fatto caso a scuola, aveva avuto modo di osservarlo durante il servizio militare, e in ufficio quando aveva ancora un lavoro stabile. E' come se le leggi del comportamento civile, che non solo governano, ma praticamente controllano la condotta umana nei rapporti a tu per tu, perdessero ogni validità quando si è fra più persone, come se l'equilibriomentale fosse solo una forma di timidezza affinata dall'abitudine e ciò che la gente è, ciò che è realmente, la sua vera natura, selvaggia e policroma come le piume degli uccelli tropicali, potesse affiorare in tutto il suo splendore solo in gruppo, dando modo alle esuberanze e ai folli eccessi, alle azioni matte e strampalate di crescere e moltiplicarsi in infinite schiere di stramberie.
"Non ti rendi conto di quanto sia tipico il tuo atteggiamento? Elizabeth Kubler-Ross c'insegna che la gente nella tua condizione attraversa una serie di fasi: il rifiuto della realtà, la rabbia, la negoziazione e l'accettazione. E tu sei rimasto bloccato al primo stadio. Come credi di riuscire ad affrontare questa cosa?" "Ma se non l'affronto", disse Noah Cloth, "allora non muoio, vero?"
Charles Mudd-Gaddis, il vecchietto, sogna sempre il suo primo compleanno. Sogna la torta e sogna le candeline, sogna i palloncini e sogna le stelle filanti; sogna i giocattoli, sogna gli applausi. Sogna di avere tre anni, il bambino, che a quel punto sarebbe un uomo di venti, ventun anni. Poi sogna la bambina, di sei anni, una donna ai suoi occhi. E ora lui ha cinque anni e va per i quaranta. Ah, avere di nuovo trentaquattro anni!, sogna. E sogna di avere sette anni e di essere sopraffatto dalla confusione, quella bianca afasia del cuore e della testa. E con una chiarezza spaventosa sogna il presente e non riesce a ricordare quanti anni ha davvero.
nel pieno fulgore della sua lucidità, con la testa limpida come il cristallo, vede tutte le sottili, brillanti sfaccettature dei rapporti causa ed effetto
Dato che ciò che ti rimane impresso, pensò Eddy Bale, quello che ti si attacca alle costole e caccia fuori tutto il resto, come quando la canzone che stiamo ascoltando caccia via tutte le altre canzoni o il sapore di quello che stiamo mangiando caccia via tutti gli altri sapori, non è né il piacere né la sofferenza, ma solo la grave rivelanza delle cose.
Un ombrello di fuochi d'artificio si aprì sul Regno Magico
Stanley Elkin
martedì 29 dicembre 2009
Buon...
Quando ti auguro il biongiorno aspetto grondante umidità dalle pareti una tua risposta positiva/negativa, incrociando le dita che il sole abbia deciso di alzare il volume e posizionare il jack sull'uscita funzionante, le pile cariche orientate nel modo corretto: più sul più e meno gettato via nel cassonetto del recupero.
Mi dico che forse dipende anche in modo infinitesimale da quale cd scelgo la mattina, dalla musica che ascolto in macchina, dal modo in cui prendo i tornanti in salita in discesa con accordi più serrati e fuori tono, da come cantano i miei cantanti registrati, i complessi tutti sciolti o ancora insieme, chi invecchia bene chi invecchia male, chi muore prima di invecchiare. Mi dico: non fare il cretino, non essere sciocco senza sale in zucca, non metterti al centro, riordina le idee, i concetti, bene o male, non è questo certo l'ago della bilancia, l'ago della siringa, l'ago con cui bucare, la vena da ferire. Ci sono cose, c'è la nebbia, c'è il buio della sera che ora arriva presto, e mi domandi in uno di questi nostri giorni quando potremo mai rivedere un bell'arcobaleno, come quelli che vedemmo incrociarsi nel cielo qualche tempo fa. Ricordi?
Allora forse tutto sta nel fatto che mi limito al giorno, al mattino, che è solo una parte di ventiquattro, diviso per sessanta, poi ancora per sessanta, e poi ancora e ancora diviso per renderlo sempre più minuscolo e atomico, motore di ogni micrommillesimo di secondo; dovrei augurare un buon istante, uno dopo l'altro, guardare di fartelo arrivare questo buon e no farlo perdere nell'etere, mandare un buon con ricevuta di ritorno, un buon per pacco celere, posta prioritaria. Ti dovrei cucire, si, una coperta d'amianto che luccica al buio con i pezzi più disparati di mattino pomeriggio sera e notte, tanta tantissima notte. Una coperta si, ma davvero una buona coperta per un buon giorno, serio, al caldo per questo inverno che fa le bizze, con la neve e con il sole, i fiumi e i torrenti in piena: una coperta sotto la quale potersi riposare e ripararsi e nascondersi, anche se poi non so di preciso da cosa.
Mi dico che forse dipende anche in modo infinitesimale da quale cd scelgo la mattina, dalla musica che ascolto in macchina, dal modo in cui prendo i tornanti in salita in discesa con accordi più serrati e fuori tono, da come cantano i miei cantanti registrati, i complessi tutti sciolti o ancora insieme, chi invecchia bene chi invecchia male, chi muore prima di invecchiare. Mi dico: non fare il cretino, non essere sciocco senza sale in zucca, non metterti al centro, riordina le idee, i concetti, bene o male, non è questo certo l'ago della bilancia, l'ago della siringa, l'ago con cui bucare, la vena da ferire. Ci sono cose, c'è la nebbia, c'è il buio della sera che ora arriva presto, e mi domandi in uno di questi nostri giorni quando potremo mai rivedere un bell'arcobaleno, come quelli che vedemmo incrociarsi nel cielo qualche tempo fa. Ricordi?
Allora forse tutto sta nel fatto che mi limito al giorno, al mattino, che è solo una parte di ventiquattro, diviso per sessanta, poi ancora per sessanta, e poi ancora e ancora diviso per renderlo sempre più minuscolo e atomico, motore di ogni micrommillesimo di secondo; dovrei augurare un buon istante, uno dopo l'altro, guardare di fartelo arrivare questo buon e no farlo perdere nell'etere, mandare un buon con ricevuta di ritorno, un buon per pacco celere, posta prioritaria. Ti dovrei cucire, si, una coperta d'amianto che luccica al buio con i pezzi più disparati di mattino pomeriggio sera e notte, tanta tantissima notte. Una coperta si, ma davvero una buona coperta per un buon giorno, serio, al caldo per questo inverno che fa le bizze, con la neve e con il sole, i fiumi e i torrenti in piena: una coperta sotto la quale potersi riposare e ripararsi e nascondersi, anche se poi non so di preciso da cosa.
lunedì 28 dicembre 2009
Saremo mai al sicuro?
si cade nei precipizi burroni crepe nel suolo dove non vi passa luce. si perde quel che si rischia di perdere e riacciuffato per i capelli lo si trascina al riposo al sicuro in un posto caldo dove potersi di nuovo stendere.
"Ma saremo mai al sicuro?"
non potremo mai guardarci le spalle con la stessa serenità che avevamo un tempo, quando ancora non pensavamo che tutto questo potesse succedere. non scorderemo la paura della prima mattina, o della sera inoltrata, quando gli occhi si sono fatti di ghiaccio e quasi ci cadevano le pupille, solidificate tutto ad un tratto dal terrore. mi sono sbucciato le palpebre nel cadere contro l'asfalto ruvido, così tanto da consumarle del tutto.
"Qual'è il contrario di essere ciechi? Quando si vede sempre anche non volendo."
ho promesso a me stesso, tessendo una promessa così intricata da perdersi nell'ago del filo della trama del tessuto che facevo nascere sotto le mie scarpe e i miei piedi; ho promesso che non sarebbe più accaduto, che avrei scacciato l'eventualità futura con fuoco fiamme e gas, così tanto da bruciare qualsiasi cosa sul nascere; ma la verità è che ci perdiamo sempre troppo in chiacchiere, questo è il vero problema.
"Ti va di parlare?"
"Vuoi sfogarti?"
"Un caffè..."
"Una birra..."
ciò che oggi ricordiamo domani sarà passato e dimenticato. è solo questione di tempo, e poi non servirà più nessun fossato o muro o campo minato; non saranno più le difese che ereggeremo a difenderci da tutto, ma saranno le difese che non ereggeremo a dare il benvenuto alle nostre paure.
"Ma saremo mai al sicuro?"
non potremo mai guardarci le spalle con la stessa serenità che avevamo un tempo, quando ancora non pensavamo che tutto questo potesse succedere. non scorderemo la paura della prima mattina, o della sera inoltrata, quando gli occhi si sono fatti di ghiaccio e quasi ci cadevano le pupille, solidificate tutto ad un tratto dal terrore. mi sono sbucciato le palpebre nel cadere contro l'asfalto ruvido, così tanto da consumarle del tutto.
"Qual'è il contrario di essere ciechi? Quando si vede sempre anche non volendo."
ho promesso a me stesso, tessendo una promessa così intricata da perdersi nell'ago del filo della trama del tessuto che facevo nascere sotto le mie scarpe e i miei piedi; ho promesso che non sarebbe più accaduto, che avrei scacciato l'eventualità futura con fuoco fiamme e gas, così tanto da bruciare qualsiasi cosa sul nascere; ma la verità è che ci perdiamo sempre troppo in chiacchiere, questo è il vero problema.
"Ti va di parlare?"
"Vuoi sfogarti?"
"Un caffè..."
"Una birra..."
ciò che oggi ricordiamo domani sarà passato e dimenticato. è solo questione di tempo, e poi non servirà più nessun fossato o muro o campo minato; non saranno più le difese che ereggeremo a difenderci da tutto, ma saranno le difese che non ereggeremo a dare il benvenuto alle nostre paure.
venerdì 25 dicembre 2009
Let Me Sleep
cold wind blows on the soles of my feet
heaven knows nothing of me
i'm lost, nowhere to go
oh when i was a kid, oh how magic it seemed
oh please let me sleep, it's christmas time
flowered winds was where i lived
thought you burned, not froze for your sins
oh i'm so tired and cold
oh when i was a kid, oh how magic it seemed
oh please let me sleep, it's christmas time
oh when i was a kid, oh how magic it seemed
oh please let me sleep, it's christmas time
oh oh when i... if i was a kid, oh how magic it seemed
oh please let me dream, it's christmas time
heaven knows nothing of me
i'm lost, nowhere to go
oh when i was a kid, oh how magic it seemed
oh please let me sleep, it's christmas time
flowered winds was where i lived
thought you burned, not froze for your sins
oh i'm so tired and cold
oh when i was a kid, oh how magic it seemed
oh please let me sleep, it's christmas time
oh when i was a kid, oh how magic it seemed
oh please let me sleep, it's christmas time
oh oh when i... if i was a kid, oh how magic it seemed
oh please let me dream, it's christmas time
Performed by Pearl Jam
giovedì 24 dicembre 2009
Per chi vuole i regali arriveranno, chi non li vuole non li aspetti
oggi ho preso tutto - sentimenti affetti pensieri sorrisi-che-non-ho-potuto-sorridere-a-chi-volevo - e ho impacchettato ogni cosa in scatolte condite con fiocchi e carta colorata e palline luccichenti appese agli angoli. ho chiamato un furgone tnt e traco gli ho dato tutto il trasporto da trasportare alle persone scritte in calligrafia più arrotondata possibile. mi sono messo seduto sul tavolinetto basso del salotto ed ho scritto uno ad uno gli indirizzi, cercando di restare calmo, di rendermi leggibile il più possibile.
spero che i regali arrivino in tempo, nonostante la pioggia il vento o la neve da qualche parte. ho detto, quasi preoccupato quando ho consegnato tutti i pacchetti: se vuole metto il francobollo su di ognuno, metto un francobollo con l'immagine di un uccello, di un passerotto azzurro, un colibrì che porta sul becco un ramoscello di qualcosa, sbatte le ali e si tiene in volo; magari in questo modo arriva prima.
il corriere, un ragazzo con la barba fatta poco e un berretto con visiera, mi ha rassicurato mettendomi una mano sulla spalla: non c'è bisogno del francobollo, ha già fatto tutto quel che c'era da fare e da pagare.
ma io vorrei che queste cose arrivassero ai destinatari al massimo domani, possibilmente questa sera, in modo che possano mettere i pacchi sotto l'albero, che li possano tenere un po' lì a covare, a far crescere la curiosità, senza neppure guardare il bigliettino di chi glieli ha mandati; almeno in questo modo quando li apriranno e penseranno a me, a chi li ha spediti prima in lapponia e poi da loro, ed esploderanno in spero felicità abbastanza abbondante a seconda di quanto hanno aspettato ad aprirli.
non si preoccupi, mi ha detto il corriere, correrò il più possibile e il più veloce per arrivare quanto prima sotto l'albero di ognuno.
grazie, ho detto, grazie mille babbo natale.
spero che i regali arrivino in tempo, nonostante la pioggia il vento o la neve da qualche parte. ho detto, quasi preoccupato quando ho consegnato tutti i pacchetti: se vuole metto il francobollo su di ognuno, metto un francobollo con l'immagine di un uccello, di un passerotto azzurro, un colibrì che porta sul becco un ramoscello di qualcosa, sbatte le ali e si tiene in volo; magari in questo modo arriva prima.
il corriere, un ragazzo con la barba fatta poco e un berretto con visiera, mi ha rassicurato mettendomi una mano sulla spalla: non c'è bisogno del francobollo, ha già fatto tutto quel che c'era da fare e da pagare.
ma io vorrei che queste cose arrivassero ai destinatari al massimo domani, possibilmente questa sera, in modo che possano mettere i pacchi sotto l'albero, che li possano tenere un po' lì a covare, a far crescere la curiosità, senza neppure guardare il bigliettino di chi glieli ha mandati; almeno in questo modo quando li apriranno e penseranno a me, a chi li ha spediti prima in lapponia e poi da loro, ed esploderanno in spero felicità abbastanza abbondante a seconda di quanto hanno aspettato ad aprirli.
non si preoccupi, mi ha detto il corriere, correrò il più possibile e il più veloce per arrivare quanto prima sotto l'albero di ognuno.
grazie, ho detto, grazie mille babbo natale.
mercoledì 23 dicembre 2009
ogni anno era
ogni anno era un nuovo dottore, nuove lastre, nuove ipotesi, nuove cure. chi diceva che non avevo niente, chi invece che ero grave, altri gravissimo, altri invece non mi visitavano neppure. alcuni mi facevano stendere sul lettino, strappando via la carta su cui si erano sdraiati sopra chissà quanti altri pazineti prima di me, e poi mi guardavano, analizzavano la zona, mettendosi i guanti, la mascherina: non sapevano se potessi essere contagioso, meglio prendere tutte le precauzioni del caso. uno, dopo avermi tastato massaggiato controllato con i polpastrelli tutto il piede risalendo dalla caviglia lungo il tendine per fermarsi poi all'estremità opposta del polpaccio, quella sotto il ginocchio, si sedette dietro la sua scrivania e mi disse:
il problema è che lei ha un grifone incastrato nel tallone.
un grifone?
si un grifone. di solito fanno il nido sotto la pianta del piede e una volta che le uova si schiudono i piccoli prendono il volo e se ne vanno. nel suo caso però uno dei cuccioli è rimasto impigliato con la zampa in quella sottile membrana che attutisce lo sfregamento del tendine d'achille contro l'osso.
vede, disse sporgendosi verso di me e disegnando uno scarabocchio su un foglio bianco immacolato. all'inizio non capivo, seguivo i suoi tratti senza riuscire a vedere dove potessero portare; ma quello che ne uscì fuori alla fine fu un vero e proprio capolavoro di grifone ruspante, con tanto di dettagli sul beccho, le ali, la coda.
è normale che lei provi dolore: via via che cresce il piccolo ha bisogno di uno spazio sempre più grande, è un po' oppresso tra le pareti che lei gli riserva; perciò spinge, graffia: si agita. è questa la natura del male che lei sente da mattina a sera.
non mi fa male sempre, solo quando cammino: il movimento tacco punta, trasferire la forza sul pavimento per trasformarla in passo, movimento.
anche questo è normale, nella sua situazione ovviamente. il grifone tende a voler volare, non ama molto la terra ferma, o l'acqua, anche se ha le zampe preferisce non usarle: le riserva per afferrare le prede, per agguantarle mentre in volo plana giù in picchiata. quando lei cammina lo spinge in pratica ad andare un po' contro la sua stessa natura: camminare invece di volare.
quindi dovrei solo trovare il modo di addomesticarlo, portarlo magari due o tre volte a passeggio durante il giorno.
si, basta che lei lo abitui. all'inizio, come ora, sarà un po' riluttante. cercherà di opporsi, beccando i nervi e cercando di strappare i tendini con i suoi artigli; ma con il tempo si abituerà anche a camminare, e per lei il dolore diventerà sopportabile.
sopportabile, è questo a cui devo aspirare? a soffrire di un dolore sopportabile?
purtroppo si. il grifone rimarrà per sempre nel suo tallone, a meno che non si sottoponga ad un intervento per estrarlo. ma l'avverto: l'operazione è piuttosto complicata, vista l'età ormai avanzata dell'animale. di solito interventi del genere si cerca di effetturali molto tempo prima, quando ancora il piccolo deve mettere le piume e gli artigli risultano ancora poco affilati. nel suo caso invece l'animale è già abbondantemente cresciuto, c'è il rischio che il grifone non sopravviva all'operazione.
il problema è che lei ha un grifone incastrato nel tallone.
un grifone?
si un grifone. di solito fanno il nido sotto la pianta del piede e una volta che le uova si schiudono i piccoli prendono il volo e se ne vanno. nel suo caso però uno dei cuccioli è rimasto impigliato con la zampa in quella sottile membrana che attutisce lo sfregamento del tendine d'achille contro l'osso.
vede, disse sporgendosi verso di me e disegnando uno scarabocchio su un foglio bianco immacolato. all'inizio non capivo, seguivo i suoi tratti senza riuscire a vedere dove potessero portare; ma quello che ne uscì fuori alla fine fu un vero e proprio capolavoro di grifone ruspante, con tanto di dettagli sul beccho, le ali, la coda.
è normale che lei provi dolore: via via che cresce il piccolo ha bisogno di uno spazio sempre più grande, è un po' oppresso tra le pareti che lei gli riserva; perciò spinge, graffia: si agita. è questa la natura del male che lei sente da mattina a sera.
non mi fa male sempre, solo quando cammino: il movimento tacco punta, trasferire la forza sul pavimento per trasformarla in passo, movimento.
anche questo è normale, nella sua situazione ovviamente. il grifone tende a voler volare, non ama molto la terra ferma, o l'acqua, anche se ha le zampe preferisce non usarle: le riserva per afferrare le prede, per agguantarle mentre in volo plana giù in picchiata. quando lei cammina lo spinge in pratica ad andare un po' contro la sua stessa natura: camminare invece di volare.
quindi dovrei solo trovare il modo di addomesticarlo, portarlo magari due o tre volte a passeggio durante il giorno.
si, basta che lei lo abitui. all'inizio, come ora, sarà un po' riluttante. cercherà di opporsi, beccando i nervi e cercando di strappare i tendini con i suoi artigli; ma con il tempo si abituerà anche a camminare, e per lei il dolore diventerà sopportabile.
sopportabile, è questo a cui devo aspirare? a soffrire di un dolore sopportabile?
purtroppo si. il grifone rimarrà per sempre nel suo tallone, a meno che non si sottoponga ad un intervento per estrarlo. ma l'avverto: l'operazione è piuttosto complicata, vista l'età ormai avanzata dell'animale. di solito interventi del genere si cerca di effetturali molto tempo prima, quando ancora il piccolo deve mettere le piume e gli artigli risultano ancora poco affilati. nel suo caso invece l'animale è già abbondantemente cresciuto, c'è il rischio che il grifone non sopravviva all'operazione.
martedì 22 dicembre 2009
A Serious Man
A Serious Man, un film dei fratelli Coen dai titoli di testa stupendi, con musica azzeccata e nomi a spuntar fuori dallo schermo, e dal finale spiazzante con nuvole all'orizzonte. Nel mezzo le disavventure di un uomo a cui il caos sembra giocare in continuazione brutti scherzi. Una storia di caduta nelle "disgrazie" e di come uscirne, dello sbagliato e del giusto, del fare il buono, di come comportarsi, dell'etica, della morale, dei riti di passaggio ormai superati e sorpassati da altri. E di come le punizioni, già scritte, ti aspettino al varco non appena commetti gli errori. Il tutto miscelato con grande sapienza dai due fratelli seduti dietro la macchina da presa, che dirigono con mano ferma e decisa, a partire dal prologo che sembra suggerire all'orecchio di come le cose acquistino una consistenza reale solo quando le si presta fiducia o credo; un cast asciutto in cui spicca un protagonista in forma, sempre in perfetto equilibrio tra serio e vittima, senza mai eccedere a smorfiette inutili ma restando fedele all'indole del personaggio.
Giudizio: Dvd
- Cinema ==> Da vedere assolutamente, correre al cinema
- Dvd ==> Da vedere, ma si può aspettare il noleggio
- Tv ==> Niente di esaltante, se proprio si deve vedere aspettare il passaggio in tv
- Passeggiata ==> Perdibilissimo. Andate pure a fare una passeggiata.. anche sotto la pioggia
lunedì 21 dicembre 2009
La staticità come espressione dello stato d'animo
a volte non è importante quello che fai - è buffo dirlo perchè alla fin fine si pensa sempre il contrario - quanto invece quello che NON fai. il non volersi cambiare, ad esempio, lo svegliarsi la mattina e indossare sempre gli stessi identici vestiti del giorno prima: è sintomatico di uno stato d'animo.
ogni volta che si strappavano i pantaloni, quando qualche buco qua e là si formava a causa del troppo alzarsi e sedersi e alzarsi e sedersi di nuovo, lui accoglieva l'evento come un funerale. sapeva che quello era un segno, un avvertimento per prepararlo al giorno ormai imminente quando avrebbe dovuto prendere quei pantaloni e portarli a cucire, a rattoppare. quando questo avveniva doveva inizare a riorganizzare le idee, a sistemarle, prenderle con cura e appoggiarle da qualche parte; prepararsi psicologicamente al cambio di pantaloni. questo era un piccolo terremoto nelle sue abitudini, un sisma che lo obbligava a fare, ovvero a scegliere un nuovo paio di pantaloni da indossare.
ogni volta che si strappavano i pantaloni, quando qualche buco qua e là si formava a causa del troppo alzarsi e sedersi e alzarsi e sedersi di nuovo, lui accoglieva l'evento come un funerale. sapeva che quello era un segno, un avvertimento per prepararlo al giorno ormai imminente quando avrebbe dovuto prendere quei pantaloni e portarli a cucire, a rattoppare. quando questo avveniva doveva inizare a riorganizzare le idee, a sistemarle, prenderle con cura e appoggiarle da qualche parte; prepararsi psicologicamente al cambio di pantaloni. questo era un piccolo terremoto nelle sue abitudini, un sisma che lo obbligava a fare, ovvero a scegliere un nuovo paio di pantaloni da indossare.
venerdì 18 dicembre 2009
Diamonds in the Mine
lei è vestita di blu e ti chiede se le dai la rivincita
quello con la camicia bianca che sei tu dice a tutti che non ha amici
e i fiumi stanno per tracimare per i troppi cassonetti arrugginiti
e nella tua terra promessa i turisti vanno a bruciare gli alberi
and there are no letters in the mailbox
and there are no grapes upon the vine
and there are no chocolates in the boxes anymore
and there are no diamonds in the mine
poi mi racconti che il tuo amore ha un braccio rotto
poi mi dici che sei insonne
che non pensi ad altro
io l'ho incontrato l'altra notte
stava sbranando una persona
dove vanno a picchiarsi le tigri
contro i cristiani
and there are no letters in the mailbox
and there are no grapes upon the vine
and there are no chocolates in the boxes anymore
and there are no diamonds in the mine
e non si sta bene tra le congreghe di streghe
quando arrivano i dottori per sterilizzare tutte le puttane
e il solo leader carismatico ha posticipato la rivoluzione
ha addestrato centinaia di donne per uccidere un bambino
(che tra l'altro non era ancora nato)
and there are no letters in the mailbox
and there are no grapes upon the vine
and there are no chocolates in the boxes anymore
and there are no diamonds in the mine
quello con la camicia bianca che sei tu dice a tutti che non ha amici
e i fiumi stanno per tracimare per i troppi cassonetti arrugginiti
e nella tua terra promessa i turisti vanno a bruciare gli alberi
and there are no letters in the mailbox
and there are no grapes upon the vine
and there are no chocolates in the boxes anymore
and there are no diamonds in the mine
poi mi racconti che il tuo amore ha un braccio rotto
poi mi dici che sei insonne
che non pensi ad altro
io l'ho incontrato l'altra notte
stava sbranando una persona
dove vanno a picchiarsi le tigri
contro i cristiani
and there are no letters in the mailbox
and there are no grapes upon the vine
and there are no chocolates in the boxes anymore
and there are no diamonds in the mine
e non si sta bene tra le congreghe di streghe
quando arrivano i dottori per sterilizzare tutte le puttane
e il solo leader carismatico ha posticipato la rivoluzione
ha addestrato centinaia di donne per uccidere un bambino
(che tra l'altro non era ancora nato)
and there are no letters in the mailbox
and there are no grapes upon the vine
and there are no chocolates in the boxes anymore
and there are no diamonds in the mine
Original Score by Leonard Cohen
Performed by Le Luci Della Centrale Elettrica
Performed by Le Luci Della Centrale Elettrica
giovedì 17 dicembre 2009
in birra veritas
Begli esseri fantastici che siamo tra tutti e due: io vampiro al contrario, tu scaricatrice di porto mannara. Mentre ci ballano tutto intorno folletti fauni e fate, con le sirene adagiate sugli scogli ai bordi del lago, in mezzo a questo bosco che sa tanto di magia, anche solo al semplice sapore, l'odore. Ci spieghiamo le parole, aggiorniamo dizionari e ci disegnamo addosso facce allegre, facce tristi, facce con gli occhi che brillano, facce che nevicano dagli occhi. Carburiamo con i nostri tempi e ci incastriamo con la testa dentro porte troppo strette per i nostri sorrisi grandi. Corriamo corse per vincere di vittorie con ritiri, alziamo le braccia, ci facciamo scherzi, ci abbracciamo, ci diciamo cose serie. Festeggiamo il futuro che non vogliamo neppure ricordare, abbattiamo l'ansia e ci parliamo, per quanto sia possibile definire parlare tutto questo nostro, tra una birra e l'altra, ancora digiuni. E incrociamo pure forte le dita, talmente strette, quasi io e te, che per scioglierle poi servirà un chirurgo di quelli bravi e un'operazione di ventiquattro ore, tanta tanta anestesia. Mentre di notte ci perdiamo e non ci troviamo, sparisco per ore intere e scappo a Genova per manomettere motori, fare la danza della neve, pregare il cielo per qualche fiocco posato in centimetri e centimetri; tirare palle di neve e non solo.
"Giuto che non ho visto niente!" dici te senza accorgerti di sbagliare, mentre io metto le catene alle dita alle mani al cellulare alla penna al pc ai tasti interi della tastiera, per non slittare tra le parole.
"Giuto che non ho visto niente!" dici te senza accorgerti di sbagliare, mentre io metto le catene alle dita alle mani al cellulare alla penna al pc ai tasti interi della tastiera, per non slittare tra le parole.
mercoledì 16 dicembre 2009
Pier
Cazzo, virgola, punto, tre punti, sospensione e punto e virgola! Vorrei buttare giù qui tutta una serie di tue citazioni ed urlarle contro il cielo per vedere se mai riuscissi a fartele arrivare, a rimettertele in bocca e premerle a forza pulsante contro il tuo petto per farlo di nuovo andare su e giù su e giù, su e giù. Prendere tutte quante le tue parole e copiarle qui sotto per andare in eterno, un foglio lungo mille fogli e passa, oltre, oltrepassare il limite consentito, e sentire le mani dolere al suono del dolore dei tasti battuti e combattuti nel solcare le lettere che hai scritto e che non hai inviato ma allo stesso tempo hai inviato a tutti. Perchè quelle lettere e quelle parole e quelle storie e quel tutto ha riempito in pieno e tracimato oltre i confini tutto quello strano periodo che è stata l'adolescenza, portandosi dietro gli umori e i suoni, nonché i sapori che mai si scorderanno, per rimanere sempre in bocca, liquidi sulla lingua, ad accompagnarti da qui ai giorni e mesi, anni, come un fantastico bacio di cui ci siamo baciati una volta.
Pier Vittorio Tondelli
14 settembre 1955 – 16 dicembre 1991
14 settembre 1955 – 16 dicembre 1991
Perché tu ti perdi nel tuo amore, ti abbandoni nel tuo amore [..] tu vuoi completamente perderti nelle braccia dei tuoi amanti, dimenticarti, innestarti su di una storia meravigliosa proprio perché non tua. Ma noi siamo macchine e l'unico modo per non soffrire dell'amore è lasciare che le storie ti sfiorino, ti accarezzino, ti penetrino quel minimo che è possibile. Non puoi voler di più. E' impossibile voler di più. Devi lasciarti solamente sfiorare dal tuo amore, se fai tanto di alimentarlo bruci, come stai bruciando ora.
Le occasioni della vita sono infinite e le loro armonie si schiudono ogni tanto a dar sollievo a questo nostro pauroso vagare per sentieri che non conosciamo.
Le occasioni della vita sono infinite e le loro armonie si schiudono ogni tanto a dar sollievo a questo nostro pauroso vagare per sentieri che non conosciamo.
martedì 15 dicembre 2009
The Reader
"Cosa ci facciamo qui?"
"Cerchiamo di capire."
Capire il silenzio, le sigarette fumate di traverso sulle scale e sui gradi dei tribunali; capire la storia che racconta del passato e del passato ancora più indietro, di due tre quattro passi fatti in campagna su due biciclette senza freni, quando ancora si poteva fare una gita del genere, baciare la propria madre davanti all'evidenza e agli scout seduti alle stesse panche, rivisitare con le lacrime luoghi e posti che non sono solo cori ma anche e soprattutto fiamme. C'era la neve, e i bombardamenti, e tutto quel poco tempo per prendere decisioni, non è possibile dimenticarlo. E c'era anche la vergogna, quella che si preferisce nascondere per sempre per l'ergastolo, pur di non affrontare: cosa?
Il senso di colpa, per non aver alzato la mano, per non aver avuto trovato il coraggio o il perdono per continuare a camminare insieme a tutti gli altri. Il senso di colpa del silenzio che si trasforma in cassette e cassette, registrazioni analogiche da far partire premendo due tasti contemporaneamente. Questa è l'espiazione di colpe che non è possibile cancellare o non vogliamo cancellare. Per poi vomitare tutto, parole pensieri opere, soprattutto omissioni, amori lacrime, quando ormai è troppo tardi. Rimanere di ghiaccio di fronte al tempo che passa ma che continua ad echeggiare nella propria testa, che sussurra ancora alle orecchie di un dolore mai del tutto perdonato. Quando si capisce che non è vero: che tu non hai il potere di farmi soffrire, non conti abbastanza.
Giudizio: Cinema
- Cinema ==> Da vedere assolutamente, correre al cinema
- Dvd ==> Da vedere, ma si può aspettare il noleggio
- Tv ==> Niente di esaltante, se proprio si deve vedere aspettare il passaggio in tv
- Passeggiata ==> Perdibilissimo. Andate pure a fare una passeggiata.. anche sotto la pioggia
lunedì 14 dicembre 2009
Pinocchio 2009
il padre putativo pudore sputatore su lava fiamme e melma disse: alzati, figlio mio. Pinocchio risposte con scricchiolii legnifughi alzandosi in piedi e balzando sotto il tavolo, dove il gatto ammiccava felino agli stivali neri lucidi, da moschettiere. voglio vivere, disse. voglio parlare. voglio parole, frasi, periodi. voglio inverni, primavere estati. Autunni del nostro scontento. voglio l'aria. voglio i polmoni. disse: voglio i desideri. voglio le paure. i peccati. voglio la cresta dell'aria quando si infiamma di saliva amorosa. voglio l'atmosfera arancione celeste delle candele. voglio il sapere, la conoscenza, l'ignoranza. voglio la libertà e le catene. voglio il sole e i suoi colori. voglio la pioggia, le nubi le tempeste gli uragani dei pensieri. voglio la sete, la seta, la fame, la fama. voglio la pelle, disse. voglio un naso e la strada dove poggiarlo. voglio le bugie. voglio le bugie. le bugie. le bugie. voglio solo le bugie. su bugie. voglio le bugie. le bugie. le bugie. le bugie. voglio scopare le bugie fino a sanguinare tutto l'inguine in spruzzi di rosso sulle lenzuola livide di tatto forzato, botte schifose in abbracci strinti in amplessi volgari. voglio sputar via lo sperma dell'innocenza passata sprecata rotta e venduta svenduta come imene liso teso fino all'inverosimile: lasciamo passare le truppe nemiche, o voi che entrate nella landa desolata di questa pianura desertica. voglio i capelli sudati appiccicati sulla fronte attorno alla guance, mangiarne a ciocche bagnate finite dentro la bocca con lo sporco del giorno, della notte, delle sere ubriache, utilizzarli per sfondi sudici, fili interdentali con cui pulirsi lo sporco per aggiungerne altro di altra natura. voglio.
la mannaia dell'accetta del machete di Geppetto si abbassò con un'ombra gravida di tristezza. c'era ancora da lavorare, revisionare le attuali scoperte invertendo alcuni concetti per raggiungere l'illuminazione. aprì il torace mentre il gatto faceva le fusa attorcigliandosi sui suoi stinchi, la coda ritta a captare dettagli sismici di gravità emozionale. dentro pinocchio non c'erano vene, sangue, neppure onde concentriche di vita a segnarne gli anni, lo stratificarsi delle stagioni, linfa verde e vitale, clorofilla cristallizzata. non c'era niente di tutto questo, ma un albero di natale lampeggiante in lucine sempre più piccole e dettagliate che stava andando via via spegnendosi nel buio, microchip saldati su schede madri attorcigliate legate una sulle altre, un parquet di verde aperto come un libro sul tavolo da lavoro di Geppetto, un souvenir di viaggi interstellari fatti nella fantasia di millenni addormentati su cuscini consumati, appoggiato sul piano regolare insieme ad altri prototipi neppure mai messi in test o provati a far camminare con le loro stesse gambe: tronchi, alberi, ceppi di legno inanimato da cui erano stati tolti tutti gli arbusti per renderne liscia la prospettiva di visuale; e pialle, coltelli infradiciati di scorza secca, corteccia sempre più inanimata con residui ambrati di colate estemporanee.
"Il futuro non è la natura." Disse Geppetto al gatto addormentato dentro gli stivali.
"Il futuro è la natura, perchè la natura è puttana." Disse Pinocchio in un ultimo spasimo di essere. il braccio gli ricadde verso il vuoto, perso nella gravità che dal tavolo di lavoro pendeva verso il pavimento.
la mannaia dell'accetta del machete di Geppetto si abbassò con un'ombra gravida di tristezza. c'era ancora da lavorare, revisionare le attuali scoperte invertendo alcuni concetti per raggiungere l'illuminazione. aprì il torace mentre il gatto faceva le fusa attorcigliandosi sui suoi stinchi, la coda ritta a captare dettagli sismici di gravità emozionale. dentro pinocchio non c'erano vene, sangue, neppure onde concentriche di vita a segnarne gli anni, lo stratificarsi delle stagioni, linfa verde e vitale, clorofilla cristallizzata. non c'era niente di tutto questo, ma un albero di natale lampeggiante in lucine sempre più piccole e dettagliate che stava andando via via spegnendosi nel buio, microchip saldati su schede madri attorcigliate legate una sulle altre, un parquet di verde aperto come un libro sul tavolo da lavoro di Geppetto, un souvenir di viaggi interstellari fatti nella fantasia di millenni addormentati su cuscini consumati, appoggiato sul piano regolare insieme ad altri prototipi neppure mai messi in test o provati a far camminare con le loro stesse gambe: tronchi, alberi, ceppi di legno inanimato da cui erano stati tolti tutti gli arbusti per renderne liscia la prospettiva di visuale; e pialle, coltelli infradiciati di scorza secca, corteccia sempre più inanimata con residui ambrati di colate estemporanee.
"Il futuro non è la natura." Disse Geppetto al gatto addormentato dentro gli stivali.
"Il futuro è la natura, perchè la natura è puttana." Disse Pinocchio in un ultimo spasimo di essere. il braccio gli ricadde verso il vuoto, perso nella gravità che dal tavolo di lavoro pendeva verso il pavimento.
venerdì 11 dicembre 2009
Crushlander
Crashlander
You took your own life in your hands
You had to escape them somehow
You knew it would hurt
Pull yourself free
With the wreckage at your feet
Feel the relief for all your doubts and wounds
Will be gone
Crashlander, there's damage but atleast you're alive
The hardest thing you could have done
You've done now
It's easy from here
Turn your back on
The constellation you flew from
You are hurting, lonely
Hopeful, Happy
Pull yourself free
With the wreckage at your feet
There’s a million worlds to explore
When you’re ready the cosmos is yours
You took your own life in your hands
You had to escape them somehow
You knew it would hurt
Pull yourself free
With the wreckage at your feet
Feel the relief for all your doubts and wounds
Will be gone
Crashlander, there's damage but atleast you're alive
The hardest thing you could have done
You've done now
It's easy from here
Turn your back on
The constellation you flew from
You are hurting, lonely
Hopeful, Happy
Pull yourself free
With the wreckage at your feet
There’s a million worlds to explore
When you’re ready the cosmos is yours
Performed by Adem
giovedì 10 dicembre 2009
500 Giorni Insieme
La bellezza di Zooey Deschanel incastonata dentro un personaggio visto un po' altalenante, con i suoi stessi grandi occhi quasi grigi e la sua forse stessa capacità di. Cinquecento giorni sparsi in modo random, qua e là, saltando da un momento all'altro, durante i quali si impara a conoscerla, amarla, odiarla, farla indifferente. Ci sono poi gli amici, buffi tristi legati ancora bambini scemi, i capi ufficio, le feste fatte di karaoke e birra birra birra e ancora birra; c'è molta musica, sentita dentro cuffie grandi da stereo, da ascoltare dentro gli ascensori o nel tragitto da casa all'ufficio; e poi c'è lui, il protagonista: imbranato quanto basta e ricco di sogni quanto basta per poter rivedersi dentro di esso, con le sue fantasie, la sua aria normale tranquilla da bravo ragazzo che cerca di darsi una ragione. C'è anche una voce fuori campo, non si sa di chi, che indica indirizza e fa spazio a volte tra la folla, in uno stile un po' turbato che ancora forse non ha deciso che strada sicura prendere. Il tutto ben frullato shakerato in quello che è l'amore che si pensa della nostra vita, con parti dolci amare simpatiche divertenti, dolorose, tristi, di quella tristezza colla che ti appiccica al letto e non ti fa alzare. Il darsi una scrollata per liberarsi di tutta la piogga raggrumata sulla pelle, questo è il senso di fine che porta a pulire tutta una lavagna di una vita accantonata, affrontare il petto di chi quel petto ce lo ha sempre offerto neppure troppo nascondendolo, ma che semplicemente non avevamo il coraggio di andarci a sbattere contro. Sono disegni che si fanno architettonicamente accettabili ma poeticamente fantastici, e quei disegni li si vedono così, forse, chissà, perchè insieme, in un determinato periodo, condividiamo quegli stessi occhiali rosa con cui vediamo tutto, quelli che poi qualcuno uno dei due si toglie ed invece l'altro continua a tenere sopra il naso, forse per non sentirne la mancanza, di quella visione così speciale, o forse proprio per il contrario: per sentirne proprio la mancanza.
Giudizio: Cinema
- Cinema ==> Da vedere assolutamente, correre al cinema
- Dvd ==> Da vedere, ma si può aspettare il noleggio
- Tv ==> Niente di esaltante, se proprio si deve vedere aspettare il passaggio in tv
- Passeggiata ==> Perdibilissimo. Andate pure a fare una passeggiata.. anche sotto la pioggia
mercoledì 9 dicembre 2009
Addio Firenze
Parto dalla fine perchè è quella che sempre più si ricorda più difficilmente si dimentica si dimena per spiazzare e cacciare via le mosche con la coda così irta di aculei quasi fosse un drago appollaiato sopra uova che non sono sue cova la progenie di qualche altra specie quando mai si schiuderanno e profumeranno in fiori nei campi sterminati di uomini donne bambini uccisi squartati alla gola con ferite non da arma da fuoco ma da morsi e bocconi banchetti con i quali sfamarsi e digerire passare con effetti lenti sopra il mercoledì il giovedì il venerdi arrivare a sabato e domenica e sorvolarli leggeri su un biplano di quelli a motore vecchio stile con l'elica appiccicata sul muso sul davanti così veloce nel suo movimento da farla diventare invisibile agli occhi. Così io che sono seduto con in mano la cloche e la tiro verso di me per alzarmi ancora un po' la spingo verso fuori lontano per scendere in picchiata per picchiare il mio stesso corpo con l'aria che mi schiaffeggia la faccia a velocità di non decollo, sto precipitando verso la terra che si ingrandisce sempre più vedo i fiumi allargarsi vedo le strade ingrigirsi diventare nere farsi asfalto vedo le case i villaggi le città le lucine illuminate dei lampioni che quando siamo sul marciapiedie, io e te, a camminare mano nella mano stretti io dal lato del traffico per proteggerti da qualsiasi possibile sbandata d'auto, quegli stessi lampioni che ci sembrano così alti da confondersi quasi con le stelle ci sdraiamo per terra e guardiamo il cielo per disegnare le nostre fantasie sulle costellazioni per esprimere desideri andati a male scaduti non appena vediamo fulminarsi un sole in qualche altra galassia lontana lontana; quei lampioni ora stanno crescendo come le nostre sensazioni si fanno prima bambini piccoli e uggiosi poi adolescenti adulti già vecchi si lamentano di tutto del fatto che non ci sentono che non sentono noi e noi non gli parliamo se vogliamo parliamo d'altro o non parliamo affatto quando invece dovremmo prenderli e cullarli, si è vero che poi invece è il contrario, ma pensare ad una casa fatta di legno in mezzo al bosco dove potersi arrendere alla giornata che finisce distendersi davanti al camino per chiacchierare con due bei bicchieri panciuti di vino in mano che si avvicinano alla bocca e si apre la bocca si apre appena per far passare prima il bordo del vetro trasparente poi il rosso rubino del vino. Sto scendendo in picchiata per picchiare la faccia contro la terra per farmi schiaffeggiare dalla realtà quanto dura e pura questa sia la realtà mi saprà svegliare davvero e per sempre come ora e nell'ora della nostra morte: amen. Addio Firenze.
martedì 8 dicembre 2009
Spera Sfera
Dicevi che prima o poi avrei fatto suicidare i surfisti, sarebbero stati trovati impiccati con la tavola accanto. Io rispondevo che non lo sapevo, ero un po' indeciso. Stavamo facendo colazione per passare il tempo, per arrivare puntuali, vicino a dove di solito la sera ci davamo appuntamento con messaggi in codice. Qui aquila rossa: in postazione. I mondiali si giocavano di mattina, oppure di pomeriggio, in televisori piccoli e traballanti. Pioveva, non pioveva, era estate, e le piscine che andavamo a visitare erano diverse dai parcheggi davanti ai cimiteri, quelli sbagliati tra l'altro, o gli aereoporti dove ci dettavano il bollettino meteo della neve. Le piscine erano nascoste, dall'altro lato della strada, così belle e spumeggianti, accanto a fontane spruzzanti di schizzi d'acqua che si coloravano alla luce del sole; ma allo stesso tempo era così lontane dagli occhi di tutti gli altri che ci domandavamo sempre che senso avesse avuto costruire lì, in mezzo ad una zona industriale, un'oasi verde di prati tagliati in automatico da robot piccoli e quadrati; ogni volta che ci andavamo dovevamo lavare la macchina, fosse stato inverno o anche no, che l'ultimo pezzo di strada non c'era strada ma solo fango quando pioveva, sassolini invece quando c'era il sole. E quando c'era il sole, ricordi, ci incantavamo come stupidi ai piedi delle scale, aspettando di essere accolti in qualche stanza, parlavamo del più e del meno e poi ad un tratto ci fermavamo, nei discorsi negli sguardi nei respiri in tutto quanto circolasse dentro. Credevo di essere l'unico, ma tu mi seguivi a ruota, non c'è che dire, anche se poi dicevi il contrario, ridevi, mi spintonavi via, per poi venirmi a cercare, la domenica, con telefonate nascoste, durante le quali mi chiedevi aiuto, mi domandavi chilometri che ti davo. La casa era così bassa che tra poco ci picchiavamo la testa sul soffitto, e non dovevamo chiamarla casa perchè in fondo non lo era, una specie di garage allargato dove era stato messo il riscaldamento e diviso in stanze più o meno uguali con bagno e cucina. Quando ti trasferisti tra i lupi, che per arrivare dicevi dovevo attraversare tre rotonde e poi altre quattro, credevo di essermi perso per almeno cinque volte prima di riconoscere la luce accesa, il tuo numero squillante sul cellulare che mi chiamava per dirmi: butto la pasta? Quella si che era una casa, anche se lontana, anche se oggi sembra più vicina, ma già non ci vivi più. Chissà se dove stai ora c'è un sgabuzzino abbastanza grande dove mettere tutte queste parole, che se piove rischiano di lievitare, diventare sempre più grandi e non entrarci più. Meglio che mi fermi, prima di rischiare di affogare tra le lettere e i ricordi.
lunedì 7 dicembre 2009
Dentro e fuori le mura
Lucca è rimasta Lucca ma si è ingrandita perchè si è ingrandito il concetto di città. Dentro le mura e fuori le mura. Dove le strade si incrociano e i pedoni le attraversano. Gente con cani sotto il cappotto, luci appese agli alberi, lacrime celesti chiare grondanti dai rami, vicino alle piste ghiacciate dove gente priva di freddo danza chi con musica, chi con grazia, chi senza freni, traballa da una gamba all'altra, rischia di cadere, rimane in piedi, sveste la paura di quel cielo grigio che non piove ma tinge di gelo. E' il rumore delle persone con brusio incessante di passi su tacchi, scarpe basse, scarpe alte, stivali, ballerine, soldati di piombo senza gambe saltellano da un posto all'altro, da una piazza vuota ad una piazza stracolma di libri e foto e insegne e indicazioni e bagni pubblici nascosti nelle strade più sperdute, accanto a trattorie popolari con prezzi certo poco popolari. Le ombre in terra ci trasformano in areoplani pronti al decollo, panettoni da mangiare caldi, dolci da consumare, sigarette fumanti con il fiato non di tabacco fuori dalle labbra chiuse sottili tra denti e denti in sorrisi stretti lamelle di telai funzionanti in rumori striduli che tessono sempre le stesse tele in contorni diversi ieri oggi e domani per sempre così come la luce di questo giorno: si sta spegnendo, piano piano. Andiamo a vedere le cartiere illuminate a festa, i festoni appesi tra le ciminiere lungo le autostrade, a sbandare non appena il cd balla un po' e le bruciature sulla voce di Bob Dylan fanno prendere colpi apocalittici al cuore appena sotto una costola ancora dolorante.
E dentro le mura ci sono fate folletti gnomi, creautre magiche che indicano la direzione giusta, da prendere per indossare la magia. Indossarla e spogliarsi di tutto il resto perchè la magia c'è già sotto pelle, nascosta magari da uno strato più o meno sottile di grigio. Per mandarlo via basta un soffio, per risplendere di nuovo di preziosità, che magari non è argento ma presto potrebbe diventare rubino.
E dentro le mura ci sono fate folletti gnomi, creautre magiche che indicano la direzione giusta, da prendere per indossare la magia. Indossarla e spogliarsi di tutto il resto perchè la magia c'è già sotto pelle, nascosta magari da uno strato più o meno sottile di grigio. Per mandarlo via basta un soffio, per risplendere di nuovo di preziosità, che magari non è argento ma presto potrebbe diventare rubino.
venerdì 4 dicembre 2009
Marigold
He's there, in case I wandered off
He's scared, because I warned
He's scared, in case I want it all
He's scared, 'cause I want
All in all the clock is slow
Six color pictures, all in a row
Of a marigold
He's scared, because I warned
He's scared, in case I want it all
He's scared, 'cause I want
All in all the clock is slow
Six color pictures, all in a row
Of a marigold
Performed by Nirvana
giovedì 3 dicembre 2009
La volta che sei venuto a trovarmi, e ci siamo ubriacati e ci siamo persi e non ci siamo ritrovati. Più (Parte III)
Non so se perché sono un po' ubriaco, o se è il parabrezza sporco, o per il buio senza un cazzo di lampione solitario fuori in strada, ma non vedo una sega e sbando di continuo rischiando a duo o tre curve di uscire e piantarmi con il cofano nel fosso che ci accompagna da quando abbiamo iniziato a salire per questi tornanti.Tu ridi a crepapelle, fradicio, schiacciato contro il finestrino, mentre mi guardi scuotere la testa e spettinarmi e pettinarmi al ritmo della musica dei Raconteurs che riempie la macchina. Di tanto in tanto canti abbozzando le parole, lanci acuti rauchi, graffiati dal fumo e sporchi della cenere delle sigarette. Non parliamo per niente, lasciamo che la strada ci porti chissà dove e il tempo passi con leggerezza.
"Cazzo fai?" Domandi quando accosto in uno spiazzo accanto ad una specie di bosco.
"Devo pisciare." Rispondo con urgenza togliendomi la cintura di sicurezza e fiondandomi tra gli alberi.
Non vedo assolutametne nulla, pure le mie mani non sono che delle ombre vaghe, anche slacciarmi i pantaloni è un'impresa non di poco conto. Piscio con sollievo tenendo gli occhi chiusi e il risultato è che mi sento via via sempre meglio, ma anche che alla fine mi piscio prima su una scarpa e poi anche un po' addosso. Le bestemmie in questa silenziosa solitudine paiono grandi quanto grattacieli, nonostante le dica sottovoce, a denti stretti, senza muovere la bocca.
Quando torno in macchina tu sei mezzo dentro e mezzo fuori, con il tuo sportello spalancato e le gambe belle distese per terra. Ti sei acceso una sigaretta, l'ennesima della serata, e stai giocando con la radio. Non fai che far passare i primi versi di "Old Enough", di continuo, senza sosta. "You look pretty in your fancy dress." Stop. "You look pretty in your fancy dress." Indietro. "You look pretty in your fancy dress." Da capo. "You look pretty in your fancy dress." Ancora. "You look pretty in your fancy dress." Ascolto così tante volte questo verso che la voce di Jack White mi entra talmente tanto in testa, nel profondo, da farmi credere sia la mia stessa voce. Quando lasci andare il pezzo, e "But I detect unhappiness... You never speak so I have to guess... You're not free." hai gli occhi squadrati, non più liquidi. Non hai l'aria sorridente, non hai l'aria di scherzare. E' come se la sbornia ti avesse lasciato tutto ad un tratto, di punto in bianco.
"Andiamo." Dici.
"Cazzo fai?" Domandi quando accosto in uno spiazzo accanto ad una specie di bosco.
"Devo pisciare." Rispondo con urgenza togliendomi la cintura di sicurezza e fiondandomi tra gli alberi.
Non vedo assolutametne nulla, pure le mie mani non sono che delle ombre vaghe, anche slacciarmi i pantaloni è un'impresa non di poco conto. Piscio con sollievo tenendo gli occhi chiusi e il risultato è che mi sento via via sempre meglio, ma anche che alla fine mi piscio prima su una scarpa e poi anche un po' addosso. Le bestemmie in questa silenziosa solitudine paiono grandi quanto grattacieli, nonostante le dica sottovoce, a denti stretti, senza muovere la bocca.
Quando torno in macchina tu sei mezzo dentro e mezzo fuori, con il tuo sportello spalancato e le gambe belle distese per terra. Ti sei acceso una sigaretta, l'ennesima della serata, e stai giocando con la radio. Non fai che far passare i primi versi di "Old Enough", di continuo, senza sosta. "You look pretty in your fancy dress." Stop. "You look pretty in your fancy dress." Indietro. "You look pretty in your fancy dress." Da capo. "You look pretty in your fancy dress." Ancora. "You look pretty in your fancy dress." Ascolto così tante volte questo verso che la voce di Jack White mi entra talmente tanto in testa, nel profondo, da farmi credere sia la mia stessa voce. Quando lasci andare il pezzo, e "But I detect unhappiness... You never speak so I have to guess... You're not free." hai gli occhi squadrati, non più liquidi. Non hai l'aria sorridente, non hai l'aria di scherzare. E' come se la sbornia ti avesse lasciato tutto ad un tratto, di punto in bianco.
"Andiamo." Dici.
mercoledì 2 dicembre 2009
Un braccialetto
E' difficile mettere a parole quello che siamo, stati, saremo, e ora, chissà. Come palline colorate inanellate a caso una dopo l'altra su di un filo di uno spago di un braccialetto: questo forse siamo. Dimmi allora tu se questo braccialetto ti piace, anche se a livello cromatico è tutto un casino e magari è pure scomodo; dimmi se lo indossi ancora a volte, anche solo di notte.
martedì 1 dicembre 2009
Novembre 2009
"Se è tardi a trovarmi insisti
se non ci sono in un posto cerca in un altro,
perché io son fermo da qualche parte ad aspettare te."
Walt Whitman
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