Quest'anno ci sono stati bambini in lacrime, famiglie intere scese giù dal nord per festeggiare chissà cosa, gite fuori porta in baite fredde senza riscaldamento. Non sono bastate le telefonate fatte ormai già troppo tardi, solo per dire: si, l'ho fatto; per rompere quel silenzio che stava diventando forse un po' troppo pesante.
"Quanto pesante si può rendere un silenzio prima che questo diventi maledettamente fastidioso?"
"Non c'è una regola, un minutaggio fisso, il tempo varia da persona e persona. Di solito però quando senti il sangue uscirti a rivoli dalle orecchie è già ormai troppo tardi."
"E a te è mai capitato di sentirli, i rivoli di sangue?"
Non c'erano molte facce. Quelle poche si perdevano prima nel buio fuori, poi nello spazio rarefatto dove le luci delle lampade andavano a colmare i vuoti. In compenso c'erano assai molte macchine, e non macchine spaziali, navicelle o astronavi; no, proprio macchine intese come auto, parcheggiate di traverso metà sulla strada e metà dentro boschi, prati.
"Parlami ancora del silenzio."
"Cosa vuoi sapere?"
"Te l'ho già fatta una domanda, ma a quanto pare tu non vuoi rispondere."
"Forse è proprio così."
"Ma io voglio sapere dei tuoi silenzi, voglio conoscerli."
"I silenzi non si conoscono. Non li puoi incontrare per strada e tender loro la mano: piacere, come stai, cosa fai, ti va un caffè, quattro chiacchiere per rivangare i vecchi tempi."
"Come mai?"
"Perchè i silenzi sono dei pessimi compagni di bevute. Ti metti lì, seduto al tavolo, ordini una birra, qualcosa da sgranocchiare tra un sorso e l'altro, e aspetti che loro comincino a parlare. Ma niente. I silenzi se ne stanno sempre zitti, muti, fermi a guardarti."
"E sei costretto a passare una serata in questo modo?"
"No. Dopo qualche minuto cominci te a parlare, a raccontare. Ma è solo un lungo ed estenuante monologo. Alla fine ti si arrugginisce la gola, e non basta bere ogni due o tre frasi, giusto un sorso poco più, per rendere di nuovo scorrevoli le parole: alla lunga i tuoi discorsi si fanno appiccicosi lungo l'esofago, stentano ad uscire. Fai una fatica tremenda per riuscire a sputarli fuori, tutti appollottolati e sporchi di saliva densa come colla. E quando ci riesci, quando vedi rotolare a stento questo grumo attorcigliato di chiacchiere tenuto insieme dalla bava, la tua bava; quando lo vedi cadere sul tavolo e stendersi sotto l'inevitabile peso della gravità, ormai privo di quella cura che gli forniva la tua voce, non vorresti far altro che il tuo silenzio, quello seduto proprio di fronte a te, prendesse questa massa informe e la ingoiasse il più presto possibile. Che cominciasse a parlare, cazzo!"
"Ed il sangue?"
"Il sangue comincia ad uscire quando inizi ad afferrare il tuo silenzio per il collo, e a strattonarlo, ad appendarlo al muro, a minacciarlo. Il sangue comincia ad uscire quando finalmente il silenzio prende a parlare, ad aprire la bocca, e ti accorgi con paura che la sua voce è così affilata da affettarti i timpani."
Nessun commento:
Posta un commento